Rivista Anarchica Online
Atomocrazia
di Nucleo Anarchico Utopia (Napoli)
L'"establishment" italiana ha officiato i suoi riti e ha optato per una pesante scelta nel
campo energetico, decidendo l'immediata istallazione di otto centrali nucleari e - a medio
termine - di altre sei, come conseguenza coerente dell'adesione ai criteri generali che
hanno guidato la sua azione dal dopoguerra ad oggi. A nostro avviso i principali sono la
fedeltà al blocco occidentale egemonizzato dagli USA ed i processi di ristrutturazione
industriale finalizzati a due obiettivi: estensione del profitto padronale e ascesa della classe
dei nuovi padroni, costituita da dirigenti statali e da managers di imprese private e
pubbliche che va sotto il nome di tecnoburocrazia. Nel 1948-49 il premio alla fedeltà del
governo italiano furono gli aiuti americani sotto la denominazione di "piano Marshall",
mentre lo sviluppo della nostra industria (1953-63), cioè il cosiddetto "boom" economico
permesso soprattutto dal basso costo della manodopera, veniva caratterizzato da una
spartizione d'influenza fra il capitalismo privato è quello statale, rappresentato quest'ultimo
dal potenziamento di enti quali l'ENI e l'IRI. L'Italia, da sempre terreno di mediazione,
veniva così a costituire, con la sua economia "mista", un felice compromesso ricco di
spunti interessanti per contribuire a quel processo di razionalizzazione già in atto dal '29 e
che doveva impedire il ritorno di crisi profonde e al contempo assorbire gli elementi più
positivi dell'economia statalizzata. È nella realizzazione di un simile progetto che la
burocrazia trova il proprio spazio politico e il proprio ruolo di classe ascendente. Nel '63,
per superare la crisi generale dalle progressive conquiste salariali, si opta per una
ristrutturazione industriale "distorta", imperniata anche, ma non unicamente, sulla
sostituzione dello sfruttamento del basso costo del lavoro con lo sfruttamento del costo
reale decrescente dell'energia, soprattutto quella d'origine petrolifera. Come conseguenza,
si ha lo sviluppo di quei settori produttivi che richiedono un alto consumo energetico e
bassa occupazione, quali quello siderurgico e della raffinazione petrolifera. La
tecnoburocrazia, in questo contesto, segna un punto a suo favore con la nazionalizzazione
dell'Enel, mentre politicamente identifica, a ragione, l'estensione del proprio potere con il
maggiore peso politico assunto dal PSI con la formazione del centro-sinistra.
Divisione internazionale del lavoro
Alla crisi energetica del '73 l'Italia è, dunque pervenuta totalmente impreparata, con un
apparato produttivo "energy-intensive", poco articolato e perciò più esposto degli altri
paesi alla ricattatoria manovra energetica americana. L'apparato industriale italiano ha
bisogno, nella logica padronale, di un processo di riconversione che, attraverso il rilancio
della competitività della produzione nazionale, permetta di ricostituire quel margine di
profitto senza il quale l'attività nazionale imprenditoriale perde il proprio significato
nell'economia capitalistica. Ma questo processo di riconversione non può avvenire
trascurando le indicazioni generali che emergono dal quadro economico internazionale. La
strategia perseguita dalle multinazionali ha determinato, a partire dal settore energetico, un
processo di ristrutturazione mondiale allo scopo di permettere l'apertura di nuovi settori di
investimento ai colossali capitali accumulatisi. Questo implica, anche, la messa in
discussione di tutta l'attuale divisione internazionale del lavoro e i rapporti tra l'area
capitalista centrale (USA) e quelle periferiche (Europa Occidentale e Giappone) con
possibili spostamenti d'importanza politica verso alcuni dei Paesi in via di sviluppo.
L'attuazione pratica di questa strategia vede nella scelta nucleare il suo punto basilare. Lo
sviluppo nucleare non è costituito tanto dalla costruzione delle sole centrali nucleari
quanto dal raggiungimento di un certo potere contrattuale, in tutte le fasi del ciclo, del
combustibile: queste sono 1) l'approvvigionamento dell'uranio; 2) l'arricchimento dello
stesso; 3) la riconversione dell'esafluoruro in biossido di uranio; 4) la produzione degli
elementi di combustibile dei reattori raffreddati ad acqua; 5) il riprocessamento del
combustibile; 6) il condizionamento e il confinamento delle scorie. Due di queste fasi
(l'arricchimento e il riprocessamento) hanno importanza notevole anche ai fini militari. La
predominanza americana nello sviluppo nucleare non è messa minimamente in discussione,
ma lo sviluppo nucleare delle aree periferiche mira a limitare tale egemonia e, in sostanza,
a conseguire un ruolo di cogestione. Si vuole evitare di far pervenire gli americani al
dominio completo del ciclo del combustibile nucleare come è, invece, per quello
petrolifero, e da tale rapporto di forze scaturirà la nuova divisione internazionale del
lavoro; dall'ampiezza di questa partecipazione nascono condizioni più o meno favorevoli,
in senso capitalista, per il processo di riconversione interno e il rilancio dell'economia
nazionale in termini di creazione di profitto. Per inciso vogliamo far notare il diverso peso,
rispetto al caso petrolifero, della capacità produttiva dell'uranio. Il processo del petrolio
non scalfisce minimamente il potere detenuto dalle multinazionali, grazie al loro completo
dominio, del ciclo. Nel caso dell'uranio, sul cui ciclo le multinazionali hanno un ruolo
egemone ma non di assoluto monopolio, l'approvvigionamento del combustibile diventa
invece un problema di fondamentale importanza. L'Italia, a parte le medie dimensioni del
giacimento di Novazza in Val Seriana (1.500 tonnellate annue) punta su attività di ricerca
mineraria e a contratti preferenziali sfruttando un maggiore numero d'interlocutori. Infatti
nel solo settore occidentale, i Paesi produttori sono: Usa (25.000 tonn.); Sud Africa
(11.000), Canada (10.000), Niger (4.000), Australia (3.000) e Francia, Gabon, Spagna, e
Argentina con minori capacità. L'ordine degli investimenti da effettuare nel campo
nucleare è così elevato da superare le possibilità di una singola impresa e la dipendenza
dell'approvvigionamento e della tecnologia dalle relazioni politiche internazionali rende
evidente la necessità dell'intervento statale. La tecnoburocrazia ha così la possibilità di
affermare definitivamente il proprio predominio. Attraverso gli enti statalizzati, primo fra
tutti - in Italia - l'Enel, può assicurarsi il controllo quasi completo dello sviluppo nucleare e
attraverso questo ente definire e condizionare le linee di politica industriale entro le quali
deve avvenire la ripresa industriale. In pratica, avrebbe in mano uno strumento per
conquistare tutta la grande industria mentre la libera iniziativa rimarrebbe confinata nel
campo delle piccole e medie imprese. È questo il "modus vivendi" perseguito dalla nuova
classe di padroni; una sintesi tra vecchio e nuovo modello di sviluppo, che evita le
distorsioni verificatesi nell'Urss (paradiso di una "borghesia di Stato" che non ha
conosciuto l'esperienza di un capitalismo maturo, passando direttamente da uno stato
quasi feudale a quello tecnoburocratico) e perpetua lo sfruttamento, il potere dell'uomo
sull'uomo. Un progetto simile ha bisogno di forze politiche nuove, capaci di garantire
quelle condizioni di pace sociale che vengono richieste.
In Italia il nuovo campione di una tecnoburocrazia efficiente e non imbevuta di retrogradi
pregiudizi è il PCI. In questa chiave va interpretato il suo assenso alla scelta nucleare,
mentre tutta la strategia del "compromesso storico" e, in campo internazionale,
dell'"eurocomunismo" non è altro che l'affermazione di questo nuovo ruolo, caratteristico
dei partiti comunisti d'Occidente, da imporre agli imperialismi Usa-Urss.
I MIUS ed il TOTEM
I reali motivi della scelta nucleare vengono coperti da diverse motivazioni. In genere viene
ritenuta forzata per due motivi: il primo è che potrebbe garantire una dipendenza minore
rispetto al petrolio, e il secondo la limitatezza dell'approvvigionamento energetico.
L'ultimo dei due, per il modo con cui lo si afferma, è una deliberata mistificazione. Tutti i
tipi di energia sono sfruttabili limitatamente, ancor prima che per la loro entità, per motivi
di ordine ecologico. Il nostro utilizzo deve quindi effettuarsi con parsimonia, il che
equivale a richiedere modi di soddisfazione dei nostri bisogni che riducano al minimo lo
spreco energetico pur non deteriorando l'attuale livello di benessere. Amministrare le
risorse, e non solo quelle energetiche, non significa ridurre il consumo attraverso sacrifici,
quanto adottare opportune soluzioni tecniche.
Non è difficile rendersi conto che gli interessi padronali vanno in direzione opposta:
accumulare ricchezze significa produrre sempre più, e i beni finiti, anziché duraturi devono
essere di rapido consumo e quindi di breve durata. Cambiare modello di sviluppo non
significa privilegiare settori industriali a basso consumo energetico ma mettere in
discussione le stesse modalità attuali di produzione e di soddisfacimento dei bisogni.
Anche la diversificazione delle fonti energetiche, con le attuali tecnologie di utilizzo,
risulterebbe insufficiente. La durata nel tempo delle riserve energetiche può essere
aumentata con l'adozione non complementare di tecnologie "appropriate".
Un esempio di queste sono i sistemi ad energia totale o MIUS. Sistemi decentrati, in alcuni
casi autogestibili dagli utenti stessi, puliti ecologicamente e convenienti economicamente.
In sostanza, producono energia elettrica e calore per centinaia di edifici, recuperando il
calore residuo derivato dalla produzione di energia elettrica in centrali di quartiere. Tale
produzione può venir soddisfatta da un bruciatore di rifiuti solidi integrato con generatori
elettrici azionati da motori a gas naturale, che è tra i combustibili meno inquinanti. Tale
soluzione può venir integrata dall'uso di collettori solari e da tecniche edilizie che evitano
la dispersione di calore. Inoltre i MIUS possono fornire servizi quali il trattamento dei
rifiuti solidi e la potabilizzazione dell'acqua.
Particolare interesse riveste il gruppo produttore simultaneo di energia elettrica e calore
denominato TOTEM (total energy module) di fabbricazione Fiat. Costituito da un motore
della 127 adattato a metano e da un motore elettrico collegato al primo, è in grado di
generare energia termica ed elettrica più che sufficiente per 4 alloggi; è collegabile,
comunque, alla rete in modo da garantire una fornitura elettrica flessibile secondo
l'esigenza di consumo. Con il Totem, che garantisce un forte risparmio energetico, si
realizzerebbero delle autentiche centrali di edificio. Il gas necessario potrebbe venir fornito
anche da un apposito trattamento di rifiuti organici. In teoria l'impiego di 62.500 unità
Totem permetterebbe di far a meno di una centrale nucleare di 1.000 MW. In Italia
esperienze di questo genere non ne esistono, se si trascura l'esperimento di
teleriscaldamento di Brescia e quelli in via di studio a Milano. Il ruolo complementare e
subalterno dato a queste proposte tecniche, come a quelle di utilizzazione dell'energia
solare, eolica, etc., rispetto all'opzione nucleare deriva dai motivi politico-economici di
fondo propri del nostro regime capitalista. Se anche non avessimo minimamente bisogno
del nucleare come fonte energetica, gli interessi politici, economici e tecnologici che si
basano su di esso ne reclamerebbero uno sviluppo. Porre la questione della limitatezza
delle riserve energetiche senza denunciare gli sprechi propri del capitalismo, esaltare la
necessità dell'energia nucleare relegando le possibili alternative significa rendersi complici
del disegno di potere.
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