Rivista Anarchica Online
Voci di donne dal carcere modello di Villa Devoto
a cura della Redazione
È ancora viva nel mondo l'eco della brutale repressione attuata dal regime argentino
contro i detenuti del carcere-modello di Villa Devoto, che è costata la vita ad una
cinquantina di detenuti politici. È stato un fatto di tale ferocia che anche qui in
Italia ha raggiunto la prima pagina dei quotidiani. Il documento che pubblichiamo in queste pagine è stato redatto da un gruppo di
detenute politiche di Villa Devoto: alla luce del recente massacro assume il suo pieno
significato di denuncia di una situazione intollerabile. Fra 2 mesi non sentiremo parlare d'altro che dell'Argentina, sede dei campionati
mondiali di calcio. Già in queste settimane i quotidiani e i rotocalchi pubblicano
articoli relativi a quel paese, alla sua storia ed alla sua realtà. Fra le tante
mistificazioni, noi vogliamo portare un nostro contributo alla conoscenza
dell'Argentina oppressa da una feroce dittatura militare.
Questo lavoro è stato realizzato da psicologhe detenute dell'Unidad Carcelaria n.2 di Villa
Devoto, carcere "modello" della dittatura militare Argentina. Si tratta di una profonda
descrizione della problematica psicologica osservata nelle detenute politiche di Villa
Devoto, prodotta dalla violenza quotidiana cui vengono sottoposte. La sottile repressione
utilizzata dai militari argentini, che si differenzia dalla tortura e dalla fucilazione dei campi
di concentramento, implica una violazione sistematica dei diritti umani.
Siamo 1.200 donne provenienti da ogni parte del paese e di tutte le età, dai 16 ai 70 anni.
A causa della repressione massiccia ed indiscriminata, le carceri cominciano a riempirsi al
momento del colpo di stato, e ancor prima, di una popolazione penale eterogenea.
Si arresta, si tortura e si incarcera per qualsiasi motivo. Persone che hanno rapporti di
parentela con militanti, passanti, amici, vicini, impiegati, ecc., vengono arrestati. Ciò porta
come conseguenza che nel carcere ci siano detenute con differenti livelli di coscienza e
comprensione della realtà in cui ci troviamo costrette a vivere.
Esiste una violenza sistematica e quotidiana fatta di umilianti perquisizioni periodiche,
visite attraverso una cabina a vetri, possibilità di tenere i figli solamente fino a sei mesi
d'età, ecc.. Le lettere devono essere aperte, scritte in spagnolo e solamente per i familiari
diretti; un'ora sola diaria, proibizione di ridere, cantare, fischiare, di eseguire lavori
manuali; castighi per qualsiasi motivo, celle di punizione, sovraffollamento, mancanza di
condizioni igieniche, latrine nello stesso ambiente in cui si dorme, interrogatori eseguiti da
personale militare, ecc.. Il cibo è scarso, di basso livello proteico e nutritivo, anche se
abbondante in farinacei, il che provoca disturbi gastrici ed intestinali. Proibizione assoluta
di ricevere cibi dall'esterno.
La corrispondenza solo in spagnolo provoca, in molti casi, la perdita di contatto con la
famiglia, a causa dell'alta percentuale di immigrate. È proibito scrivere ai familiari stretti
che siano in carcere, come sono proibite le visite all'interno dello stesso carcere. In questo
modo si cerca di spezzare i legami personali più profondi.
Durante le visite, attraverso una cabina di vetro, le conversazioni vengono registrate; le
madri detenute vengono separate dai loro figli quando questi hanno sei mesi. Il padre o la
madre divengono per il neonato una "immagine al di là dello schermo del parlatorio".
Papà, mamma, sono nozioni astratte per il bambino, un'immagine visiva e una voce
attraverso un tubo.
Dal momento dell'incarcerazione, il familiare è l'unico contatto con l'esterno, l'unico che
possa portare avanti la difesa - gli avvocati vengono torturati ed assassinati - devono fare
lunghe code e sono sottoposti a umilianti perquisizioni, con l'unico scopo di scoraggiarli.
Attività: proibito ridere
La ginnastica è permessa solo durante l'aria, di un'ora, che può venire sospesa da punizioni
di massa. In questo modo rimaniamo giornate intere in totale passività.
Il lavoro manuale è assolutamente proibito. Lo scopo è chiaro: lasciandoci solo il lavoro
intellettuale - giornali liberali 'La Nación' e 'La Prense', il progressista 'Clarín', una rivista di
attualità per ogni piano e libri di studio su Storia ed Economia Liberale - si cerca di fare in
modo che la detenuta politica si trasformi in un essere che abbia a che fare solo con
simboli astratti, con simboli e segni che la allontanino sempre di più dalla realtà concreta.
D'altra parte, il lavoro è gratificante, permette l'organizzazione e la pianificazione della
realtà, la socializzazione delle esperienze, delle conoscenze e degli obiettivi,
l'apprendimento comune. Proibendolo, si fa in modo che l'alienazione dalla realtà sia
sempre maggiore, si cerca di tramutarci in "innocue intellettuali", distorcendo lo sviluppo
armonico delle diverse potenzialità e capacità umane, incanalandole in un unico senso.
Proibizione completa di cantare, far teatro, ridere, fischiare, ecc.. Sono, questi, modi di
espressione che acquistano importanza nel sistema di violenza istituzionalizzata cui ci
sottopongono. Le attività ricreative ed artistiche permettono, attraverso la creatività, di
canalizzare la violenza subita in un'attività sublimata. La loro proibizione diviene
un'ulteriore forma di violenza.
Repressione continua
Le perquisizioni sono periodiche e con un livello di violenza sempre maggiore. Veniamo
obbligate a spogliarci all'unico scopo di umiliarci e di interferire nell'unica cosa che rimane
alla prigioniera, il suo corpo. Le perquisizioni interessano tutto ciò che circonda e possiede
la detenuta: vestiti, lettere, letti, celle. La sensazione di spogliamento è profonda. Portano
via tutto ciò che realizza la detenuta, ogni pezzo di carta scritto, lettere, foto dei familiari.
Viene così spezzata ogni continuità nella creatività personale e ci obbliga ad una continua
ricostruzione di quanto è stato distrutto oppure alla passività e alla abulia.
Ci è proibito tenere orologi e, non avendo alcuna nozione del tempo, si producono
situazioni di violenza quando cerchiamo di esigere le ore di aria e di visita, che non
possiamo stabilire esattamente.
Le punizioni periodiche sono costituite dall'abolizione dell'aria, della corrispondenza, delle
visite, ecc.. Di notte ci viene impedito di dormire: le secondine aprono gli spioncini e le
porte delle celle e accendono la luce, fanno rumore per impedire il sonno, ecc..
Le celle di punizione sono celle speciali, al quinto piano, di dimensioni ridotte, senza
latrina né acqua. Le compagne vi rimangono quindici o trenta giorni completamente
isolate dall'esterno e dal resto del carcere. Tutta la situazione descritta nell'insieme si
acuisce in queste celle, costringendo la detenuta a una vita vegetativa, in cui non vengono
soddisfatte neppure le loro necessità minime.
Nuovi comportamenti
Dal livello di coscienza con cui si giunge in carcere e dalle esigenze della realtà, che
abbiamo descritto, derivano i diversi comportamenti come risposte a questa realtà, le
diverse sintomatologie, alterazioni psicosomatiche e psicopatologiche.
Inquadriamo i comportamenti nei seguenti tipi:
1) Adeguamento passivo: sottomissione, abulia, passività totale della detenuta.
2) Disadattamento attivo: quadri psicosomatici e psicopatologici in genere.
3) Adattamento attivo: comportamenti creativi, rifiuto della sottomissione, atteggiamento
combattivo e modificatore della realtà.
Le detenute, sottoposte ad una pressione continua a causa di quelle che abbiamo chiamato
"esigenze della realtà", cercano ed hanno bisogno di valvole di sfogo per la violenza. Le
vie che si scelgono, coscientemente e incosciamente, possono essere corrette o errate.
Sono corrette quelle che permettono l'analisi della violenza ed il suo superamento:
1) Tutto il gruppo si fa carico dell'aggressione subita, sia individualmente che come
gruppo, l'analizza e la trasforma.
2) Attività creative.
3) Ginnastica.
Quelle errate di sfogo della violenza, lo sono perché invece di giungere all'analisi, fanno in
modo che aumenti la violenza:
1. Verso gli altri:
a) Verso il carcere, le carceriere, che sono gli agenti diretti dell'oppressione e della
repressione. Questa via non è corretta in quanto ritorna contro la detenuta come un
boomerang, aumentando la repressione.
b) Verso le compagne: produce scontri e discussioni per cose insignificanti, senza
prendere coscienza della vera causa. Favorisce un clima di aggressività, di inimicizia,
ostacolando la lotta utile.
2. Verso se stesse: la violenza si sfoga sul proprio corpo o sulla persona e i suoi legami.
Ciò produrrà:
a) Alterazioni psicosomatiche.
b) Nevrosi.
c) Psicosi, ecc..
Effetti negativi della detenzione
La sensazione comune delle diverse compagne che soffrono di un'alterazione
psicosomatica è l'impotenza di fronte alla situazione, di fronte alla violenza cui si vedono
sottoposte. Si osservano disturbi mestruali con alterazioni del ciclo mestruale; in qualche
caso non compare la mestruazione fin dall'inizio della reclusione. L'incanutimento precoce
e la caduta dei capelli va di pari passo con un'altra serie di disturbi, come gastriti, ulcere,
crampi muscolari, vomito, emicranie, malattie della pelle, paralisi facciali, tic, carie, ecc..
Compaiono, inoltre, nevrosi di ogni tipo: maniacali o d'insonnia, soprattutto, come pure
crisi isteriche abituali.
Per quanto riguarda le psicosi, vengono osservate soprattutto nelle detenute di mezza età
(50-60 anni), e solo raramente nelle detenute giovani. Sono accompagnate da alterazioni
della struttura fisica, crisi di mania persecutoria (paranoia) e schizofrenia.
Le autoreclusioni sono comportamenti specifici che possono comparire all'interno di un
quadro nevrotico o psicotico, oppure evidenziano una tappa della crisi. La loro durata può
essere di settimane o anche di mesi:
1. Creare le condizioni per farsi incarcerare. Avviene quando anche il compagno è
detenuto, se è stato arrestato precedentemente. Cerca inconsciamente di essere incarcerata
e effettivamente ci riesce.
2. Sensazione di non voler essere liberata. Anche questo avviene quando la detenuta ha in
carcere il suo compagno. È una sensazione diffusa, che esprime la paura di affrontare la
nuova realtà senza il compagno.
3. Dormire per la maggior parte del giorno. Alcune compagne dormono la maggior parte
del tempo o non escono dalla loro cella. Il letto, la loro cella, simbolizzano il focolare in
cui si sentono protette, in cui non devono affrontare la realtà quotidiana, le continue
esigenze e autoesigenze.
4. Non uscire per l'aria. Queste uscite significano sopportare una continua violenza: grida
delle guardiani, minacce, punizioni per qualunque motivo, continua presenza di personale
d'ispezione e di guardie armate. L'aria simbolizza "la libertà". Invece, rimanersene chiusa in
cella, significa l'impotenza di fronte alla dura realtà, la scelta della "pace del focolare", in
realtà, la sconfitta, la sottomissione.
Alterazioni della percezione e atteggiamenti regressivi
Le pseudo-percezioni visive avvengono nei lunghi periodi di cattiva alimentazione, e
portano perfino a vedere in un piatto i resti di deliziosi banchetti. Quelle uditive possono
far sentire un moto popolare nel rumore di una partita di calcio. Sono i desideri più
profondi - di libertà - che affiorano distorcendo la realtà.
Quanto agli atteggiamenti regressivi, si osserva una dipendenza familiari in ogni senso,
economico ed affettivo. I genitori sono le uniche persone, al di fuori del carcere, del
mondo esterno, con cui la detenuta ha contatti lungo gli anni. Sono l'unica fonte affettiva
esterna, il che determina, in alcuni casi, la regressione ad una situazione adolescenziale, sia
nel legame coi genitori che in atteggiamenti fisici, gesti, modi di parlare. Si può anche
assumere come figura parentale una compagna, che si riconosce come più forte,
mantenendo con lei un rapporto di dipendenza.
Quando la detenuta viene a sapere della morte di una persona amata, l'impossibilità di
vedere concretamente il defunto, fa sì che la morte sia solo una frase, una parola. Si fa
rivivere l'essere amato nella fantasia, nei sogni, implicando una negazione della realtà e un
tentativo di "riviverlo" a questo livello.
Se la morte è di compagni detenuti, si trasforma in segnale di allarme. In casi estremi, è
avvenuto un fenomeno di paranoia collettiva, in cui l'ignoranza della realtà trasformava
qualsiasi segnale in avvertimento di una prossima fucilazione.
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