Rivista Anarchica Online
Lo stato insinuante
di Gruppo Gioventù Anarchica
La "batosta" elettorale subita dal P.C.I. alle recenti elezioni amministrative pur
significativa anche se parziale e legata a fattori contingenti non modifica certo la funzione
del partito comunista e si può affermare come le tematiche del PCI e la sua strategia
discendano non solo dall'analisi intorno alle condizioni oggettive e storiche della realtà
italiana, ma anche da un'attenta riflessione sull'insieme delle esperienze internazionali. Il
merito universalmente riconosciuto a Gramsci è di aver saputo adeguare la dottrina
marxista alla realtà italiana. Il merito che il PCI si ascrive è invece quello di aver
continuato su questa linea, cercando di identificare giorno dopo giorno dove si situassero i
gangli vitali del potere, lasciando perdere la controparte storica (la borghesia) e
intravedendo nello stato e nella democrazia non la sovrastruttura politica del capitalismo,
ma l'"involucro politico" della trasformazione della società italiana.
Certo è che la lunga ricerca d'una via originale di trasformazione-evoluzione sociale nel
nostro paese oggi come oggi può trovare la sua lenta ma progressiva attuazione.
La strategia del PCI si è così tradotta in una continua, capillare integrazione della sua
attività politica all'interno delle istituzioni e degli apparati di stato cercando inoltre di
controllare sempre più le attività economiche ed organizzative della società.
È proprio per questa incessante presenza dinamica all'interno dello stato che si può
affermare come il PCI oggi si debba considerare forza necessaria e insostituibile per la sua
gestione e la salvaguardia delle istituzioni.
Cercando di schematizzare si può ben notare come l'avanzata trentennale del PCI negli
organi vitali dello stato oggi si traduca:
1) nel continuo sviluppo delle capacità di gestione di un'economia di piano che contemperi
pianificazione e mercato sulla base di una "programmazione democratica" che ricrei
l'equilibrio proprio dell'economia mista fra settore privato in via di trasformazione ed
estensione del settore pubblico;
2) nel controllo "pubblico" dei principali mezzi di produzione e di scambio attuato da
un'élite tecnoburocratica padrona delle conoscenze tecnico-amministrative necessarie alla
loro gestione;
3) nel progetto di una nuova ripresa economica parallela al suo controllo democratico
come leva essenziale per l'estensione delle basi produttive e per una qualifica "sociale"
della produzione;
4) nel decentramento democratico dello stato che sempre più interferisce nella
riorganizzazione economico-sociale programmata su base territoriale e costituita da
sempre maggiori centri di produzione. Questo avviene attribuendo ampia autonomia di
potere alle regioni e agli altri enti locali che riescono a privare la società della funzione
imprenditoriale;
5) nel mantenimento del sistema dei partiti del cosiddetto arco costituzionale, base della
"democrazia che si organizza" culminante nel Parlamento eletto a suffragio universale, nel
quale si condensa il potere formale di sintesi e di indirizzo politico generale della vita
economica e sociale del paese, risultando oggetto e non soggetto della politica partitica,
rappresentazione scenica della nuova programmazione sociale.
In altri termini per il PCI l'edificazione di una "nuova" società passa attraverso il
rafforzamento della democrazia parlamentare e la salvaguardia dello Stato Costituzionale,
riccamente intriso di elementi di "democrazia progressiva", ovvero di transizione, capace
di consentire nel gioco maggioranze-minoranze la trasformazione socialista del paese.
L'ordinamento giuridico dello stato italiano non si costituisce solamente di una struttura
democratico-rappresentativa ma accoglie sempre più momenti organizzativi a natura
partecipativa di base.
Ed è proprio in questo secondo settore, fulcro dell'intera articolazione della vita
democratica che il PCI incide maggiormente e sostanzia le tematiche proposte dalle sue
rappresentanze in parlamento.
Il meccanismo comprensione-collaborazione con lo stato rende il PCI dinamico all'interno
delle istituzioni, unico partito capace di tradurre il consenso ricevuto al fine di innescare
un processo di lenta trasformazione dello stato in senso totalitario.
Infatti il continuo assorbimento da parte dello stato degli ambiti della società civile non si
attua tanto attraverso il loro monopolio quanto nel controllo, nella pianificazione della
attività economico-sociale, costruendo una struttura protezionistico-assistenziale che
rende sempre più necessaria la presenza dell'intervento dello stato. Riassumendo
l'intervento del partito comunista è stato ed è quindi quello di costruire una rete capillare
di comprensione-partecipazione da parte dei cittadini nei confronti della trasformazione
dello stato liberal-democratico realizzando nel rapporto istituzioni-massa una forma
originale di stato intermedio che definisce da una parte dei criteri politici per l'attuazione
delle decisioni parlamentari e dall'altra esprime le esigenze di giustizia sociale.
L'ambito istituzionale viene così a costituire per il PCI la sintesi della vita democratica
determinando nel confronto-scontro fra le forze sociali:
- lo sviluppo del processo di interazione stato-società civile nelle sue molteplici attività
assicurando l'equilibrio, come stabilità e permanenza fra crisi economica e la sua forma
istituzionale: lo stato assistenziale;
- l'omogeneizzazione e la coesione del corpo sociale rafforzando l'identificazione delle
masse con l'autorità;
- attraverso l'organizzazione e la legittimazione del potere nella società (che, mediante la
strutturazione delle condizioni di vita della stessa, pianifica la giustizia sociale) la
ricomposizione e il controllo della conflittualità integrando ed assorbendo le esigenze
potenziali di conflitto.
Si può concludere affermando come il "socialismo" del PCI si traduca in una sorta di
socialdemocrazia che rifiuta i mezzi violenti e la lotta di classe, procedendo essenzialmente
all'organizzazione dello stato e alla moralizzazione della società creando al suo interno
un'etica partecipativa delle esigenze di stato. Un "socialismo" che si impegna, in ultima
analisi, non tanto nella soppressione quanto nella trasformazione dell'istituto della
proprietà, sviluppando un'élite tecnoburocratica, classe capace di mediare i problemi di
trasformazione dello stato italiano con le esigenze sociali.
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