Rivista Anarchica Online
Lotta armata e violenza
Cari compagni,
intervenendo brevemente al dibattito sollecitato dai compagni di "A" sulle questioni della
lotta armata e della violenza devo innanzitutto lamentare una carenza di fondo negli
articoli e scritti che su questo tema ho letto precedentemente, sia su "A", sia su altra
stampa anarchica, e, più in generale, rivoluzionaria.
Si tratta di una carenza cronica (soprattutto fra gli anarchici), cui d'altra parte non
posso certo né sono in grado di ovviare io con queste poche righe.
Intendo dire come si tenda sempre ad analizzare il problema dal punto di vista della
mera strategia del momento, basandosi sul "siamo o non siamo d'accordo" su
determinati livelli di scontro, "siamo o non siamo in una fase pre-insurrezionale", ecc. si
finisce col fare teoria per la teoria, astraendosi da una realtà che non può vederci
indifferenti, né tanto meno "estranei" e passivi.
Io credo, data l'estrema importanza che l'argomento riveste, sia indispensabile, anziché
partire da punti di riferimento prefissati e stereotipati quale la lotta di classe, i bisogni
dei lavoratori, ecc., partire dalla situazione del singolo individuo.
In linee generali possiamo affermare che oggi, nella civiltà tecnologica e industriale in
cui viviamo, è presente un continuo processo di spersonalizzazione, di saccheggio del
desiderio e della creatività, di annullamento dell'autonomia individuale, che, attraverso i
mass-media, la morale comune, il modo di vestire, di comportarsi, le abitudini, le
strutture ecc., svuota ciascun individuo della propria personalità e ne fa un pezzo di un
immenso ingranaggio che poi viene chiamato a scelta Paese, Stato, Collettività, e chi più
ne ha più ne metta.
In una società basata sulla delega cieca e continua, sulle funzioni e sui ruoli fissi, sulla
pianificazione gerarchica di tutto, anche della vita quotidiana, anche dei sentimenti, si
finisce col perdere la propria identità di persone umane, il senso stesso della propria
esistenza. Si sente allora il bisogno crescente di uscire dall'oscuro anonimato, dal ghetto
della passività e dell'emarginazione, il bisogno di rompere, di ribellarsi. La carica di
violenza che ci portiamo dentro per tanti torti e colpi subiti, per tante leggi che ci
stritolano, per tanti desideri abortiti nella merda quotidiana della scuola e del lavoro, la
facciamo allora uscire alla luce del sole. Ora considerando la violenza qualcosa di per
sé estremamente negativo (agli antipodi dell'anarchismo), la triste eredità di secoli di
oppressione e di sfruttamento, dobbiamo altresì prendere atto della sua esistenza e della
sua necessità.
Il problema non è quello di saper valutare il momento giusto: in ogni momento, in tutte
le situazioni è giusto e opportuno rispondere alla violenza del potere con la stessa
moneta, se no si è annullati fisicamente.
Il problema è un altro. Cioè, se è vero che ci interessa buttar giù il sistema, ciò è vero
solo perché siamo convinti che possa esistere ed esista un modo diverso di vivere in
società, liberamente, senza leggi esterne coercitive, in anarchia. E qui si torna al
discorso che faceva il compagno Andrea Papi sulla necessità di agire "sulla coscienza
degli esseri umani, perché la rivolta sia effettivamente un mezzo non solo per distruggere
lo stato di cose presenti, ma anche e soprattutto per costruire una società effettivamente
diversa". Quest'azione per così dire educativa che gli anarchici e gli sfruttati in prima
persona dovrebbero intraprendere, implica però la contemporanea necessità di
difendersi, anche con le armi, dagli attacchi che lo Stato, di fronte ad un movimento del
genere, tanto pericoloso per la sua stessa sopravvivenza (in quanto educa la gente a far
da sé, a fare a meno del potere), muoverebbe di certo, con estrema durezza.
Il nodo resta del rapporto fra mezzo e fine, fra violenza rivoluzionaria (vista come
necessità irrinunciabile) e creazione di rapporti di vita libertari.
Io credo che il problema non sia risolvibile a tavolino, teoricamente, solo sulla pratica,
all'interno del confuso (e per molti versi anche negativo) marasma del movimento
d'opposizione antiistituzionale e antilegalitario, nello scontro di ogni giorno con le
istituzioni dello Stato. Al di fuori di questo conflitto, di questo scontro, spesso
necessariamente violento, non c'è spazio per costruire la coscienza libertaria, per
preparare la gente a saper fare a meno dei padroni, dei partiti e dei tutori di ogni risma
e colore.
E, d'altra parte, se troppo spesso oggi il fronte dello scontro col potere è ipotecato da
avanguardie leniniste staccate dalla massa degli sfruttati e degli emarginati, che loro
pretendono di dirigere, forse lo si deve al troppo distaccato interesse degli anarchici, al
loro essere al di sopra delle parti, al loro eccessivo bilanciare e pesare prima di buttarsi
nella mischia, dimenticando, a mio parere, che è proprio là, nella mischia, anche se a
volte vi possono apparire realtà spiacevoli e difficili, il nostro posto.
Proponendomi di tornare sull'argomento più approfonditamente e sperando
nell'allargarsi del dibattito (e non solo su questo argomento) vi mando un caldo saluto
libertario.
Carlo B. (Cagliari)
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