Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 1 nr. 7
ottobre 1971


Rivista Anarchica Online

Valpreda è innocente, liberiamo Valpreda
a cura della Crocenera anarchica

LA STRAGE DI STATO

12 dicembre 1969

Milano 12 dicembre 1969. Scoppia la bomba alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, la strage scuote il paese. La polizia assicura che presto il colpevole sarà trovato, che le indagini saranno svolte in tutte le direzioni ma intanto vengono fermati, interrogati e perquisiti 588 militanti della sinistra extra parlamentare e 12 fascisti (rilasciati per primi).
Calabresi lo stesso giorno indica nei responsabili dell'attentato le forze della sinistra extraparlamentare, e agli anarchici arrestati Pinelli e Ardau chiede con insistenza notizie o rivelazioni su Valpreda. Calabresi (che bravo!) aveva già individuato i responsabili: "Questa non è opera di fascisti - aveva detto - vi si riconosce una sicura matrice anarchica".

15 dicembre 1969

"La mattina del 15 dicembre, circa le ore 5,30, mi recai in via Orsini per rintracciare il Valpreda. Bussammo alla porta ove vi era la targhetta Valpreda-Torri, ci venne ad aprire una signora anziana che ci disse che Piero non c'era. Aggiunse che era arrivato da Roma, ma il mattino dopo se ne era andato, affermando che si sarebbe recato presso una sua amica e che comunque, avremmo potuto rintracciarlo nella stessa mattinata, presso il dottor Amati al Palazzo di Giustizia...". Questo quanto dichiarato al Giudice Istruttore dott. Ernesto Cudillo, dai brigadieri Mainardi e Cusano dell'Ufficio Politico della questura di Milano, e dal brigadiere dei carabinieri Di Maiuta.
È l'inizio di quella fatidica giornata di lunedì 15 dicembre 1969, quando la polizia, dopo aver cercato Valpreda dalla zia, l'ha poi trovato ed arrestato al Palazzo di Giustizia mentre usciva dall'ufficio di Amati e da qui, in fretta e furia, portato a Roma. Ci si domanda perché Valpreda, il cui nome era stato fatto a parecchi dei cinquecento più fermati la sera del 12, perché elemento pericoloso e "sospetto", non fu mai cercato in casa dei nonni, dove spesso si recava (cosa ben nota alla polizia) (1). C'è anche da chiedersi perché Valpreda sia stato l'unico di quei cinquecento fermati in Questura a Milano ad essere trasferito a Roma, ancor prima che venissero fuori le fantasie del Rolandi. Quel giorno anche gli ultimi fermati venivano rilasciati, solo tre o quattro anarchici (tra cui Pinelli) venivano ancora trattenuti in Questura e a San Vittore.
È sempre in quella giornata di lunedì che compare sulla scena Rolandi. Vediamo come. Verso le ore 9 si presenta dai carabinieri (il prof. Paolucci aveva già telefonato in Questura e aveva raccontato quanto riferitogli dal tassista, ma la polizia non si curò di cercare Rolandi). Viene interrogato una prima volta, in attesa del comandante, col. Favali (il quale era impegnato in una riunione in Prefettura per discutere sull'opportunità di mettere una taglia, ipotesi già avanzata da alcuni giornali di destra), dal cap. Ciancio che mostra a Rolandi un migliaio di foto, e fra queste nessuna che corrisponda al passeggero da lui trasportato. Viene anche fatto l'identikit (che non assomiglia a Valpreda in alcun particolare). Il pomeriggio verso le ore 17, il col. Favali e il cap. Ciancio percorrono con Rolandi l'assurdo percorso di 200 metri da Piazza Beccaria a Via S. Tecla, descritto dal Rolandi stesso. Successivamente i due ufficiali dei carabinieri accompagnano Rolandi in Questura dove il dott. Zagari (dell'Ufficio Politico) gli mostra un'unica fotografia, quella di Valpreda. A dissipare i dubbi sul riconoscimento, è lo stesso dott. Zagari che gli fa presente che la fotografia non è recente. Verso le ore 19,30 Rolandi viene congedato. Giunto a casa trova due agenti di polizia che lo riportano in Questura. Qui è Guida, il Questore in persona, che dopo avere espresso ammirazione ed elogi nei suoi confronti e dopo aver commentato, battendogli la mano sulla spalla, "bravo Rolandi, hai finito di fare il tassista!", lo invita a recarsi a Roma per riconoscere ufficialmente in Valpreda il passeggero che doveva aver trasportato tre giorni prima. Rolandi, col consenso della moglie presente, accetta l'invito e con l'occasione gli viene ammonito formalmente di "agire secondo coscienza". Gli viene anche fatto presente che un suo atto assume un'enorme importanza e di non tenere presente che nel frattempo era stata pubblicata la notizia della taglia...
Il mattino dopo Rolandi verrà accompagnato a Roma dove in un confronto particolarmente "addomesticato" riconoscerà Valpreda, tra quattro inconfondibili poliziotti, ma con qualche dubbio: due frasi da lui pronunciate sono significative: "se non è lui, qui non c'è", "a Milano mi hanno mostrato la foto della persona che dovevo riconoscere".
Poco dopo la mezzanotte di quello stesso giorno Pinelli viene buttato dalla finestra dell'ufficio di Calabresi, al 4° piano della Questura di Milano. In stato di coma, morrà poco più di un'ora dopo all'Ospedale Fatebenefratelli, pullulante di poliziotti anche nella sala operatoria, dove il medico di turno dr. Fiorenzano tenta inutilmente di rianimarlo.
Le versioni dei poliziotti al medico dell'ospedale sono confuse e irreali: sembra che gli stessi stiano recitando una parte che hanno imparato poco prima. Solo dopo che il dr. Fiorenzano comunicherà che sono svanite le ultime speranze per salvare Pinelli, il sospiro di sollievo del Questore Guida, toglierà loro quello stato di ansia e di tensione che li aveva fin lì accompagnati.
Perché hanno ucciso Pinelli? Perché proprio il giorno di Valpreda e Rolandi? Le ipotesi sono diverse come diverse sono state costruite quelle assurde versioni del suicidio. Pinelli da parecchi anni militava nel movimento anarchico ed era molto esperto di interrogatori di polizia. Più volte era stato in Questura perché "invitato", perché "convocato" o per un "libero scambio di vedute"; conosceva personalmente Allegra, Calabresi, Panessa e parecchi altri funzionario o sottufficiali dell'ufficio politico. Era lui infatti che consigliava, al Circolo Ponte della Ghisolfa, i compagni più giovani ed inesperti sul modo di comportarsi in caso di interrogatori. Era lui che metteva in guardia dai sorrisi e dal benevolo modo di fare degli inquisitori, dalle loro minacce velate o palesi, dalle loro promesse e dalle loro domande trabocchetto, dalle loro sicure affermazioni sulle altrui "confessioni": ripeteva insomma che la polizia quel che sapeva lo sapeva solo perché qualche compagno ingenuamente raccontava qualcosa anche se questo sembrava completamente senza importanza.
Pinelli era stato "fermato" tre giorni prima, nel pomeriggio del 12 dicembre, due ore dopo lo scoppio della bomba di Piazza Fontana, al Circolo di Via Scaldasole (ora Circolo Pino Pinelli).
Non si può neanche parlare di fermo di Pino. Ad alcuni compagni che la sera del 14 dicembre avevano telefonato in Questura a Calabresi per avere notizie sulla sua posizione, Calabresi seccamente aveva risposto: "Sta bene! È qui! Non è né dentro né fuori!".
Tre giorni e tre notti Pinelli le aveva passate al 4° piano della Questura (non era stato portato neppure nelle camere di sicurezza perché - versione Calabresi - "almeno sopra era al caldo e poteva riposare più tranquillamente", ma questo, data la sua eccezionale resistenza fisica ed abituato com'era per il suo lavoro di frenatore presso le FF.SS. ai turni più estenuanti non poteva certo influire notevolmente sulle sue condizioni fisiche e psichiche.
Pinelli quella mattina del 15 aveva visto la madre in Questura per consegnarle la tredicesima che aveva in tasca dal pomeriggio del giorno della strage. Era tranquillo, tutt'al più seccato dall'incomprensibile prigionia. La stessa comunicazione telefonica con la moglie, avvenuta un paio d'ore prima del defenestramento, era normale e tranquilla.
Gli agenti e sottufficiali che lo interrogavano come pure il dr. Calabresi non erano certo delle cime di intelligenza, come del resto hanno dimostrato al processo Baldelli-Calabresi e a quello contro gli anarchici del 25 aprile, confondendosi, cadendo in contraddizioni, incastrandosi da soli.
È possibile che Pinelli abbia capito troppo, sia stato più furbo di loro, (lo era certamente) o che abbia rifiutato di collaborare (se gli fu offerto rifiutò certamente). È certo comunque che Pinelli mise i bastoni tra le ruote a Calabresi, e fu ucciso. Non ci è dato di conoscere le modalità di esecuzione: d'altra parte le tre, quattro, cinque, sei o più persone (non sappiamo quante, abbiamo solo le "loro" versioni) presenti in quella stanza alla mezzanotte del 15 dicembre erano tutti poliziotti e da loro non verrà certo fuori la verità.

(1) Qualche mese dopo, quando Occorsio incriminerà per falsa testimonianza i parenti di Valpreda si capirà perché questo ritardo:
La polizia aveva bisogno di lasciare un po' di tempo libero a Valpreda, proprio per aver poi spazio per confutare una qualunque delle sue mosse, e dimostrare così che mentendo su quanto aveva fatto dopo, mentiva anche sull'alibi.

L'ISTRUTTORIA

I primi arresti vengono compiuti il 16 dicembre 1969. La magistratura di Roma emette gli ordini di cattura contro Valpreda e altri 5 fermati: Emilio Bagnoli, 24 anni; Emilio Borghese, 18 anni; Roberto Gargamelli, 19 anni; Roberto Mander, 17 anni; Mario Merlino, 25 anni. L'accusa si basa su pochi elementi: il riconoscimento di Rolandi e la testimonianza di Mario Merlino (1), fascista infiltratosi nel 22 Marzo su ordine del "boss" Stefano delle Chiaie, come lui stesso dichiarerà durante gli interrogatori. Il 28 dicembre gli atti sono trasmessi al giudice Cudillo per la formalizzazione dell'istruttoria. Il giudice avrà due anni di tempo per concluderla.
In questi due anni la vicenda, seguita da tutta la stampa, assume un carattere allucinante. Quintali di piombo si sono rovesciati da allora sui giornali; abbiamo assistito a conferenze, dibattiti, dichiarazioni, volantini, discorsi, e contro gli arrestati sempre solo gli stessi elementi malfermi, zoppicanti, sempre meno attendibili, sempre più scarsi al punto che parlarne e ancor di più scriverne è diventato esasperante. Non si può scrivere nulla di nuovo, eppure la gravità dei fatti passati è tale che non si può smettere di ripeterli.
La polizia, dopo aver messo le mani su Valpreda, tronca ogni indagine in altre direzioni e qui appare una delle circostanze più sintomatiche. La polizia e la magistratura con i loro mezzi che a confronto dei nostri sono come cento "bulldozers" di fronte ad una paletta, non sono riusciti a scoprire nulla di quel cumulo di fatti, notizie, personaggi, che pochi compagni, senza alcun mezzo, hanno scovato e denunciato in libri come "La strage di Stato", "Le Bombe dei Padroni" e in una lunga serie di articoli e denunce apparsi su molti giornali anarchici e della estrema sinistra. Ciò significa una cosa sola, che la polizia certe cose non solo non le ha volute vedere, ma ha tentato con ogni mezzo di nasconderle e proteggerle. Particolare illuminante: dopo Valpreda la P.S. ha troncato anche ogni indagine verso gli altri ambienti della sinistra e degli anarchici. Oggettivamente, anche agli occhi di un inquisitore fascista, contro Valpreda c'è ben poco. Ammettendo che, appunto essendo fascisti, volessero semplicemente incolpare la sinistra a priori, cosa del tutto ovvia, ancora non si spiega come mai non hanno cercato qualcosa di più probante e contro cui potessero accumulare più prove del 22 Marzo e di Valpreda. O meglio, si spiega in un modo solo, da qualunque parte si guardi la vicenda: Valpreda era stato prescelto, da molto tempo prima.
Nel loro piano (nessun delitto è perfetto) qualcosa o qualcuno non si assoggettò o non potè rientrare nel ruolo previsto. Per questo uccisero Pinelli, per questo la strada dell'istruttoria è costellata di morti.
Esiste un meccanismo psichico per cui l'uomo tende a credere ciò che gli viene continuamente ripetuto, anche se assurdo e contro ogni logica, basta che lo si ripeta ciecamente e continuamente. È quello che stanno cercando di fare con Valpreda. Hanno meno prove contro di lui ora di quando lo arrestarono il 15 dicembre 1969. Allora il suo arresto suscitò un'ondata di critiche e perplessità. Oggi Valpreda in carcere e primo responsabile della strage di Milano, è diventato un dato di fatto che non meraviglia più nessuno. Sta a noi continuare a ripetere per sempre la verità, con i mezzi che abbiamo e con quelli che la loro violenza ci farà adottare.

Due anni

Dopo l'arresto di Valpreda e degli altri, la polizia deve tappare alcuni vistosi buchi della sua fantasiosa ricostruzione. Anzitutto non vi sono i Mandanti: tutti i giornali, dalla destra alla sinistra, tuonano che non contano gli "stracci" bensì i MANDANTI, lo stesso dichiarano tronfi i poliziotti e i magistrati, dimostrando di non aver paura di nessuno e di essere decisi ad andare in fondo a questo orrendo crimine. Non solo: si cercano, e la P.S. garantisce che le indagini sono a buon punto, i MOVENTI, come è noto, conoscere i "moventi" significa aver risolto metà del caso. C'è ancora qualche lacuna, mancano i FINANZIATORI, non solo, ma gli ordigni erano opera di ESPERTI, lo garantisce Teonesto Cerri, il più abile esperto balistico (tralasciamo una facile ironia su questa parola) della magistratura. Manca ancora una "tessera del mosaico" come amano definirla i pennivendoli: manca l'uomo, o meglio l'anarchico, che ha collocato l'ordigno alla Banca Commerciale di Milano, quello fatto esplodere tempestivamente da Cerri, prima che potesse fornire qualche indizio utile. Questo mosaico, a dire il vero, di "tessere" ne aveva e ne ha una sola: Pietro Valpreda e i suoi compagni al centro di un quadrato vuoto.
Dopo due anni di tempo per noi e la gente e due anni di carcere per i compagni, Cudillo conclude l'istruttoria e nella sentenza di rinvio a giudizio del P.M. Occorsio si svelano i segreti custoditi per tanto tempo nei "dossiers" della polizia. Quelle ombre, quelle figure senza volto che avevano ordito la strage (quindici morti, settanta feriti, leggete le cronache di qualche giornale del 12 e 13 dicembre per ricordare; una strage non è un nome astratto ma è sangue, carne, dolore e disperazione senza speranza) vengono finalmente smascherate: Valpreda è il Mandante, Valpreda è il Finanziatore, Valpreda è l'Esperto in esplosivi, Valpreda è il Movente di se stesso, unica lacuna, del resto giustificabile, è l'attentatore della Banca Commerciale di cui non vi è traccia. Cudillo non ha voluto dire che Valpreda si sia sdoppiato e sebbene non di rado gli anarchici abbiano tre scarpe, come Pinelli, non riescono a dividersi in due. Un'altra considerazione: è difficile pensare che non fosse stata prevista una persona per la Banca Commerciale, quando tutto il resto era coperto. In realtà la persona c'era, probabilmente era Pinelli. Ma Pinelli si è fatto ammazzare piuttosto che stare al gioco.

Gli indizi...

Nei primi mesi che seguono l'arresto di Valpreda e degli altri componenti il 22 Marzo, esiste contro di essi un certo numero di indizi, che la polizia promette di trasformare presto il "prove certe". Di sicuro non c'è molto, ma è quanto basta per tranquillizzare l'opinione pubblica assetata di "ordine" e di colpevoli.
1) Il tassista Rolandi ha riconosciuto nel Valpreda il passeggero che scese con una pesante borsa nei pressi della banca di P.zza Fontana e risalì dopo pochi minuti senza borsa. Il riconoscimento è avvenuto a Roma la mattina del 16 dicembre.
2) Il Valpreda, il giorno prima dell'eccidio, si fece prestare un cappotto elegante dal padre. Rolandi ricordava che il passeggero era "distintamente vestito".
3) Nelle pieghe della borsa abbandonata alla Banca Commerciale fu rinvenuto un vetrino giallo-verde. Valpreda, com'era noto, usava vetrini colorati di questo tipo per la costruzione di lampade "Tiffany".
4) Secondo Rolandi, il passeggero aveva preso il taxi per un percorso estremamente breve, di soli 135 metri se fatto a piedi. Valpreda non poteva camminare perché affetto dal "morbo di Burger" che gli procurava dolorosissimi crampi alle gambe. Per di più correva voce che gli mancasse un alluce.
5) Durante il servizio militare, Valpreda aveva frequentato un corso per "pionieri", era quindi esperto in esplosivi.
6) Numerose persone hanno dichiarato di aver visto il Valpreda a Roma il giorno dopo la strage. Secondo le sue testimonianze invece non si era mosso da Milano. La zia, la madre, la sorella e un'amica che confermano questa versione vengono incriminate per falsa testimonianza.
7) Valpreda dichiara di aver visto la domenica 14 dicembre l'infermiera che si recava in casa dei nonni per fare un'iniezione. Interrogata, l'infermiera signora Galli smentisce.
8) Valpreda disponeva di un'ingente quantità di esplosivo, proveniente dal furto effettuato nella cava di Grone, nel bergamasco, da Braschi e Della Savia, gli anarchici allora detenuti a S. Vittore e in attesa di processo per le bombe del 25 aprile. Inoltre, sulla Casilina, il 22 Marzo tenevo un deposito di esplosivi.
Con questa forma "contabile" i giornali di destra e le dichiarazioni degli inquisitori enumerarono allora le "prove schiaccianti" contro il mostro.

... che non sono diventati prove

Vediamo ora cosa è rimasto di tutto questo e come gli indizi si sono tramutati in "prove certe".
1) La storia di Rolandi è lunga da raccontare, (v. a fianco). Riportiamo solo alcune cose: Rolandi beveva, e molto, e a dire di quanti lo conoscevano, era tutt'altro che un tipo attendibile. Come è morto non sappiamo, non ci stupirebbe che fosse morto di paura, un poco alla volta. Sappiamo che non aveva più amici. Di come ha riconosciuto Valpreda abbiamo già detto.
2) Le indagini dimostreranno, a dispetto delle accuse, che la zia Rachele procurò il cappotto al nipote la sera del 12 e che quindi Valpreda non poteva indossarlo nel pomeriggio.
3) Il "vetrino" con cui si voleva inchiodare Valpreda, ha inchiodato Cudillo. Viene ritrovato il 14 dicembre nella borsa esplosa alla Commerciale di Milano dai dr. Zagari e Russomanno che, anziché trasmetterlo all'autorità giudiziaria come la borsa e ogni altro oggetto rinvenuto, lo consegnano alla polizia scientifica perché venga analizzato. Il vetrino verrà consegnato al magistrato solo tre mesi dopo. È un atto totalmente abusivo, ma non è questo che conta. La polizia sapeva benissimo che Valpreda e altri compagni costruivano lampade Tiffany con pezzi di vetro, non stupisce l'eccesso di zelo dei poliziotti. Stupisce invece il fatto che il 14 dicembre Rolandi non si era ancora fatto vivo e tanto meno aveva riconosciuto Valpreda. Come si spiega allora uno zelo così prematuro? Comunque il vetrino analizzato risulta "simile ma non identico" a quelli usati da Valpreda. Simile ma non identico è un eufemismo per dire diverso.
Come se non bastassero tanti passi falsi, il P.M. fa anche l'ipotesi che il vetrino, che ormai scotta, sia finito "per caso" nella borsa, dopo lo scoppio; e così conclude con mirabile logica: "questa possibilità fa perdere alla circostanza in esame il valore di indizio grave nei confronti di Valpreda e pertanto il P.M. non intende utilizzarla come mezzo di prova contro l'imputato". La difesa non è di questo avviso, la vicenda del vetrino è uno degli elementi più gravi a carico degli inquirenti.
4) Quando Valpreda viene sottoposto a perizia medico legale, il referto dice che Valpreda è affetto dal morbo di Burger in forma atipica, rilevando che la malattia è in uno stato di quiescenza che non comporta particolari limitazioni alla funzione deambulatoria. Dopo averlo descritto come un relitto umano, si scopre che oltre ad avere cinque dita per piede, è in grado di camminare e correre a lungo senza nessun inconveniente) "come una gazzella" diranno i giornali). Non per nulla fa il ballerino ed è appena stato ingaggiato per un balletto a Cagliari. E allora perché il taxi? Ce lo spiega Occorsio a pag. 82 della S.I. "... a nulla serve indugiarsi sullo sterile interrogativo (sic!) (che sembra aver afflitto alcuni anche in sede extra processuale) del perché Valpreda ebbe ad usare il taxi. Nella realtà criminale ciò che vale sono i fatti così come sono accaduti e non per come dovevano verificarsi per realizzare un delitto perfetto".
A nostro modesto parere questa, più che una argomentazione, è una idiozia.
5) È vero che Valpreda frequentò più di 15 anni fa un corso mensile del plotone pionieri a Gorizia. Se ammettiamo che ogni anno mille allievi partecipino a corsi del genere, in Italia ci sono 15.000 persone incriminabili su questa base. Stando a quanto riferisce l'istruttore del corso Michele Cicero le uniche prove pratiche tenute al corso a cui il Valpreda "almeno qualche volta prese parte" consistevano nel far brillare una saponette di 200 gr. di tritolo collegata ad un detonatore e ad una miccia a lenta combustione, il tutto in un buco scavato per terra. Siamo ben lontani dal tipo di esplosivi (gelignite-dinamite) e dal raffinato meccanismo di innesco (elettrico con "timer" a tempo) impiegati nelle bombe di Milano. Chi le ha costruite era un esperto a livello professionale, non una recluta di Michele Cicero.
6) Nella sentenza istruttoria Occorsio dichiara, con tracotanza, che "dalle univoche testimonianze dirette di Cageggi Armando, Benito Bianchi, Caraffa (in arte Sampieri) Giovanni e Zaccardi Palmira, risulta in modo inequivocabile che alle ore 20-21 della domenica 14 dicembre Pietro Valpreda era al bar "Jovinelli". Ma tace che Caraffa e Zaccardi (sua moglie) con un'identica versione, riferiscono un episodio avvenuto almeno 15 o 20 giorni prima delle bombe, quando Valpreda andò al bar con Angelo Fascetti, era in quel periodo che, come affermano i due coniugi, Valpreda aveva un livido ad un occhio, residuo di una aggressione fascista. Dal verbale di Caraffa risulta che la sera di sabato 13 è seduto nella trattoria Ancora, vicino al cinema Jovinelli. Entra Valpreda con un giovane (dalla descrizione risulta essere l'anarchico Angelo Fascetti). Valpreda ha un occhio gonfio: ci scherzano sopra. Parlano un po': Valpreda gli dice che tra qualche giorno partirà per Milano, dove spera di trovare lavoro. Poi escono insieme, lui, Valpreda e il giovane, e vanno nel bar vicino, all'angolo di via Turati. Ma Gorizia Palluzzi, proprietaria della trattoria Ancora, che conosce Valpreda da sei anni, ricorda perfettamente che l'anarchico è entrato nel suo locale per l'ultima volta il 3 o 4 dicembre, in compagnia di un certo Angelino, cioè Angelo Fascetti. E il suo racconto concorda perfettamente con quanto Valpreda ha dichiarato durante uno dei primi interrogatori. La donna per 4 volte ha ripetuto la sua testimonianza al giudice ma non è stata creduta.
Occorsio tace che la moglie di Cageggi riferisce che fu il solo Benito Bianchi a ricordare di aver visto Valpreda al bar, e fu lui a dirlo a Cageggi, con cui lavora come macchinista. Tace anche che Cageggi ha dichiarato di aver visto Valpreda seduto al tavolo del bar con un certo Leonetto Rossellini, e che Rossellini ha smentito recisamente questa circostanza.
Un'altra testimonianza uscita dallo squallido ambiente del bar Jovinelli è quella di Ermanna Ughetto, in arte Ermanna River: il 28 gennaio 1970 il settimanale Gente, sotto il titolo "Le amiche raccontano la vita amorosa di Valpreda", pubblica un'intervista con Ermanna Ughetto nella quale la ragazza afferma di averlo incontrato l'ultima volta una ventina di giorni prima della strage di Piazza Fontana. Valpreda l'aveva aspettata al termine dello spettacolo nel cinema varietà Ambra-Jovinelli, l'aveva accompagnata prima in trattoria e poi sino alla porta della pensione dove inutilmente le aveva chiesto di poter passare la notte con lei.
È lo stesso episodio che Ermanna Ughetto, due settimane più tardi, riferisce al magistrato. Ma stavolta con la data spostata: non più "una ventina di giorni prima" della strage, ma all'indomani di essa, la sera del 13 o 14 dicembre, lei si è incontrata con Valpreda. La mascherina del cinema-varietà Letizia Bollanti, sostiene che l'incontro tra Pietro Valpreda e Ermanna Ughetto è avvenuto verso gli ultimi giorni di novembre ma il magistrato non le dà retta.
Troppe cose tace il P.M. A suo avviso, i testi dello Jovinelli hanno fornito testimonianze "univoche" e "inequivocabili" mentre nel capitolo intitolato con mirabile equità di spirito "Le false dichiarazioni dei familiari di Valpreda" definisce "pietose menzogne" le testimonianze della zia (68 anni), della sorella (35 anni) della nonna (80 anni) e della madre di Valpreda (58 anni), che coincidono a puntino con quelle che Pietro fornì nel più assoluto isolamento. Strana questa polizia che costringe a confessare i più incalliti criminali con abili trucchi e "saltafossi" e non riesce a mettere in castagna una vecchia di 80 anni. Ma si sa, le nonne degli anarchici sono terribili. Come è noto tutti i familiari di Valpreda sono stati incriminati per essersi messi d'accordo col nipote dinamitardo nel fornirgli un alibi. Per quanto riguarda Elena Segre, l'amica che andò a trovare Valpreda a Milano la domenica pomeriggio, "essa è del tutto inattendibile perché legata da rapporti sentimentali con Valpreda". Così, semplicemente, se la cava il P.M. Oltre a tutto questo, rimane un mistero. Cosa sarebbe andato a fare Valpreda a Roma? E se veramente Valpreda fosse andato a Roma, che motivo aveva di negarlo? Che motivo aveva di dichiarare un alibi falso che implicava pericolosamente tutta la sua famiglia? Anche questo è uno degli "sterili interrogativi" che non affliggono Occorsio?
Non vogliamo parafrasare nessuno, ma sembra che nella realtà poliziesca ciò che vale sono i fatti così come ha deciso il Pubblico Ministero e non per come si sono verificati nella realtà.
7) L'infermiera infatti ha smentito la circostanza. Si tratta di una vecchia donna, trascinata a Roma terrorizzata e tornata in lacrime e ancor più spaventata. Speriamo non finisca come Rolandi.
8) Il furto non è mai esistito. È stato smentito dai proprietari e dai guardiani della cava di Grone al processo di Milano contro Braschi e gli altri. Al deposito sulla Casilina non è stato trovato niente, perfino le spiate di Salvatore Ippoliti parlano solo di qualche detonatore e un po' di miccia. Nessuno ha mai dichiarato di aver visto un solo candelotto di dinamite.
Sulla base di queste prove Valpreda e i compagni sono stati rinviati a giudizio, e da due anni attendono il processo.

Isolare gli imputati

L'obiettivo principale ora continua ad essere quello di isolare politicamente gli imputati. Era nelle loro intenzioni fin dall'inizio, quando dopo la morte di Pinelli, fecero un precipitoso "distinguo" fra Pinelli e Valpreda, fra anarchici veri e anarchici falsi. Come se polizia, magistratura e borghesia avessero mai fatto distinzione tra anarchici buoni e anarchici cattivi. Valpreda doveva essere isolato all'interno dello schieramento politico della sinistra, anarchici ed extra parlamentari compresi, ma sarebbe rimasto un "sovversivo di sinistra" agli occhi dell'opinione pubblica attonita e ignorante, quella su cui il potere fascista si regge. Se anche questa manovra riuscì in qualche misura per l'ottusità di qualcuno e la paura in parte (ma solo in parte) giustificabile nel clima di terrore dei giorni dopo la strage, la sua durata fu di pochi giorni. Alla fine di dicembre, tutti i gruppi politicamente più attivi della sinistra avevano capito la provocazione ed erano consci della manovra contro Valpreda. In quel momento, e nei mesi che seguirono, furono inventati gli "indizi" e le "prove" di cui abbiamo parlato, dosate con abilità a poco a poco, notizie fatte trapelare a bella posta con la compiacenza di giornalisti tipo Zicari, nonché con mezzi e metodi molto più sotterranei.
Che tutte queste cose non avessero una base concreta o fossero apertamente false (v. vetrino) era poco importante dal momento che si trattava solo di prender tempo, di reagire prontamente alle critiche che da più parti si levavano, inventando nuove fandonie. Col tempo le cose si sarebbero sistemate altrimenti e le prove e gli indizi avrebbero perso importanza di fronte all'elemento politico.

Sulla testa di Valpreda

La strategia del "lasciar tempo al tempo" adottata dalla magistratura, si è rivelata purtroppo indovinata. Se oggi consideriamo quello che sarà il prossimo processo, dobbiamo ammettere che l'elemento giudiziario, la dialettica delle prove e delle controprove, ha perso gran parte della sua importanza. Il destino di Valpreda e degli altri compagni, con tutto quello che implica, dipende da altri fattori.
Diciamo subito una cosa, questa volta, e non è per fare della retorica anarchica; ci troviamo di fronte allo Stato, come organismo, come struttura esistente che deve continuare ad esistere e a difendersi. Lo Stato in tutte le sue componenti, lo Stato che è responsabile della "sua" strage.
All'interno dello Stato, Valpreda e con lui l'intera vicenda delle bombe, è oggetto di contrattazione politica. Dal momento che tutti gli elementi dello Stato vi sono implicati (polizia, magistratura, esercito (2), servizi segreti (3), partiti (4)) la verità non può essere accettata da nessuno. Dal momento che ogni partito è compromesso con tutti gli altri e che questa situazione è attualmente immutabile, e poiché gli attentati hanno una sicura matrice politica, nessuno, salvo gli anarchici, può essere dichiarato responsabile. Questo discorso vale anche se gli organizzatori e gli esecutori fossero veramente i fascistelli tradizionali (ipotesi peraltro quantomai improbabile).
Allora le soluzioni sono due: o Valpreda (e gli anarchici) colpevoli e all'ergastolo (eventualmente con la prospettiva velata di lasciarvelo per un po' di anni, riaprendo poi l'istruttoria e trovando il modo di liberarlo) o una soluzione di compromesso del tipo "insufficienza di prove" o simili che lasciasse le cose più o meno irrisolte.
La scelta dipenderà dalla forza e dalla tenacia con cui i militanti delle forze rivoluzionarie extraparlamentari, ma soprattutto la base realmente democratica popolare e antifascista dei partiti di sinistra saprà imporre la sua volontà nella contrattazione, rifiutando ogni soluzione autoritaria.
Esiste poi una terza soluzione, assassinare Valpreda. Non facciamo commenti, ma una cosa è certa, se Valpreda more prima del processo, hanno ammazzato anche lui.
Al di sopra di questa cruda realtà, esistono invece dei livelli di contrattazione possibili: le implicazioni fasciste, le coperture del PCI, le responsabilità degli inquirenti, le connivenze della polizia, la tutela del Servizio Informazioni della Difesa, le implicazioni dei grossi industriali con i fascisti del M.A.R., di Ordine Nuovo, ecc. In più qualche pressione esterna da parte della Grecia, della CIA, di Mosca o del Vaticano. Non dimentichiamo che le bombe del 12 dicembre sono state definite il fatto più grave accaduto in Italia dalla fine della guerra in poi. Tutte queste notizie, che si possono dire, o non dire, o lasciar capire, vendere, comprare o barattare, saranno la merce di quel mercato di vacche che lo stato e i suoi fedelissimi servi vorrebbero organizzare sotto il nome di processo per la strage.

(1) Mario Merlino è un provocatore fascista "incastrato" dal suo stesso gioco. Era del tutto all'oscuro delle bombe in quanto la sua funzione era solo quella di "provocare incidenti" di poco conto e di spifferare alla Polizia e a Delle Chiaie i movimenti del 22 Marzo.
(2) A parte i noti rapporti fra esponenti dell'Esercito e colonnelli greci (leggi CIA), l'Esercito è direttamente coinvolto nella faccenda attraverso l'Arma dei Carabinieri. Il tenente dei C.C. Sabino Lo Grano è uno dei presenti nella stanza di Calabresi. Il Capitano Ciancio dei C.C. è il primo a interrogare Rolandi.
(3) Il S.I.D. ha compiuto almeno due indagini di estrema importanza, una sul MAR e una sui fascisti romani, di cui nessuno ha saputo nulla e i cui risultati non sono stati allegati agli atti dell'istruttoria.
(4) PSI e PCI compresi: il primo per il suo comportamento ipocrita e bifronte: mentre sull'Avanti la posizione del PSI sembra coraggiosa e tesa alla scoperta della verità, in sede governativa i suoi esponenti favoriscono condiscendenti la copertura dei responsabili. Per il PCI il discorso è ancora più grave: a) per aver taciuto importanti notizie in suo possesso (v. la vicenda di Achille Stuani e Gaspare Ambrosini), b) per essersi servito dell'omicidio di Pinelli a puro scopo propagandistico e solo in momenti particolari (ad es. prima e durante le elezioni del '70), c) per il fatto di favorire apertamente la tesi di comodo socialdemocratica della responsabilità anarco-fascista, cioè Valpreda strumento di Merlino, d) perché conta di entrare al Governo.

IL SUPERTESTIMONE

Negli ultimi tempi le sue condizioni di salute erano decisamente migliorate, soffriva solo di una piccola insufficienza epatica. La cirrosi - presumibilmente conseguenza dell'alcolismo - per la quale Cudillo si precipitò a raccogliere la sua testimonianza "a futura memoria", non è stata la causa, neanche remota, nella sua immatura ed inattesa fine. Aveva appena 49 anni. Senza la squallida storia della taglia sarebbe vissuto a lungo.
Lo scorso anno fu costretto a farsi ricoverare in ospedale per una colica epatica ed il primario medico che lo ebbe in cura, prof. Luchelli, dovette preoccuparsi molto di più delle sue condizioni psicologiche che non dei malanni fisici, infatti dichiarò: "Era moralmente abbattuto, potevano aver influito sul suo fisico anche situazioni emotive, aveva una situazione di coscienza non perfetta".
Questa sconcertante, e sotto certi aspetti, rivelatrice diagnosi psichica del prof. Luchelli, trova molteplici conferme nelle dichiarazioni di quanti ebbero la possibilità di avvicinarono. Rolandi appariva a tutti un "uomo distrutto", in due mesi aveva perso oltre sette chili di peso e continuava a dimagrire, per un nonnulla si abbandonava a crisi di pianto, appariva angosciato, era ossessionato al solo sentir nominare il taxi. Insomma, la sua situazione di coscienza non era normale e troppi sproporzionati isterismi, troppe ingiustificate esasperazioni diedero l'impressione che anche le sue facoltà mentali vacillassero da tempo.

Un bevitore smodato

Stando a quanto si dice di lui negli ambienti che frequentava, era uno smodato bevitore, un fanfarone, un ex pugile "incassatore" rintronato dai pugni ricevuti.
Inoltre, malgrado la tessera del PCI, che doveva servirgli, evidentemente, da copertura politica, non nascondeva i suoi sentimenti fascisti, lo scrittore Sergio Solmi ricorda che un giorno in piazza S. Babila, avendo espresso il suo sdegno per una grazzarra fascista, in quel momento in pieno svolgimento, si era sentito rispondere dall'autista che lui condivideva in pieno "l'intenzione di quei ragazzi di mettere un po' d'ordine in città".
Questi i sentimenti politici dell'uomo la cui testimonianza il G.I. Cudillo definisce assolutamente sincera, disinteressata, insospettabile, dal momento che risultava iscritto al Partito Comunista.

La "supertestimonianza".

In questo stramaledetto affare tutto è "super", persino l'assurda, incredibile, testimonianza di Rolandi.
Pur prescindendo dal comportamento folle e suicida del presunto passeggero del taxi e sorvolando su certe macroscopiche contraddizioni del Rolandi che vergognosamente non sono state rilevate o prese in considerazione dagli inquirenti, cerchiamo di esaminare alcuni aspetti di questa testimonianza.
1) Rolandi decide di raccontare la sua storia solo il giorno 15 dicembre, cioè solo dopo aver appreso che la proposta avanzata il 13 e 14 dalla stampa fascista (la stampa da lui preferita) di stanziare una forte taglia, è stata accolta.
2) La tabella di marcia compilata il giorno della strage è grossolanamente falsificata. Il percorso che interesserebbe la strage è visibilmente scritto su di un altro percorso precedentemente cancellato; altre corse effettuate dopo non vi sono, inspiegabilmente, annotate ed anche la corsa precedente non corrisponde affatto ad un itinerario realmente effettuato ma è stata annotata solo per far risultare il taxi alle 16 in piazza Beccaria.
3) Il prof. Paolucci diede una versione assolutamente diversa della corsa in taxi che Rolandi dice di aver effettuato quel 12 dicembre, ma non fu presa in considerazione, malgrado dovesse far sorgere fondati sospetti il fatto che Rolandi in un primo momento negò persino di aver parlato con Paolucci. Perché? Da notare che Rolandi aveva detto a Paolucci di aver rilevato il passeggero a piazza Napoli dove, a quell'ora esatta, si trovava Sottosanti.
4) La prima descrizione che Rolandi fa del passeggero si attaglia perfettamente a Sottosanti il fascista: circa 40 anni, tipo bruno, capelli neri, alto 1,74, connotati regolari, cappotto marrone scuro, camicia, cravatta, voce baritonale, con accento straniero o meridionale contraffatto.
Nessuno di questi dati può essere attribuito a Valpreda, che è alto 1,68, decisamente biondo-castano, mai avuto una camicia e cravatta, nessun cappotto marrone ed ha una inconfondibile voce chioccia con spiccato accento milanese.
5) Contraddittorie e false le descrizioni che Rolandi farà, in più riprese, della famosa borsa che ebbe modo di "notare attentamente".
6) La sera del 15 dicembre Rolandi fu condotto in questura e gli furono mostrate le foto di Valpreda e gli fu detto: "questo è l'uomo che devi riconoscere", come risulta dal verbale.
7) Rolandi fu portato immediatamente a Roma in aereo, era fuori di sé dalla gioia, non pensava che alla taglia e non parlava d'altro, il questore Guida lo aveva incoraggiato e rassicurato: "bravo Rolandi, ti sei sistemato, hai finito di fare il tassista", durante il viaggio gli accompagnatori, che evidentemente non si fidavano delle capacità mentali dell'uomo, lo esortavano continuamente: "non pensare alla taglia, per il momento, ma pensa a riconoscere Valpreda"; infatti lo riconobbe, stanco, malmesso, frastornato, tra quattro poliziotti che anche un cieco avrebbe scartati per il sentore di polizia che emanavano a distanza, ma non fu, nonostante tutto, troppo sicuro e lo si sentì persino balbettare fra i denti: "chissà se è proprio lui".
8) In quelle condizioni di spirito, con la mente sconvolta dalla visione di una montagna di ghiotti milioni, qualunque fotografia gli avessero mostrata dicendogli che quello era "l'uomo che doveva riconoscere", una foto di Sottosanti, di Colombo, di Restivo o di Gesù e gli avessero messo davanti, tra quattro poliziotti l'originale in carne e ossa, Rolandi avrebbe riconosciuto in chiunque, anche in un Cristo in croce, il suo cliente del 12 dicembre.
9) Il miraggio dell'ingente taglia lo aveva stregato, evidentemente gli aveva finito di scombussolare il cervello già intronato dai pugni. Nella euforia malsana per tanto danaro che gli sarebbe piovuto così facilmente nelle tasche non si rendeva conto della situazione in cui si cacciava. Rigettava la testimonianza di Paolucci nel timore di dover dividere la taglia, incoraggiato a ciò dall'atteggiamento benevolo e rassicurante degli inquirenti, e parlava e parlava della taglia.
La supertestimonianza di Rolandi non si regge in piedi, frana da tutte le parti, viene ridicolizzata da tutta la stampa. La psiche del Rolandi vacilla sempre di più, è irriconoscibile ed incomprensibile, sempre più preda di angosce e di crolli nervosi; ride, piange, si abbandona a strane dichiarazioni, come quando disse: "non ce la faccio più con il taxi, ma dovranno pensarci loro". E la "giustizia" effettivamente ci penserà, Cudillo si precipiterà in ospedale per fargli sottoscrivere con mirabile intuito un inutile verbale "a memoria futura", da usare "postmortem". Non è morto di cirrosi o per una colica epatica, ma è comunque morto, i calcoli della "giustizia" tornano sempre.

Il peso della testimonianza

Indubbiamente Rolandi è stato stroncato dal peso enorme della vicenda in cui si era cacciato. La sua morte apparentemente mette nelle mani dell'accusa una testimonianza che non potrà essere smentita in sede dibattimentale dall'interessato ma che, giuridicamente, deve essere ritenuta irrilevante, non potrà assolutamente servire di puntello alla infame e mostruosa macchinazione, perché oltre alle madornali assurdità ed incongruenze fin qui rilevate, altre ce ne sono che emergeranno durante il processo e la magistratura non potrà continuare a calpestare tutte le norme procedurali avvallando il comportamento inammissibile con il quale Occorsio e Cudillo hanno calpestato ogni diritto della difesa, anche nel raccogliere il verbale "a memoria futura" per cui questo cinico ed imperfetto documento dovrà essere estromesso dagli atti del processo.
Con la morte Rolandi si è sottratto ad una vicenda processuale ben più pesante, debilitante, avvilente, di quella che gettò nel ridicolo e coprì di vergogna la "superteste" Rosemma Zublena.

PERCHÉ LE BOMBE

Il 12 dicembre 1969 le forze di sinistra "scoprono" che in Italia c'è la repressione.
È infatti da quella data che i cortei e le manifestazioni gridano lo slogan tardivo "la repressione non passerà" mentre purtroppo era già passata e le bombe ne erano l'apice.
La repressione era già iniziata in modo chiaro, inequivocabile, ma i sedicenti rivoluzionari delle varie chiesuole marxiste-leniniste erano troppo intenti ad analizzare i pensieri del "libretto rosso" e non si curavano di quanto accadeva in Italia.
Gli anarchici, colpiti per primi dalle manovre reazionarie con gli arresti dei compagni incarcerati per gli attentati del 25 aprile 1969, avevano capito cosa stava accadendo.
Già nel giugno 1969 sul n.1 del bollettino dell'organismo assistenziale per le vittime politiche "Crocenera anarchica" scrivevano che lo scopo delle bombe fasciste camuffate da anarchiche era di: "1) suscitare la psicosi dell'attentato sovversivo per giustificare la repressione poliziesca e l'involuzione autoritaria; 2) gettare discredito sugli anarchici (e, per estensione, sulle forze di sinistra). Essenziale per ottenere il secondo risultato e utile anche per il primo è di fare qualche ferito innocente o meglio ancora (ma più pericoloso) qualche morto".
Nel numero di agosto, approfondendo l'analisi, la Crocenera si domandava: "Dove vige un regime autoritario, alla vigilia della visita di qualche importante uomo di stato vengono effettuati dei controlli particolari, teste calde, sediziose ed anarchici vengono trattenuti dalla polizia chi per accertamenti, chi per pretesi crimini.
Ci si domanda allora, in questo terribile 1969 chi diavolo sta arrivando in Italia?".
La risposta era una sola: "Non ragioniamo certo come coloro che pensano (e spargono la voce) ad un colpo militare alla greca. I sostenitori di questa teoria, apologeti dello stato di fatto, paiono non temere e non prendere in considerazione con più modestia cose ed avvenimenti che chiariscono come in Italia il "colpo di stato" è già stato attuato in maniera più italiana e consona allo stato di cose".
Ma il discorso si spingeva più a fondo e coerentemente all'analisi sviluppata coglieva, purtroppo, nel segno indicando l'unica alternativa che restava alla classe dominante: "... creare la situazione di emergenza, la situazione intollerabile e lo stato di necessità in cui qualsiasi nefandezza è legale; creare la disperazione che faccia salutare come liberazione la perdita della libertà".
Queste parole si persero però nell'indifferenza e sempre sul bollettino della Crocenera anarchica, subito dopo le bombe, gli anarchici scrivevano: "La strage di piazza fontana non ci è giunta del tutto inattesa. Da molto tempo prevedevamo e temevamo un attentato sanguinario. Era nella logica dei fatti. Era nella logica dell'escalation provocatoria iniziata il 25 aprile. Per giustificare la repressione, per seminare la giusta dose di panico, per motivare la diffamazione giornalistica e scatenare l'esecrazione pubblica ci voleva del sangue. E il sangue c'è stato".
Purtroppo, come avevamo previsto, la repressione mascherata da "democratica" tutela dell'ordine contro gli opposti estremismi ha continuato la sua marcia. Solo noi anarchici sembravamo accorgercene.
Per mesi abbiamo gridato nelle piazze, scritto sui muri, sui manifesti, nei volantini, ripetuto nei nostri giornali che era solo l'inizio. E sulle piazze ci ritrovavamo soli, manganellati, fermati, denunciati e per di più ignorati dai marxisti-leninisti, dal M.S. e dagli altri "neo-rivoluzionari", i quali ritenevano di avere cose più importanti di cui occuparsi, ben lieti in fondo che polizia, magistratura e stampa se la prendessero con gli anarchici. Poi, come avevamo previsto, la repressione si è estesa, con migliaia di denunce ad operai, centinaia di fermi, perquisizioni, ecc. Per la prima volta a Milano è stato violentemente impedito un corteo del Movimento Studentesco (quelli anarchici erano sempre stati dispersi brutalmente)... Anche un cieco avrebbe potuto capire cosa stava succedendo e sembrava che anche i giovani dilettanti della rivoluzione marx-leninista cominciassero finalmente a capire. E invece no.
Eccoli a gridare - facendo coro con la sinistra parlamentare, ben altrimenti interessata - che la repressione non passerà. Come se la repressione non fosse già passata, come se fosse normale routine democratica tutto quello che da qualche mese sta succedendo, come se fosse normale routine democratica che i fermati dalla polizia "cadano" dal 4° piano della Questura e diecimila operai vengano denunciati e decine di militanti di gruppi extra-parlamentari vengano incriminati e condannati rispolverando i famigerati articoli 270-71-72 del codice fascista... Come se fosse normale routine democratica che per gli attentati scopertamente reazionari vengano immediatamente accusati gli anarchici (cfr. dichiarazione del poliziotto Dr. Calabresi) e fermati, interrogati, perquisiti 588 (cinquecentoottantotto!) militanti della sinistra extra-parlamentare e 12 fascisti (rilasciati per primi dopo essere stati trattati con ogni riguardo)... A quanto pare i nostri scientificissimi "cugini" marxisti riconoscono la repressione e il fascismo solo quando porta il fez (e solo, naturalmente, quando li colpisce direttamente).
Le bombe avevano quindi "gelato" l'autunno caldo, la lotta per il predominio tra la nuova classe tecnoburocratica in ascesa verso il potere e la classe capitalistica più reazionaria era entrata nella fase cruciale, la grande industria oligopolistica accettava di vedersi frenare temporaneamente il processo di razionalizzazione economica in atto pur di far rientrare gli "scioperi selvaggi", permettendo alla piccola e media industria di riprendere fiato e di continuare ancora la sua funzione sfruttatrice fino a momenti più favorevoli.
È infatti in questo quadro (ed è stato ormai ripetuto in tutte le salse) che si colloca questo ennesimo crimine dei padroni ai danni degli sfruttati di sempre.

La strage continua

13 dicembre '69 - Udo Lemke, un capellone tedesco, si presenta dai carabinieri dicendo di aver riconosciuto in Piazza Venezia, subito dopo gli attentati, tre fascisti siciliani che un mese prima gli avevano proposto di compiere attentati dinamitardi in varie città, tra cui Roma e Milano.
14 dicembre '69 - Viene ricoverato in clinica l'avv. Vittorio Ambrosini, fratello del consulente costituzionale di Saragat e padrino di cresima di Restivo. Confida ad un suo vecchio amico comunista di aver partecipato, nella sede romana del gruppo fascista di "Ordine Nuovo", alla riunione preparatoria della strage. Da allora è inavvicinabile.
15 dicembre '69 - Il corpo di Giuseppe Pinelli assassinato nella questura di Milano, cade dalla finestra del commissario Calabresi (oggi promosso). Presente il tenente dei C.C. Lo Grano e i brigadieri Mucilli e Panessa (tutti promossi).
25 dicembre '69 - Scompare Armando Calzolari, amministratore del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese. Non era d'accordo con il programma dei camerati a proposito delle bombe. Provetto sommozzatore, verrà ritrovato un mese dopo dentro un pozzo: affogato in 80 cm. d'acqua. È certo che fu ucciso.
16 gennaio '70 - Udo Lemke, il capellone tedesco reo d'aver denunciato Stefano Galatà, responsabile dei Volontari del MSI di Catania, come uno degli attentatori dell'Altare della Patria - viene arrestato per droga. Attualmente ricoverato alla clinica neuro di Perugia.
27 ottobre '70 - Muoiono in un "incidente" stradale 5 anarchici calabresi. Due di essi - Angelo Casile e Giovanni Aricò - sono stati importanti testi a discarico dell'istruttoria Valpreda e stavano svolgendo una importante indagine di controinformazione. L'incidente - provocato dalla brusca fermata di un camion che li precede - avviene alla stessa altezza dove otto anni prima era morta, in circostanze analoghe, la moglie di Junio Valerio Borghese. Il padre di uno dei giovani aveva ricevuto, qualche giorno prima della partenza, la telefonata di un suo amico brigadiere di P.S. che lo consigliava di non lasciar partire il figlio.
16 luglio '71 - Muore Cornelio Rolandi, il "super-testimone" della polizia. Il decesso viene ufficialmente attribuito a "broncopolmonite".