Rivista Anarchica Online
Scacco al re
di Bruno Rizzi
La crisi del dollaro annuncia la morte del sistema capitalistico
Sulla crisi del dollaro presentiamo uno scritto di Bruno Rizzi. Il
Rizzi non è anarchico, abbiamo però
ritenuto utile la pubblicazione di questo articolo, anche se come anarchici non possiamo concordare
a pieno con l'autore, perché riteniamo stimolante l'originale prospettiva da cui affronta il
problema. A petto di quanto abbiamo letto, sulla stampa di sinistra, della crisi del
dollaro, delle sue cause e delle
sue implicazioni (rimasticature di vecchie analisi marxiane obsolete), l'interpretazione del Rizzi è,
a
nostro avviso, feconda di spunti. Ha il pregio, inoltre, di non entrare nelle fumosità
contraddittorie
delle discussioni specialistiche ma di ricondurre l'episodio ai dati essenziali del fenomeno generale di
cui la crisi del dollaro è, secondo il R. un aspetto: la progressiva estinzione del libero mercato
ed il
progressivo parallelo affermarsi di un nuovo rapporto di produzione, che non è più
capitalistico, ma
nemmeno socialista. Il Rizzi, autore di numerosi saggi, tra cui "Il Collettivismo
Burocratico", "Il socialismo infantile", "Il
socialismo dalla religione alla scienza", è di scuola marxista seppure estremamente eterodosso,
spregiudicato (tanto da citare frequentemente e con stima, unico fra i marxisti,
Bakunin). Il R. ebbe poco prima della seconda guerra mondiale una polemica con
Trotzkij (che ebbe una certa
risonanza nell'ambiente) sul significato della società bolscevica russa che T. definiva "Stato
operaio
degenerato" e R. "Collettivismo burocratico". La distinzione non era formale, ma sostanziata da analisi
divergenti: per T. la società russa era, nonostante tutto, progressiva: i burocrati non erano una
nuova
classe dirigente, ma solo dei parassiti che frenavano il processo di transizione al socialismo e che il
proletariato si sarebbe facilmente scrollato di dosso: per R. la società russa era regressiva, di tipo
feudale, ed il burocrati una nuova classe di padroni nata e radicata su un nuovo rapporto di
produzione, su una nuova forma di sfruttamento che ricorda per molti aspetti quella feudale.
L'intuizione del R. venne ripresa e volgarizzata da un americano, James Burnhan, il quale ne
ricavò
un saggio divulgativo "La rivoluzione dei tecnici" che ebbe un grande successo editoriale.
Anni fa, polemizzando con "Se Marx tornasse..." di Galbraith facevamo notare che gli economisti
americani (in realtà tecnici bancari e della circolazione) cantano vittoria troppo facilmente
nell'imbrigliamento delle leggi economiche e delle crisi cicliche. Sono persuasi di poter dirigere
l'economia
a loro piacere. Vedono che crisi di superproduzione non ce ne sono quasi più e pretendono di
aver
trovato il toccasana capace di dominare le "forze cieche" dicono loro. Spiegammo che il tutto era
stato ottenuto al prezzo di una alterazione progressiva del sistema economico
capitalista particolarmente intaccato dalle misure prese nella grande crisi 1929-1932. Ci si spinse
infatti ad un tale punto di snaturamento del sistema economico vigente, per cui non era più
il caso di parlare di capitalismo vero e proprio.
Le crisi cicliche Logico quindi che fossero scomparse le crisi cicliche
perché veniva a mancare sempre più il capitalismo
stesso. Secondo noi si trattava di una vittoria come quella di 2000 anni fa di Augusto a Roma: non
più
questione agraria o dei debiti, ma queste faccende che dilaniarono la Repubblica Romana erano
scomparse semplicemente perché la Pax Romana rappresentò soprattutto
il trapasso dall'economia
mercantile schiavista antica all'economia feudale. Chiaro che i fenomeni politico-economici propri
dell'ambiente mercantile antico fossero scomparsi e chiaro che ai nostri giorni siano quasi scomparse le
crisi cicliche del capitalismo date le alterazioni economiche inferte ad esempio dal New Deal, dal
fascismo
e dal nazismo. Con la distruzione delle merci si rinnegò materialmente il sistema economico
capitalista
stesso. Abbiamo accennato a quanto sopra perché la "crisi del dollaro" a nostro avviso, non
è la semplice
disfunzione di una moneta come successe per la sterlina o per il franco, ma lo scombussolamento di tutto
il sistema monetario mondiale ormai ancorato al dollaro che da due anni (dal doppio mercato dell'oro)
era l'effettivo "standard" sul quale si fondavano i sistemi monetari europei. Anche la finzione del
gold
standard è quindi finita.
Un colpo di benna al capitalismo Questi tecnici bancari che sono
giunti al punto di inventare l'oro-carta, troveranno certamente una nuova
soluzione e magari grideranno vittoria sempre pretendendo di avere ammansite le forze brute della
Natura. Ma noi in questa "crisi del dollaro" vediamo qualche cosa di diverso di un semplice
inceppamento
dell'apparato circolatorio mondiale. Secondo noi, il sistema capitalista riceve un altro gran colpo di benna
come nel 1929. Prosegue insomma la fase di seppellimento del capitalismo ed oggi si manifesta
nientemeno che nel tallone di scambio. Caspita, l'han preso per un arnese a tutto fare. In casa si stampa
moneta a volontà di governo; per gli scambi internazionali si è messo da gran tempo l'oro
in cantina e ci
si è serviti di un paio di valute, talmente buone, dicevasi, da poter essere considerate come oro.
Ma
l'economia a lungo andare porta sempre i nodi al pettine e si dovette convenire, ad un certo momento,
che la sterlina proprio non meritava tanta fiducia. Ora è la volta del dollaro; questo però
rappresenta
l'ultima difesa della moneta come tale ed il suo crollo è mondiale. Oltre il dollaro non resta che
la carta
o l'oro. Addio Bretton Woods col suo exchange, addio valute pregiate, addio a tutti i
precedenti artifici
e addio ai diritti di prelievo. Dove andranno ad attaccarsi i nostri banchieri e tecnici della
circolazione
per rimettere in piedi quella internazionale? Stavolta la faccenda si presenta alquanto difficile. Non
si tratta di curare la malattia di una moneta secondaria. Qui si è dato scacco al Re. Il dollaro
rappresentava la moneta per eccellenza e si è arreso perché, traviato com'è, non
ce la fa più nella funzione
di tallone monetario. Un'altra moneta sana come ad esempio il marco, non può neanche
sostituirlo perché
lo snaturamento del sistema economico capitalista è arrivato al punto in cui qualsiasi moneta
cartacea non
è più tallone di scambio e la caduta delle Re-dollaro conferma il fatto. Poco per volta,
di snaturamento
in snaturamento, la moneta cartacea dei sistemi economici Occidentali si è ridotta ad una moneta
di conto
anche dove le riserve auree esistono, ma risultano immobilizzate.
Dal mercato all'autarchia In questo crollo della moneta principale noi
rileviamo dunque l'acme dello snaturamento del settore
valutario del sistema economico capitalista. Da decenni si procedeva dal mercato verso l'autarchia e dopo
tanti rattoppi, siamo al punto in cui il denaro finisce di essere tale. La snaturata banconota si rivela
incapace di svolgere oltre il ruolo di tallone di scambio e diventa un buono di consumo, un'unità
di
tempo-lavoro come il rublo in Russia. Il dollaro sta per abbracciare il fratello nemico senza rivoluzione
e senza intervento di carri armati in virtù del principio di sovranità limitata. Passiamo il
valico. Finora la
moneta si snaturava; attualmente è preminentemente snaturata dando inizio alla discesa
più o meno rapida
verso l'autarchia. Senza moneta, crolla il mercato; questo è il senso dell'attuale "crisi del dollaro"
secondo
il nostro modesto avviso di economisti e non di tecnici della circolazione. Il fatto che rimangano
ancora in piedi sistemi mercantilmente "sani" come il tedesco od il giapponese non
è di grande significato perché sono circondati da un ambiente "malato" e finiranno per
subirne il contagio.
Non possono sopravvivere se i loro partners si trovano nell'impossibilità di
comprare o di vendere e se
il mercato internazionale si arresta. Insomma, lo scacco al dollaro inizia la fase discendente di
eliminazione del sistema economico mercantile nel mondo. Quaranta o cinquanta anni fa avremmo
salutato con gioia questo avvenimento, ma dopo aver constatato
che i socialisti di tutte le scuole sono incapaci di creare un'economia socialista e dopo aver toccato con
mano che lo Stato programmatore nonché nazionalizzatore porta il mondo alla barbarie, ci
troviamo
nell'infelice condizione di essere afflitti per questo decesso capitalista! Incredibile per socialisti della
nostra
fatta, eppure estremamente logico.
Il collettivismo burocratico Finché il capitalismo teneva duro
noi speravamo di mettere a punto il sistema economico socialista per
poterlo poi applicare ovunque. Oggi il capitalismo crolla e noi non siamo pronti a sostituirlo
positivamente. Anzi, il collettivismo burocratico (1) ostenta già quasi ovunque i suoi infausti
successi
sostituendo lo Stato alla classe capitalista. Indifferenti assistiamo alla farsa tragica di sentire uomini politici
ragionare seriamente di misure economiche e dar disposizioni produttive. In certo qual modo ci siamo
già abituati ad un nuovo mondo natoci sotto il naso nella nostra assoluta incoscienza. Presto i
mandarini
statali fungeranno quasi da feudatari ed i lavoratori di Stato figureranno come loro asserviti. Per il
momento, tra i "comunitari", la regola "unitaria" è che ognuno fa per conto suo, ma si
dovrà salvare la
faccia e si addiverrà ad una comune intesa nella scelta di qualche palliativo economico del genere
dei
"prelievi speciali". Di soluzioni più durature per la salvezza del sistema capitalistico ne
vediamo due soltanto. 1) Ritornare
al tallone aureo lasciandone libero il corso in modo che l'aumento del valore del metallo pregiato
supplisca
la scarsità lungamente lamentata probabilmente per giustificare l'invenzione dell'oro-carta.
Ciò comporterà
però una forte riduzione del credito, proprio l'atout che, secondo noi, ha vivificato
la produzione
mondiale negli ultimi decenni. Diversamente, 2) bisognerebbe costituire una Banca d'Emissione
Internazionale che garantisca le banconote sulla produzione. Se bene organizzata, potrebbe evitare in un
larghissimo settore l'uso dell'oro come tallone monetario, ma chi può credere che gli Stati siano
capaci
di tanto? Dovemmo constatare che tutte le buone intenzioni comunitarie regolarmente sfoderate sulla
stampa mondiale e messe persino nello Statuto costitutivo di Roma, vennero brutalmente messe da parte
non appena l'interesse nazionale apparve minacciato. La Francia della grandeur non fece
neppure onore
alla sua firma (alla clausola che dopo dieci anni le decisioni spettavano alla maggioranza). Oggi, nella
presente crisi, chacun fait pour soi ed ogni Stato prende le sue proprie nonché
peculiari decisioni. Di
più, oggi la soluzione della crisi non è soltanto europea, ma mondiale. Ecco quindi
che, trovato un momentaneo riassetto dello scambio internazionale grazie alla fantascienza
economica dei nostri tecnici bancari, non si farà che scendere ulteriormente verso la china
autarchica e
prossimamente un altro colpo di benna, chissà in quale settore, ci porterà ancora
più lontano dal mercato
finché di quest'ultimo ne resterà soltanto il ricordo. Sia chiaro che in tutte queste
vicende dal 1914 in poi, i più colpevoli di tutti siamo noi socialisti
dimostratici incapaci di opporre il proletariato internazionale ai maledetti nazionalismi di tutte le risme,
ed incapaci di attuare quel sistema economico non sfruttatore e progressivo del quale ciarliamo da quasi
due secoli. I capitalisti naturalmente hanno fatto tutto il possibile per mantenere in piedi l'economia
di mercato, ma
ora respirano sotto la tenda ad ossigeno. Intoneremmo volentieri il De Profundis se nel
contempo
sorgesse il Sole dell'Avvenire, ma purtroppo è la barbarie che si presenta in un'alba spettrale.
L'avete vista
iniziarsi con i Duci e con i Fuehrer; Stalin l'ha addirittura proprio barbaricamente cristallizzata. L'Africa
liberatasi dal giogo coloniale ricade nel servaggio di una nuova classe politica pretenziosa, ma
economicamente e tecnicamente incapace. L'America del Sud è in mano ai militari e la
democratica
Europa è ridotta a tre nazioni soltanto nonché democraticamente vacillanti.
Socialismo o barbarie Centoventi anni fa e più Proudhon
profetizzò che senza Federazione Europea il secolo ventesimo sarebbe
stato un macello. Non pare che quel grande intuitore si fosse sbagliato. Beh, seguendo il suo pensiero,
ci è facile intravedere che nel mondo del ventunesimo (e più probabilmente a cavallo del
secolo) ci sarà
qualcosa di peggio di un semplice macello. Lasciate che si preparino gli attuali cinque grandi del mondo
e poi vedrete come ve lo conceranno. Solo l'Internazionale poteva evitare un tale immane disastro. Cento
anni fa i nostri nonni ne crearono almeno l'emblema, noi ne abbiamo perse persino le tracce.
"Proletari di tutti i Paesi, come siete disuniti"!
Bruno Rizzi
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