Rivista Anarchica Online
Mao e Nixon
di Emilio Cipriano
Perché Nixon va in Cina? Perché il rappresentante della
conservazione e dello status quo si incontra con
i dirigenti della cosiddetta "rivoluzione permanente"? Al di là delle ragioni di parte vediamo
di analizzare quali sono le motivazioni che spingono a questo
incontro. La nostra sarà una enumerazione di situazioni oggettive sulle quali ci ripromettiamo
di tornare
per una più meditata analisi.
La bilancia commerciale U.S.A. in passivo Non è più
un mistero per nessuno come i prodotti americani abbiano perso molto terreno sui mercati
internazionali. Sia per il sorgere di potenze produttive nuove (M.E.C., Giappone) sia per la crisi insita
nel sistema americano. Ci troviamo di fronte ad una situazione decisamente anomala rispetto agli
schemi degli economisti sia
classici che marxisti. La potenza produttiva capitalistica americana si trova di fronte non ad una tipica
congiuntura sfavorevole, bensì ad una crisi di sottoproduzione rispetto al mercato
conquistato. Comprensibili quindi le misure protezionistiche adottate: frenare l'afflusso dei prodotti
esteri, dare vigore
(apparente) alle industrie nazionali che potranno ritornare competitive soprattutto su mercati più
favorevoli che non quelli attuali.
La Cina grande mercato per gli U.S.A. Le carenze riscontrate dai
prodotti U.S.A. sui mercati internazionali necessitano di un nuovo sbocco di
grande assimilabilità; è per questo che in logica conseguenza con le misure sopra
accennate Nixon ricerchi
un futuro acquirente per i prodotti non più vendibili ad esempio in Europa. D'altro canto la
Cina necessita di moltissimi prodotti sia per uso industriale che per il consumo.
La fastidiosa potenza del Giappone L'espansione
economico-produttiva del Giappone sta notevolmente impensierendo sia gli U.S.A. che la
Cina. Per gli U.S.A. rappresentano un nemico sui mercati dell'Estremo Oriente, per la Cina una
potenza in
grado di mettere in forse la supremazia cinese in quel settore del globo.
Le basi dell'incontro Altro dato estremamente importante sul quale
vogliamo fermare la nostra bozza di analisi è il saggio di
scambio dei prodotti U.S.A.-Cina. Dato il differente grado di tecnologia raggiunto nei due paesi, in
contropartita dei prodotti finiti americani ad alto valore specifico Mao non potrà offrire null'altro
che
prodotti naturali o poco lavorati a basso valore specifico. Offrirà cioè innumerevoli
ore di lavoro di contadini ed operai cinesi per avere i prodotti risultanti dagli
investimenti capitalistici americani. In definitiva agevolerà lo sfruttamento degli operai e dei
contadini
cinesi da parte del capitale americano. Par già di udire le urla isteriche dei maoistelli nostrani, ma
nulla
è meno soggettivo dell'economia e della legge di scambio. Se ti cedo un manufatto per il
quale ho investito un capitale di L. 100 unitamente a 4 ore di lavoro in
cambio di un prodotto agricolo per il quale, tralasciando il tuo capitale investito (sementi, concimi, ecc.),
hai impiegato 30 ore di lavoro è evidente che il mio capitale sfrutta, pur nell'ambito del libero
scambio
commerciale, il tuo lavoro. Così accadrà per la Cina.
Salvare il dollaro Nixon oltretutto con questa manovra tenta
un'operazione a livello finanziario non indifferente. Il dollaro
sta rapidamente decadendo come moneta internazionale di pagamento, ma se si aprono relazioni
commerciali con la Cina (dato che i regolamenti delle partite dovranno essere fatti in dollari, non essendo
la moneta cinese valutata sul mercato internazionale) risulta evidente che si impone agli stessi paesi un
ulteriore dilemma circa l'abbandono o meno del dollaro come moneta di pagamento.
Il Vietnam La "sporca guerra" non costa cara solo agli americani,
ma sta divenendo troppo costosa anche per
l'economia cinese. Inoltre in cambio dell'enorme favore fatto a Nixon nel "gelare" la situazione
vietnamita (ora che gli
americani non sanno più che pesci prendere) Mao potrebbe richiedere condizioni più
favorevoli in altri
settori.
I paesi del terzo mondo e il nuovo "status quo" La Cina con una
accorta e lungimirante politica è riuscita ad includere nella sua area egemonica numerosi
paesi asiatici ed africani. Questa situazione di fatto attende ora la sua sanzione "giuridica". Una nuova
Yalta passerà una altra volta sopra la testa dei popoli del mondo intero. Si perverrà
quindi ad includere tra i gendarmi a livello mondiale anche la Cina, con grande imbarazzo
di coloro che ritenevano questo paese la guida della rivoluzione mondiale. La Cina del resto ha
già dato
dei buoni saggi della sua disponibilità alla funzione di garante dell'ordine costituito appoggiando
la
repressione controrivoluzionaria nel Pakistan, a Ceylon e nel Sudan.
La stampa marxista-leninista italiana La notizia del prossimo incontro
ha suscitato notevole scalpore e le forze politiche più direttamente
interessate (cioè marxiste-leniniste) hanno assunto varie posizioni: dalla difesa ad ogni costo al
cauto
distinguo. Dalle tesi sonoramente imbecilli (e neppure meritevoli di commento) di "Servire il Popolo"
organo
dell'Unione dei Comunisti Italiani (m.l.) e di "Nuova Unità" del PCI che a tutte lettere esaltano
la vittoria
di Mao su un Nixon in ginocchio, passiamo di sfumatura in sfumatura a posizioni più
"intelligenti" più
"autonome". In questo ambito "Il Manifesto" pur lodando la Cina quale "solo paese rivoluzionario su
scala mondiale" ammette che certe scelte politiche, soprattutto in questi ultimi tempi - Ceylon, Pakistan,
Sudan - unitamente all'avvicinamento a Nixon sono "purtroppo situazioni difficili a comprendersi in una
strategia rivoluzionaria". Anche "Lotta Continua" formula numerose critiche alla politica
internazionale e con un'abile operazione
riesce a recuperare l'ideologia di un partito che oggi pone le sue premesse di potenza imperialista. La
manovra - lo ripetiamo - è abile, soprattutto per come è presentata. Solo oggi i lottatori
continui fingono
di accorgersi che qualcosa in Cina non va come la loro propaganda vorrebbe. Ha un solo e sostanziale
difetto: è la trita storia di tutte le chiesuole marxiste leniniste che rifiutano la storia quando questa
non
rientra nei loro schemi. Anni fa è stata la volta dell'U.R.S.S., oggi cautamente si comincia con
la Cina
e tra qualche anno i dirigenti cinesi saranno dei "biechi revisionisti". L'importante è salvare
l'ideologia,
ed ogni partito o movimento assicurerà di essere l'interprete più autentico del dogma
rivoluzionario;
sempre ignorando volutamente che se nonostante le "corrette premesse" si perviene immancabilmente
al tanto odiato "revisionismo" vuol dire che qualcosa nell'ideologia marxista non funziona e la sua
scientificità è soltanto pretesa ma non reale.
Significato e portata di questo incontro Dopo l'elencazione
schematica di alcuni dati del problema, vediamo di impostare una prima sintesi (sulla
quale - ripetiamo - ritorneremo in maniera più completa) del fenomeno in esame. Le ragioni
principali crediamo vadano ricercate nell'interesse economico che spinge queste due potenze
a commerciare. Le merci, si sa, non necessitano di ideologie per circolare, vanno dove sono richieste,
ai filosofi ed ai
teorici di partito spetterà poi il compito di spiegare e giustificare. Intravediamo i notevoli vantaggi
che
l'economia americana (in crisi) dovrebbe trarre da questo incontro (pareggio della bilancia commerciale,
salvataggio del dollaro, ecc.) e constatiamo lo stato di necessità della Cina (bisogno di prodotti
finiti,
riconoscimento politico, status quo nel terzo mondo, ecc.); ma il fenomeno in tutta la sua interezza e in
tutte le sue implicazioni avrà una portata più ampia della quale è prematuro dare
definizioni con le poche
notizie in nostro possesso. D'altronde le voci dei dissidi all'interno del vertice cinese non ci lasciano
perplessi: la dialettica a livello
di classe dirigente esiste dappertutto, ed anche in Cina ritroviamo "Falchi" e "Colombe". Il grande escluso
dalle decisioni sarà come sempre il popolo anche se Ciu En-lai per giustificare questa politica non
ha
esitato ad affermare, con la disinvoltura che lo contraddistingue: "Nel mondo oggi esistono ancora gli
Stati e senza una normalizzazione dei loro rapporti sarebbe impossibile dare libero corso allo sviluppo
dei contatti tra i popoli".
Emilio Cipriano
|