Rivista Anarchica Online
Ungheria 1956 - i consigli operai
di Suzanne Körösi
"La gente (in Ungheria) rifiuta di vivere come prima e neppure i dirigenti possono governare
nello stesso modo. Tutto è pronto per un sollevamento. Chi lo dirigerà, dal momento che la
classe operaia è disorientata e che il partito non è più all'altezza degli avvenimenti e ha perso la
sua autorità sulle masse?" (Tanyoung, agenzia d'informazioni jugoslava, Belgrado, 18 ottobre
1956) (1).
Questa informazione è stata data, cinque giorni prima dell'esplosione ungherese, dal direttore
dell'istituto Jugoslavo di Politica e di Economia Internazionale, che era andato a Budapest dal 10
al 17 ottobre per tenere delle conferenze sulle esperienze di economia socialista della Jugoslavia.
Quello che sorprende, in questa constatazione, non è tanto la giustezza della previsione che si
realizza nel giro di pochi giorni, ma piuttosto la falsa impressione del visitatore sul
disorientamento della classe operaia ungherese. La curiosità della popolazione operaia e
intellettuale ungherese per l'esperienza dei consigli operai che funzionano in Jugoslavia dal 1950
entusiasma forse l'economista jugoslavo, ma, apparentemente, non gli permette di prevedere un
orientamento analogo nelle aspirazioni sociali e politiche che incontra.
Tuttavia, nelle discussioni, il tema dei consigli operai era nell'aria già da mesi. Dopo la
riabilitazione di Làszlo Rajk (in marzo), che era stato giustiziato sulla base di accuse
prefabbricate, anche per la sua simpatia per la Jugoslavia; dopo la riunione del Circolo Petöfi (in
giugno), dove la signora Rajk chiede (davanti a un grande pubblico) che vengano presi
provvedimenti contro gli assassini del marito; dopo la destituzione di Ràkosi, nota vedette della
scena politica degli ultimi undici anni, "l'atmosfera politica era tesa, perché un vento di libertà
aveva attraversato le fabbriche, contro la pressione soffocante del partito". Lo stesso
economista jugoslavo fa sapere, dalle colonne di Borba (quotidiano del partito) che, tanto gli
operai di Csepel (il più grande distretto industriale dell'agglomerato di Budapest), quanto i
professori e gli studenti della Scuola di Scienze Economiche, lo interrogavano vivacemente, tra le
altre cose, sui consigli operai, e su "la possibilità di dirigere l'economia senza pianificazione
centralizzata" (2). Il soggetto era talmente preoccupante che lo stesso quotidiano jugoslavo
riporta (il 20 ottobre), a proposito dell'arrivo degli alti funzionari del partito comunista ungherese
a Zagabria: "Nel corso di un incontro durato ore, Ernö Gerö e i membri del Politburo, Andràs
Hegedüs e Jànos Kàdàr hanno posto numerose domande concernenti il ruolo dei consigli operai
e dei sindacati nelle fabbriche" (3).
L'esempio dell'economia jugoslava, nella quale i consigli operai hanno una parte essenziale e,
aggiungiamo, quello della Polonia, dove ugualmente sono stati introdotti consigli operai in alcune
fabbriche, dovevano certamente giocare un ruolo molto importante nella riflessione degli operai e
degli intellettuali che cercavano una strada per uscire dalle disfunzioni economiche da una parte e
dalla profonda decadenza di valori, di norme democratiche, dall'altra. Tuttavia, non era questo il
solo elemento che determinava la costituzione dei consigli operai, di cui abbiamo testimonianza
già nel corso della prima settimana della rivoluzione.
La tradizione, la coscienza socialdemocratica, sopravvissute nel corso del decennio di
oppressione, hanno probabilmente avuto un'influenza altrettanto rilevante. Io non posso qui
approfondire la storia della socialdemocrazia ungherese; mi accontento di richiamare il fatto che
durante il periodo tra le due guerre (e certamente prima della guerra mondiale '15-'18) è il partito
socialdemocratico ad esercitare la sua influenza su una grande maggioranza di operai qualificati.
Mentre il partito comunista continuava ad essere isolato, a causa sia della sua azione negativa
durante la Repubblica dei Consigli nel 1919, sia della politica settaria mantenuta fino all'inizio
degli anni '30, sia della repressione ch'esso doveva periodicamente subire durante tutto il periodo
hortysta, il partito socialdemocratico ha potuto assicurare, al prezzo però di compromessi e
concessioni, una continuità della cultura operaia, dell'organizzazione operaia e delle esperienze
collettive della lotta economica. Anche se politicamente questo partito si è dimostrato spesso
totalmente opportunista, ha rappresentato, assieme ai sindacati, che teneva oltretutto in gran parte
sotto la sua influenza, la scuola in cui gli operai avevano l'opportunità di imparare i mezzi di
autodifesa collettiva (scioperi, rallentamento del ritmo di lavoro, manifestazioni, ecc.).
Questi fattori, specifici delle condizioni ungheresi in quel periodo storico, non permettono di
capire, da soli, la formazione dei consigli operai. Bisogna aggiungere, nella spiegazione, il
carattere "universale" proprio della situazione rivoluzionaria.
Tutte le grandi crisi rivoluzionarie sono accompagnate dalla costituzione di consigli (di operai, di
contadini, di soldati, di abitanti di taluni settori delle città e delle regioni). I consigli, costituiti
durante la rivoluzione del 1848, durante la Comune di Parigi, durante la rivoluzione del 1905 e del
1917 in Russia, nel 1919 in Ungheria e in Baviera, a Pietrogrado e a Kronstadt nel 1921, altro non
fanno che illustrare l'affinità tra rivoluzione e consigli. Ciò non significa, certamente, che l'una non
possa marciare senza gli altri: i consigli operai vengono talvolta instaurati da una legge
promulgata dall'alto (è il caso della Jugoslavia), movimenti per l'autogestione operaia vengono
promossi in Canada, in Australia; casi di fabbriche occupate, e in seguito autogestite, sono
conosciuti in Francia e in Inghilterra. Tuttavia, durante le crisi rivoluzionarie, è naturale che i
lavoratori abbandonino le vecchie forme di produzione, che si mettano a sperimentarne di nuove,
che rinuncino ai vecchi modi di comunicazione e si trovino riuniti per stabilirne di nuovi, infine,
che formino i loro consigli.
"La rivoluzione ha giocato il ruolo di rivelatore storico; ha dato prova di una radicalità di cui,
senza dubbio, nessun movimento anteriore era stato capace; infine, ha manifestato una tale
inventività che, venti anni dopo, dobbiamo ancora scrutare la strada che si apriva, per imparare
a concepire i nostri compiti specifici" (4).
L'autore di questo apprezzamento, Claude Lefort, è tra le poche persone che, dall'ottobre 1956,
hanno intravisto la singolare importanza del messaggio che la rivoluzione ungherese introduce
nella storia moderna. L'inventività è l'azione dei consigli operai.
Nella letteratura che tratta della rivoluzione viene dedicato molto poco spazio ai consigli operai.
Alcune eccezioni, la rivista Socialisme ou Barbarie (pubblicata tra il 1949 e il 1965), la rivista
Etudes (pubblicata a Bruxelles tra il 1959 e il 1963), uno studio di Balazs Nagy La formazione del
Consiglio Centrale della Grande Budapest (1961) e un libro relativamente recente Ungheria
1956 scritto da Bill Lomax (1976).
La nascita dei consigli operai è anteriore al 4 novembre 1956, al secondo intervento sovietico (il
primo intervento ha avuto luogo il 24 ottobre). La loro formazione è contemporanea alla
rivoluzione stessa, contrariamente a ciò che si suppone generalmente, vale a dire che è stata
provocata dall'occupazione. Per illustrare quello che viene detto sopra sul clima generale
prerivoluzionario, nel quale l'idea di autogestione operaia, consigli operai, sono già ben presenti,
citiamo la risoluzione del Circolo Petöfi adottata il 22 ottobre, alla vigilia della grande
manifestazione iniziale: "... il Comitato Centrale e il Governo devono assicurare lo sviluppo della
democrazia socialista con tutti i mezzi possibili, precisando le vere funzioni del partito,
sostenendo le legittime aspirazioni della classe operaia, introducendo l'autogestione delle
fabbriche e istituendo una vera democrazia operaia." (5). È certo che l'esigenza de
"l'introduzione dell'autogestione delle fabbriche" (che viene chiesta al partito) è la ripresa di una
rivendicazione già formulata numerose volte. Quattro giorni più tardi (il 26 ottobre) la radio
Kossuth (la radio nazionale) comunica la risoluzione del Consiglio Nazionale dei Sindacati,
organo ufficiale centrale di coordinamento e di direzione dei sindacati, sui compiti dei consigli
operai.
È difficile sapere se è un programma che viene proposto ai consigli che si stanno costituendo per
canalizzare, all'ultimo momento, la collera della popolazione, o se, in qualche misura, è una
standardizzazione, un recupero dei programmi che già esistono in maniera dispersa (6). Ciò che è
vero, comunque, è il fatto che il 25 ottobre la radio di Miskolc (città industriale del Nord-Est)
annuncia l'attività di un consiglio operaio nella città, ed è a partire dal 27 ottobre che si apprende,
dalle radio locali e dalla Radio
Kossuth, di una formidabile proliferazione dei consigli operai in provincia e a Budapest.
Come esempio, citiamo il programma del consiglio operaio di Miskolc presentato dalla Radio
Miskolc Libera il 28 ottobre alle 18 e 40: "Noi chiediamo: 1) Un governo provvisorio veramente
democratico, sovrano e indipendente, che lotterà per un paese libero e socialista e al quale non
parteciperà nessun ministro che abbia servito il regime di Rakosi; 2) Questo governo non può
venir costituito che da elezioni generali e libere. Poiché non possiamo arrivarci nelle condizioni
attuali, proponiamo che Imre Nagy formi un governo provvisorio che preveda solo i ministeri
essenziali...; 3) Il primo atto di questo governo provvisorio, libero e indipendente, che si
appoggi su di una coalizione del Fronte Popolare e del Partito Operaio Ungherese, sarà il ritiro
immediato delle truppe sovietiche dal nostro paese, che devono non solo riguadagnare le loro
basi, ma rientrare definitivamente in Unione Sovietica; 4) Il nuovo governo iscriverà nel suo
programma e realizzerà le rivendicazioni presentate da tutti i consigli operai e parlamenti
studenteschi del paese; 5) Il nuovo potere politico avrà solo due forze armate: la polizia e gli
Honvéds (7), difesa interna. L'AVH (8), servizio di difesa dello Stato, deve essere abolito.
Chiediamo inoltre: 6) L'abolizione della legge marziale e la piena amnistia, dopo il ritiro delle
truppe sovietiche, per tutti i combattenti della libertà e per tutti i patrioti che abbiano
partecipato, in qualunque forma, al sollevamento; 7) Elezioni generali in un periodo di due mesi
con la partecipazione di differenti partiti" (9).
Guardiamo, prendendo l'insieme dei programmi conosciuti, quali sono le rivendicazioni comuni:
1) Rivendicazioni preliminari: a) Ristabilimento dei diritti democratici e di istituzioni borghesi che
hanno funzionato fino al 1947, come il sistema multipartitico, il governo di coalizione, il
parlamento, ecc.. b) Ristabilimento dell'indipendenza nazionale di cui l'Ungheria ha goduto fino
all'occupazione tedesca (1944). c) Mantenimento delle acquisizioni socialiste come la ripartizione
delle terre, la nazionalizzazione dell'industria. 2) Rivendicazioni per una società di tipo nuovo: d)
Rottura con il sistema economico pianificato. e) Creazione e autorizzazione dei consigli operai
che saranno proprietari collettivi delle fabbriche. f) Autorizzazione delle piccole proprietà
fondiarie, artigianali e commerciali.
Vorrei fare alcune annotazioni su questi programmi: prima di tutto, tutti i consigli operai erano
d'accordo nella rivendicazione di un governo di coalizione, dunque sull'esistenza dei partiti
politici, ma, allo stesso tempo, essi insistevano all'unanimità sulla scelta di Imre Nagy come primo
ministro. Questo attaccamento alla persona di Imre Nagy viene generalmente compreso
erroneamente nella letteratura politica occidentale. Anche durante la settimana di sciopero
generale che durò dal 24 al 31 ottobre tutti si indirizzavano ad Imre Nagy, era a lui che si
chiedeva la formazione di un nuovo governo che completasse la rivoluzione. Imre Nagy era il
simbolo e forse la garanzia di quello che il socialismo aveva di positivo per la popolazione.
Secondariamente, i consigli operai rivendicavano a sé la proprietà delle fabbriche, esigenza che
superava la dimensione dei consigli operai jugoslavi (e polacchi) in cui la fabbrica rimaneva
proprietà dello stato e in cui i consigli avevano il solo statuto di gerenti, e superava anche ogni
altro tentativo di tipo controllo operaio.
Terza annotazione: nelle rivendicazioni dei consigli manca la presa in considerazione del problema
del mercato. È forse con la libera concorrenza delle fabbriche dirette dai consigli operai che essi
progettavano l'economia nazionale, oppure approvavano alcuni tipi di coordinamento, o
addirittura di pianificazione? Non disponiamo di documenti che permettano di sapere se c'era
almeno una riflessione su questi problemi e, nel caso ce ne fosse stata, quale soluzione
raccogliesse il favore degli operai.
Per riassumere questa carrellata sulle rivendicazioni dei consigli operai, esse possono venir
interpretate come un tentativo di tornare alle acquisizioni democratiche e socialiste del
dopoguerra senza la presenza dell'esercito sovietico e con i consigli operai.
Uno dei vicepresidenti del Consiglio Centrale Operaio della Grande Budapest (formato il 14
novembre), Ferenc Töke, scrive, nella sua testimonianza pubblicata per la prima volta nel 1959:
"Noi speriamo che il regime, una volta consolidato, possa istituire un sistema politico basato su
due Camere. La prima, legislativa, assumerebbe la direzione politica del paese; la seconda si
occuperebbe dell'economia e degli interessi della classe operaia. I membri della seconda camera
verrebbero eletti tra i produttori, vale a dire tra i membri dei consigli operai, sulla base di
democratiche elezioni" (10).
Non si può sapere in quale misura questa concezione fosse diffusa. Si sa invece, che in numerose
fabbriche gli operai favorevoli d'altronde alle libere elezioni, al sistema multipartitico, non hanno
lasciato entrare i rappresentanti dei partiti comunista e socialdemocratico (ricostruito durante la
rivoluzione); si sono addirittura verificati scontri tra gli operai e i rappresentanti di questi partiti
(11). Gli operai volevano mantenere la fabbrica fuori dall'influenza dei partiti politici. La ragione
di questo atteggiamento, apparentemente contraddittorio, è duplice: da una parte difendevano il
ricordo dell'epoca che aveva preceduto la presa del potere comunista, epoca in cui due partiti
operai avevano la possibilità di organizzarsi all'interno delle fabbriche, situazione nella quale gli
interessi immediati degli operai nelle questioni concernenti il salario, l'organizzazione del lavoro
ecc., venivano a trovarsi spesso in secondo piano, subordinati ai punti di vista strategici e tattici di
questi partiti. (Ricordiamo qui Kronstadt, la parola d'ordine analoga dei consigli: "Soviets senza
Bolscevichi!".
D'altra parte, e i due elementi sono legati, gli operai desideravano trovare una forma di
rappresentatività democratica diretta, in cui i rappresentanti restano in qualunque momento in
stretto contatto con i rappresentati, in cui i primi sono destituibili in ogni momento e rimpiazzabili
dagli ultimi, tale da poter resistere al processo, fino a quel punto inevitabile, della
burocratizzazione (12). All'interno della fabbrica volevano essere i padroni esclusivi, senza il
concorso dei partiti politici; è quel che è successo, per esempio, nella fabbrica di apparecchi
telefonici di Budapest: "Abbiamo tentato di evitare la leggerezza fatale di trasformare tutto in un
sol colpo, perché gli operai sapevano che uno dei vizi del regime ràkosita era stato il
cambiamento e il rimpiazzo continuo dei dirigenti tecnici. Abbiamo voluto vedere come
funzionava il meccanismo dopo aver soppresso alcuni posti considerati importanti. Avremo più
avanti la possibilità di rettificare gli errori di dettaglio, di sopprimere gli uffici sproporzionati,
di soppiantare le spie e di dotare la fabbrica di quadri tecnici qualificati. Il nostro scopo era
dunque di non mettere a soqquadro la vita della fabbrica da un giorno all'altro, ma di
assicurare una transizione calma e graduale alla produzione normale. Nel loro memorandum,
indirizzato al governo, gli operai hanno espresso il desiderio di diventare proprietari della
fabbrica; volevano dirigerla come propria e mantenerla in buono stato. Il consiglio operaio non
poteva prendere alcuna misura sconsiderata, perché avrebbe dovuto risponderne
immediatamente di fronte ai lavoratori" (13).
All'interno della fabbrica questa concezione propone una seconda separazione, quella tra i
sindacati e i consigli operai, tenendo conto del fatto che gli interessi puramente economici e quelli
della produzione non sono gli stessi. Gli operai che volevano cambiare a fondo le condizioni del
lavoro non avevano l'intenzione di migliorare i sindacati "modificando", "allargando" le loro
funzioni; al contrario, accettavano che i sindacati fossero diventati quello che erano, vale a dire un
corpo mediatore tra i progetti economici globali e la forza produttrice. Quello che desideravano
era definire e delimitare l'autorità dei sindacati in quanto tali, ed imporre un altro corpo di fronte
ad essi, quello che aveva la missione di rappresentare gli interessi della classe operaia.
Il problema diventa complicato dopo la formazione dei consigli operai, visto che è proprio il
Consiglio Nazionale dei Sindacati che prende una decisione proponendo la formazione dei consigli
operai in tutti i posti di lavoro, determinando i compiti che essi devono soddisfare. Questa
decisione fu molto importante: saranno i consigli operai ad elaborare il piano di produzione della
fabbrica, definire i compiti relativi allo sviluppo tecnico; saranno i consigli di fabbrica a decidere
del sistema di salariato, così come dello sviluppo dell'organizzazione sociale e culturale della
fabbrica; saranno infine i consigli di fabbrica che definiranno gli investimenti, la manutenzione e gli
utili, così come i turni di lavoro. Si dichiara che i consigli operai sono responsabili, davanti a tutti i
lavoratori e davanti allo stato, di una gestione efficace (14). Ma a partire dal momento in cui i
consigli si sono messi in marcia, appaiono conflitti tra la direzione, i sindacati e i consigli appena
nati; in altri termini, tra il consiglio operaio centrato sul modello jugoslavo e il consiglio operaio
creazione degli operai. "È per questo che era molto interessante vedere l'attività degli operai e la
loro reazione alla decisione del Consiglio Nazionale dei Sindacati sui Consigli operai. Essi
hanno dato un altro senso a questa decisione, contrario ai desideri del partito e dei sindacati.
Beninteso, la direzione sperava di imporre i suoi candidati, ma gli operai non sentivano da
questo orecchio e, soli, vennero eletti i candidati da loro presentati. Avevano preso seriamente
la decisione che, in particolare, dichiarava che i consigli devono essere fondati dagli operai,
questi ultimi devono giocarvi il ruolo preponderante" (15).
Allo stesso tempo, il principio "che gli operai vengano rappresentati dagli operai", sembra essere
subordinato al principio della rappresentatività democratica diretta. È noto che nei consigli operai
non tutti i membri erano operai; per esempio nella fabbrica di apparecchi telefonici, secondo la
testimonianza di Ferenc Töke, il consiglio contava circa 25 membri di cui 19 operai manuali, gli
altri erano impiegati degli uffici; nel Consiglio Centrale Operaio della Grande Budapest la grande
maggioranza dei membri erano operai qualificati e, tra i membri, si contavano quattro ingegneri.
"Il 90% (16) dei membri del Consiglio - nella fabbrica di apparecchi telefonici - apparteneva,
d'altra parte, al partito, e parecchi tra loro erano militanti attivi. Ma gli operai avevano fiducia
in loro, perché sapevano che avevano sempre difeso i loro interessi. Tutto quello che veniva loro
chiesto, era un passato inattaccabile. È per questo che la vita dei candidati era stata
accuratamente esaminata, ed erano stati imposti loro interrogatori serrati, davanti a tutti gli
operai, al momento dell'elezione" (17).
Malauguratamente, i consigli operai non hanno potuto portare a fondo i programmi che si erano
proposti, perché, a partire dal secondo intervento sovietico, furono obbligati ad assolvere funzioni
politiche abbandonando i compiti che essi rivendicavano a se stessi. "La situazione non fu identica
durante la rivoluzione e dopo il suo soffocamento. Durante la rivoluzione, soprattutto dopo la
chiarificazione del ruolo del governo Imre Nagy, non ci fu problema di un ruolo politico per i
consigli operai. Era inteso che questo ruolo incombeva sui differenti partiti politici. Invece,
dopo il 4 novembre 1956, si delineò una tendenza nella direzione del suggerimento di una
funzione politica ai consigli operai, per un tempo indefinito. In effetti, non esisteva nel paese
alcuna altra organizzazione nella quale gli operai potessero avere fiducia" (18).
Con il secondo intervento sovietico comincia un nuovo capitolo nella storia dei consigli operai
ungheresi. È la storia del Consiglio Centrale Operaio della Grande Budapest (fondato il 14
novembre), della sua lotta per il mantenimento delle acquisizioni della rivoluzione, è la storia del
doppio potere e dello sciopero generale nazionale proclamato contro il governo di Kàdàr, e infine
della soppressione dei consigli in tutto il paese, storia che continuerà fino alla fine dell'anno.
Soffocati sul nascere, i consigli operai del 1956 non hanno avuto il tempo di indicare tutti i loro
potenziali insegnamenti. Forse torneranno a riproporsi. I ricordi di questi avvenimenti possono
comunque rivelarsi utili.
(1) Lasky-Bondy, La révolution hongroise (testi e documenti riuniti), Flon 1957, p. 14.
(2) op. cit., p. 14.
(3) op. cit., p. 17.
(4) Claude Lefort, La Première révolution antitotalitaire, in: 1956 Warsovie-Budapest. Testi
riuniti da F. Kende e K. Pomian, Seuil 1978.
(5) Marie Nagy, Polonia-Ungheria (testi e documenti riuniti), EDI 1966 p. 177.
(6) È più che probabile che questa decisione sia stata formulata e proposta dai riformisti in seno
al gruppo al potere per far accettare un modello di tipo jugoslavo. Tuttavia solamente l'apertura
degli archivi potrà eventualmente confermare questa ipotesi
(7) Era il nome dei soldati ungheresi durante la guerra per la liberazione del 1948.
(8) L'istituzione corrispondente al K.G.B. sovietico, la più odiata durante il periodo staliniano.
(9) Lasky-Bondy, op. cit., pp. 106-107.
(10) La testimonianza di Ferenc Töke è apparsa inizialmente sulla rivista Etudes del 1959; più
tardi è stata ripresa in "traduzione riveduta, corretta e completata". Questa versione fa da fronte
alla nostra citazione, in Marie-Nagy, op. cit., p. 271. Devo sottolineare che questa testimonianza
è stata registrata dopo la rivoluzione e può contenere elementi di riflessione nati o strutturati
successivamente. Secondariamente, se la si accetta in modo condizionale, come rapporto di un
tipo di riflessione autentica della rivoluzione, non va trattata che come un insieme di opinioni e
di giudizi personali.
(11) Cfr. Le forze controrivoluzionarie negli avvenimenti del 1956 (pubblicazione del Servizio
Informazioni del Consiglio dei Ministri della Repubblica Popolare Ungherese, vol. III, senza data).
(12) Testimonianza di F. Töke in: Marie Nagy, op. cit., p. 247.
(13) idem.
(14) Marie Nagy, op. cit., pp. 185-186.
(15) Marie Nagy, op. cit., p. 245.
(16) Non disponiamo di alcun dato statistico, su questo problema, che possa confermare questa
osservazione.
(17) Marie Nagy, op. cit., p. 246. Testimonianza di F. Töke.
(18) Testimonianza di F. Toke in Marie Nagy op. cit., p. 249.
|