Rivista Anarchica Online
Verso l'anarchia-poesia
Vorrei dare seguito, con questo mio intervento, al dibattito, al quale Gabriele, con il suo
articolo apparso sul numero di febbraio, ponendo alcuni interessanti quesiti sulla poesia e sul
ruolo che essa ha o dovrebbe avere, credo abbia voluto dar luogo.
Prendendo spunto da "Urlo", forse la più nota tra le poesie di A. Ginsberg, egli chiedeva se e
cosa possa rappresentare ancor oggi per noi a ventidue anni di distanza dalla sua nascita. La
sua funzione comunicativa esiste ancora e qual è? O come dice Gabriele è solo un involucro
secco che una cicala ha lasciato sull'albero? La poesia esiste solo nel momento della sua
creazione?
Senza pretendere di dare una risposta alle domande di Gabriele e di chi si interessi a questo,
quindi anche mie, credo che il limite principale della sua analisi sia di considerare "Urlo" come
poesia "finita" e non come "momento" della poesia di Ginsberg. In secondo luogo di limitare
"Urlo" al momento della lettura da parte del suo autore, pur essendo questo un momento
importantissimo perché dà luogo ad una comunicazione diretta autore-ascoltatore che solo
attraverso la lettura dello stesso poeta può esistere. Ma la funzione della poesia non credo si
limiti a questo, anche perché è spesso difficile avere le condizioni oggettive perché ciò possa
avvenire. Consideriamo quindi "Urlo" nel quadro più ampio della poesia di Ginsberg, e lui
stesso inseriamolo in quel contesto politico-letterario in cui si forma e di cui sarà continuatore.
Mi riferisco a quel processo di rinnovamento, anzi di ricostruzione, in seno alla poesia
americana che sin da W. Whitman ha i suoi primi impulsi. E che attraverso autori come E.
Pound, W. Williams, M. Moore, e via fino Ginsberg, Corso, Ferlinghetti, Lawrence, Kerouac
ecc. raggiunge una sua definita identità.
Con loro si ha un nuovo modo di essere poeti, si ha una poesia in cui è chiaro il rifiuto di un
ritmo ipnotizzante, di un linguaggio estetizzante, di un bello e di un puro che è morale
convenzionale.
Una poesia più vicina al parlato: sia nella forma che nei contenuti. Una poesia che usa parole,
sensazioni, immagini di cui comprendiamo perfettamente il significato e le intenzioni. Una
poesia in cui è presente l'uomo nascosto nell'uomo di tutti i giorni: la sua ansia di essere
veramente uomo, le sue contraddizioni, le sue paure, i suoi desideri. Ma oltre l'aspetto
emozionale è importante il modo in cui questa poesie si esprime. Il linguaggio, credo sia il
contributo maggiore che Ginsberg e gli altri abbiano dato alla nuova poesia americana.
Un linguaggio che pur usando la "vecchia parola" risulta estremamente nuovo quasi
sconosciuto. Che opera un notevole rinnovamento nella prosodia, e in parte nella semantica,
della poesia americana.
Le cose da dire, in fondo, sono sempre quelle ma saranno nuove più vere, più sentite se nuovo,
migliore, più vicino sarà il modo in cui saranno dette. E questo è a mio parere una questione di
scelta!
Il modo di intervenire sulla realtà non è certo starsene zitti e gli anarchici questo lo sanno bene,
ma il lottare, il vivere, l'essere secondo un modo che si ritiene giusto, vero.
Il nuovo linguaggio, la nuova comunicazione sarà espressione della dimensione nuova sia nella
ricerca che nella sua attuazione.
La ricerca, l'adattamento, lo scegliere "quel" modo di comunicare e non altri non è a mio parere
censurarsi, limitare o intervenire sulla propria spontaneità creativa, non è mentire o mentirsi
quanto piuttosto operare secondo la propria scelta, far sì che questo "comunicare nuovo" sia
libero dagli "pseudo" che incombono sul nostro fare.
I condizionamenti e le imposizioni stilistiche che il poeta trova davanti a sé credo dipendano,
come dice Gabriele, non dalla poesie in quanto tale ma dal ruolo a cui è costretta dal sistema.
La necessità di essere linguaggio, di essere letta, di parlare/rsi comporta spesso un
allontanamento, una differenziazione tra creazione e prodotto, tra poeta e poesia. Ma in poeti
come Pablo Neruda che hanno fatto della poesia il loro "parlare quotidiano", il loro vivere,
lottare ed infine morire, credo che ciò sia molto limitato se non del tutto annullato. Neruda visse
la poesia, fece poesia vivendo. Egli fu poeta perché poeta. Dire che se fossimo liberi... non
avremmo più bisogno di scrivere poesie è come dire che se vivessimo in una società anarchica
non saremmo più anarchici.
La frase di Bruno Misefari: "datemi una società in cui ci sia giustizia libertà ed amore e io non
sarò più anarchico" si potrebbe ribaltare in: "datemi una società in cui linguaggio sia poesia e
comunicare sia far poesia e... non ci saranno più "poeti" a "scrivere" poesie".
Il problema è: come arrivare all'anarchia-poesia. E qui le nostre lotte.
Cerchiamo di dare alla poesia un ruolo più reale, spogliamola dalle concezioni tradizionali che
la vogliono nei "cieli della sensibilità poetica" dono per anime elette che "sentono ciò che gli
altri non possono sentire". Abbattiamo le torri d'avorio che ci separano da essa!
Poeti come Rafael Alberti scrissero le loro poesie sui muri delle strade che li vedevano lottare
accanto a studenti ed operai, accanto ad uomini che volevano essere liberi, e non da migliori
stettero loro accanto non da eletti ma da studenti essi stessi, da operai, da uomini che volevano
essere liberi. Le loro poesie non furono "dogmi" ma bombe contro il potere, furono rabbia,
dolore, gioia. Essi furono parte integrante della realtà che vive nella loro poesia e non
indifferente è il contributo che in ogni parte del mondo i "poeti della rivolta" hanno saputo dare
alla lotta per la libertà, anche a costo della propria vita.
Quel che "Urlo" rappresenta per il potere americano è il principale motivo del processo che ne
colpì la prima pubblicazione e ne vietò la diffusione imputandolo di oscenità ecc.. Il tentativo di
pensare diversamente dal "cervello centrale" il rifiuto della guerra, di una tradizione astratta ed
ammuffita di un linguaggio convenzionale, del "benessere" americano, il rifiuto della continua
spersonalizzazione dell'individuo fu una grave minaccia per la demokrazia americana che poi
con la beat generation vide aggravarsi sempre più la realtà.
Ma anche se oggi "ho visto le menti migliori..." può solo sembrarci una "bella poesia", se
possono sembrarci solo vecchie parole, superate, sappiamo bene che dentro ed oltre le parole
stesse vive qualcosa che le parole non hanno mai potuto esprimere sufficientemente. È quella
voglia antica di vivere sul serio, di essere liberi, che per noi è anarchia. Essa stessa è solo una
"parola" ma vive da tanto e vivrà ancora fino a quando sarà il momento che avremo saputo
costruirle anche attraverso la nostra poesia.
Stefano (Reggio Calabria)
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