Rivista Anarchica Online
Finalmente le donne!
Ed ecco il numero 72 della Rivista. La solita scorsa veloce per dare un primo sguardo generale
al numero. La prima impressione è nettamente positiva, sia dal punto di vista grafico che da
quello contenutistico.
E poi un "Finalmente!!!" (con tre punti esclamativi) per le ventidue (dico 22!) pagine sulla
donna. Penso che molte compagne e non so quanti compagni abbiano fatto il mio stesso sospiro
compiaciuto. Facile risposta della redazione: "La rivista è aperta alle collaborazioni e chi aveva
qualcosa da dire poteva sempre farlo".
È vero, ma è altrettanto vero che il lettore, bene o male, è quasi totalmente estraneo alla
redazione e dall'esterno non può percepire quali siano gli argomenti che possono interessare e
coinvolgere la redazione stessa. Infatti un qualunque articolo sull'argomento, sarebbe sembrato
(inserito nei numeri precedenti) un po' buttato lì. La rivista ha la sua fisionomia, segue certi
argomenti (o almeno cerca di farlo) con una certa organicità e non rafforzando articoli per
riempire le pagine. Ed è per questo che sono contenta dello spazio che stavolta è stato dedicato
all'argomento. Perché spero che almeno ora solleciti gli interventi "mancati". E mi sembra che
sia stimolante proprio perché, affrontando il problema, non ha voluto essere un concentrato di
soluzioni bellepronte e definitive. Il discorso è grosso e spesso ignorato e sarebbe stato riduttivo
volerlo liquidare una volta per tutte in poche pagine. Entrando nei dettagli mi permetto di
"recensire il servizio" (viva la modestia).
E comincio dal fondo: Emma Goldman. I brani scelti hanno accresciuto in me la voglia di
conoscerla meglio. E quale migliore risposta al discorso femminista "Ci unisce l'essere donna"
se non il pezzo "Kollontaj la fredda"? Le donne anarchiche sono sempre state poche ed anche le
rare che hanno "lasciato il segno" spesso sono sconosciute alla maggioranza delle compagne/i.
Forse è su questo punto che secondo me c'è stata una carenza (certamente non irreparabile) nel
trattare l'argomento. Sarebbe interessante sapere qualcosa sul passato della donna nel
movimento anarchico. Sappiamo, sì, che le donne erano poche, ma di quelle poche, di come
vivevano il loro essere donne in un movimento in gran parte di uomini, in un'epoca in cui il
femminismo non era ancora emerso in maniera dirompente, non si sa nulla o quasi. Buona
invece la voce delle compagne di oggi. Buona perché non così uniforme da sembrare "costruita"
e "misurata", anche se alcuni concetti sono ricorrenti. Mi sono ritrovata in alcuni di quei pezzi:
soprattutto con Rossella e Daniela e questo mi ha fatto piacere, come altrettanto mi farebbe
piacere (perché no?) sentire l'opinione dei compagni. Mi sembrerebbe naturale, perché sono, sì,
un anarchic"A", ma la mia lotta è la stessa del compagno anarchic"O", il fine è comune: la
supercitata UTOPIA che non è fatta di comportamenti stagni e di competenze, ed il problema
coinvolge entrambi. Anche dalle pagine di "A" emerge in gran parte questa opinione e la logica
conseguenza è appunto quella di parlarne assieme e confrontarsi assieme su queste cose.
Sostenere che non vi può essere frattura di "sesso" e poi continuare a parlare del problema della
donna solo "fra donne" è un controsenso.
E se finora noi compagne ci siamo rammaricate del fatto che queste cose vengono spesso
ignorate o liquidate superficialmente dai compagni, solo coinvolgendoli in questo dibattito
potremo cambiare questa realtà. Non è certamente (e chi lo pensa è in malafede) un aspettare
"la giusta indicazione" o la "linea" dall'alto (?!?). Non pensiamo che anche i compagni abbiano
bisogno di questo confronto? Ed è proprio in base alle cose che ho detto finora che vorrei
soffermarmi un po' di più sull'ultima parte dell'articolo Il prisma femminista di Claudia Vio. Più
precisamente sul pezzo che tratta del separatismo anche in riferimento al movimento anarchico.
Premetto che i misteriosi puntini fra parentesi in fondo all'articolo non mi permettono di
conoscere completamente il pensiero di Claudia e mi scuso con lei se posso avere perciò
frainteso quello che intendeva dire. Nell'articolo il concetto di separatismo viene identificato
con quello di autonomia: "l'agire cioè in prima persona, per la propria liberazione". È questo
che non capisco. Perché considerare necessario ai fini dell'agire in prima persona un
separatismo, un impegno autonomo? Per quanto mi riguarda ritengo vitale agire in prima
persona, ma la validità della mia azione è secondo me sminuita se per fare questo ho bisogno di
un ghetto (anche se all'interno del movimento). Agire in prima persona è per me tutt'altra cosa
dal separatismo. Quello che voglio è essere presente, attiva, nel movimento, nonostante il sesso.
Cercare ambiti diversi in cui riuscire ad esprimere me stessa sarebbe per me la sconfitta più
totale.
Sarebbe auspicabile che finalmente si riuscisse ad affrontare il problema senza falsi pudori di
parte, sia nel dibattito che secondo me è solo iniziato, sia nella pratica quotidiana.
Rosanna Ambrogetti (Forlì)
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