Rivista Anarchica Online
Le navicelle di Berlinguer
di E. Z.
Se non ricordiamo male, fu Ferdinando Cortes che, una volta messo piede sul continente
americano, fece bruciare le navi con le quali era arrivato.
Il significato del gesto e le sue implicazioni pratiche furono immediatamente evidenti: il corpo di
spedizione spagnolo doveva andare avanti, combattere, restare distrutto o conquistare il
continente. Questo esempio ci è stato richiamato alla mente da uno dei risultati più significativi,
secondo noi, e meno pubblicizzati del XV congresso del P.C.I.: la nuova formulazione
dell'articolo 5 dello statuto del partito. Tra i doveri dell'iscritto al partito non vi è più, come
appunto diceva l'articolo 5, quello di "acquistare e approfondire la conoscenza del marxismo-leninismo e applicarne gli insegnamenti nella soluzione delle questioni concrete" bensì il dovere di
"accrescere le sue conoscenze culturali e politiche e approfondire lo studio della storia e del
patrimonio delle idee del Partito Comunista Italiano e di tutto il movimento operaio e
rivoluzionario". La navicella ideologica del Marx-Engels hanno sempre ragione, la peste colga chi
a loro si oppone, è stata così bruciata.
Se dovessimo ancora riferirci a questo esempio dovremmo concludere che, ormai oltre la metà del
guado, spinto su una strada senza ritorno, il P.C.I. arriverà, prima o poi, alla conquista dei suoi
Palazzi d'Inverno: Palazzo Chigi e il Viminale (ognuno ha i palazzi che si merita).
Quello che però in questo momento ci preme di far rilevare, ancora una volta, è che per la base
del partito comunista, per quella base che ha sopportato trent'anni di sacrifici, di lotte, di
emarginazione, con la speranza della redenzione socialista nel cuore, con la speranza di essere
finalmente un giorno chiamati a menare le mani, che in vista di queste prospettive ha giustificato,
ligia agli ordini del partito, i crimini di Stalin, l'Ungheria del '56, la repressione a Berlino, in
Polonia, in Cecoslovacchia, per questa base il tempo delle illusioni è finito.
"Le campagne elettorali si devono condurre naturalmente con un programma preciso, e noi
l'abbiamo; si devono condurre in modo da guadagnare voti, non da perderli; e quindi si devono
evitare atteggiamenti e comportamenti che possono anche far piacere ai nostri militanti più
fedeli, ma che non spostano voti o opinioni a nostro favore e possono anzi sortire l'effetto
contrario". L'ha detto Berlinguer, nel discorso conclusivo a definitiva sanzione degli orientamenti
maggioritariamente espressi dal congresso, orientamenti evidenziatisi con particolare vigore negli
interventi prima di Giorgio Napolitano e poi di Pietro Ingrao. "Noi comunisti siamo portatori di
una grande ispirazione e tradizione rivoluzionaria, di una capacità di lotta che vogliamo ora
trasfondere in un'opera, unitaria e democratica, di governo e di rinnovamento in senso
socialista della società" (Napolitano). "Abbiamo imparato dall'U.R.S.S. e dall'Ottobre; non vedo
niente di male se impariamo anche dalle vicende della socialdemocrazia... certo in questa piena
conquista di una laicità del partito c'è il rischio di sbandamenti, ma c'è anche una fecondità che
può essere eccezionale, se il legame con il socialismo si affiderà sempre meno alla fede
ideologica di alcuni e sempre più alle lotte reali" (Ingrao).
Di fronte al pragmatismo di queste posizioni conta poco un Amendola che, ponendosi come
assertore della continuità nella politica di egemonia culturale e di elaborazione teorica e pratica da
parte del partito, si scontra, negandone l'esistenza, con bisogni ed esigenze nuove della società che
tenderebbero ad introdurre elementi paralizzanti della vitalità del partito, o un Cossutta che
richiamando rudemente l'attenzione di tutti sulla irrinunciabilità al riferimento costante al Marx-Engels-Lenin pensiero, all'internazionalismo inteso come legame di collaborazione e fraternità con
l'Unione Sovietica e con i paesi socialisti, cerca, con questo soprassalto nostalgico, di coagulare
un nucleo di nuova opposizione. La risposta, con buona pace dei duri, sta nei fatti, è ancora nelle
parole di Ingrao.
Nei fatti, cioè nella composizione sociologica della base elettorale del partito, quale è venuta
configurandosi dopo le elezioni del giugno 1976 e che trova espressione nella composizione
percentuale dei delegati al congresso: operai 31,7%, impiegati, tecnici, intellettuali, studenti, liberi
professionisti 60,6%, braccianti e contadini 4,1%. Una base, quindi, nella quale quella che
storicamente veniva definita classe sfruttata e perciò soggetto rivoluzionario, è di fatto una
minoranza.
Nelle parole di Ingrao che rispondendo ad Amendola (il quale nega il diritto di cittadinanza ai
"movimenti spontanei" negando la possibilità in quanto "ogni movimento sorge sulla base di forze
e di interessi di classe") dice che "il collegamento con i movimenti che in modo tumultuoso si
registrano nella società di oggi è un'esigenza vitale per le alleanze, per i collegamenti con la
società civile; ma soprattutto perché, sia pure in modo confuso alcuni di essi esprimono spinte
individuali e collettive a cui è nostro compito storico dare risposte". Ovviamente le risposte sono
risposte di mediazione, di omogeneizzazione delle varie esigenze, risposte che fanno riferimento
non più alla pratica rivoluzionaria bensì a quella riformista, con la ricerca di una terza via o delle
cosidette vie al socialismo, una terza via non in senso geografico di equidistanza tra Est ed Ovest
ma in senso di innovazione, di nuova ed originale elaborazione riformistica. Assistiamo così alla
nascita di una nuova socialdemocrazia, per la quale gli schemi marx-engelsiani non sono più
strumenti per indagare, conoscere, interpretare le realtà esistenti e costruire realtà nuove, per la
quale la sequenza lotta di classe-abbattimento del capitalismo-nascita della dittatura del
proletariato-estinzione dello stato-trionfo del socialismo è ormai niente di più che una filastrocca
con la quale si può, forse, ancora tentare di abbagliare quella minoranza (comunque sempre meno
importante) di puri di cuore, i quali tuttora credono che la falce e il martello dello stemma del
partito abbiano un reale significato e che il dito puntato di Berlinguer dalla tribuna del congresso
indicasse il sole dell'avvenire. Per tutti gli altri ci sono, giustamente, la storia e le idee del partito
quale nuovo patrimonio ideologico.
Come se non bastassero 60 anni di "socialismo realizzato" a dimostrare la ineluttabilità della
evoluzione in senso autoritario burocratico, in nuove e più raffinate forme di dominio dell'uomo
sull'uomo, del pensiero marxista applicato alla realtà (ricordate Bakunin?), il P.C.I. porta un suo
specifico e originale contributo alla demolizione del mito sancendo la impraticabilità della via
rivoluzionaria marxista, sfumando sempre più, con l'accoglimento all'interno di essa di nuovi
soggetti sociali, i connotati della "classe", annacquando i vecchi dogmi, dotandosi in definitiva di
caratteristiche di ambiguità che permettendo maggiore duttilità e capacità di manovra, gli daranno
la possibilità di arrivare alla gestione del potere come organismo autonomo, indipendente dalla
volontà di quella che continua ad essere contrabbandata come la base, alla faccia cioè degli
sfruttati.
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