Rivista Anarchica Online
L'etica vale solo per gli sfruttati?
di Franco Marano
probabilmente sono anch'io uno di quelli che non hanno ancora ben capito che con la violenza
non si risolve nulla, anche se ritengo mi sia chiaro che il destino della guerriglia (o, se si
preferisce, del terrorismo) in Italia è un destino suicida. Morti come quella di Matteo Caggegi e
di Barbara Azzaroni a Torino - indipendentemente dalla provenienza delle pallottole che li
hanno uccisi - ce lo dimostrano chiaramente. Certo, occorrerebbe uno studio approfondito delle
motivazioni che spingono un ragazzo di 20 anni a inseguire il suicidio attraverso la lotta
armata, e non certo per ricalcare schemi e risposte della sociologia di regime, quanto per
appurare che cosa non funziona nel modello di società che noi proponiamo e nel quotidiano del
nostro genere di lotta.
Perché, secondo me, il nocciolo della questione sta proprio in questo: fino a che punto la "verità
non armata" incide sulle coscienze? O, meglio: la scelta tra "verità armata" e "verità non
armata" (perché, almeno in partenza, della stessa verità si tratta) è puramente casuale o si
determina in base a motivazioni istintive, connaturate in noi stessi? Sarò in errore, ma sono
sempre stato convinto che anarchici si nasce, non si diventa. Non esiste né credo né dottrina
politica che, per quanto gridati ai quattro venti, ti possano far diverso da come sei: alla resa dei
conti, il tuo essere più vero finirà immancabilmente per saltar fuori.
Ciò sembrerebbe dunque dar ragione a P.F. (Violentismo ed etica, ultimo numero di "A"),
quando afferma che chi osanna la violenza è ben altro che un anarchico verace: il quale
dovrebbe ben sapere, per istinto prima che per logica, che la vittoria delle armi è mezzo effimero
e addirittura controproducente, quando non sia accompagnata da analogo e radicale trionfo
delle idee. In altre parole, cambiamo il mondo cambiando le teste, non già eliminandole. È a
questo punto, però, che sorgono i miei dubbi: siamo proprio sicuri che sia possibile cambiare
tutte le teste? E, se non è possibile, che cosa facciamo di quelle recalcitranti? Le svendiamo a
tre palle un soldo?
Scusate il pessimismo, ma troppe volte nel corso delle nostre giornate siamo purtroppo costretti
a rintuzzare i tentativi di prevaricazione degli altri con adeguate risposte. Che non sempre
possono consistere in un'opera di persuasione pacifica. Tra gente che ragiona, l'equazione "io
non rompo il cazzo a te = tu non rompi il cazzo a me" è sempre e immediatamente assimilabile.
Ma se l'unico a ragionare sei tu, se proprio non puoi continuare a offrire l'altra guancia, prima
o poi sarai costretto a reagire duramente. O sbaglio? Trasferiamo il ragionamento al politico e
chiediamoci per esempio se sia proprio il caso di piangere sulla sorte di un Torregiani che, per
difendere non una vita, ma un qualsiasi lurido portafogli, non esita a scatenare un putiferio
provocando due morti (di cui uno proprio non c'entrava). D'accordo che non è con gli slogan
del tipo "101001000 Torregiani bottegai per voi non c'è domani" che si cambia la società, ma io
mi chiedo, dando per fallita la persuasione pacifica, quale altro genere di persuasione sia
possibile praticare con gente per la quale le uniche rapine autorizzate sono quelle che le
consente "il commercio".
Altro esempio: Raffaella Napolitano, la vigilatrice delle Carceri di Novara, gambizzata da
Prima Linea. Poiché si spera che i terroristi i loro obiettivi non li scelgano a caso, c'è da
supporre che la summenzionata meritasse il trattamento riservatole. Anche qui, quale genere di
convincimento mettere in atto con una che, pur di guadagnarsi da mangiare, accetta di fare la
secondina, e di farlo con "efficienza", con tutto quello che la parola significa? O per il fatto che
la mia pancia reclama il dovuto sono autorizzato a dimenticare che chi mi viene dato in
custodia, indipendentemente dalle sue "colpe", è un essere umano tale e quale a me?
Altro esempio ancora: ammazzare a raffiche di mitra i poliziotti che "non c'entrano". Si dirà che
non solo si tratta di barbarie, ma che è anche strategicamente folle e controproducente colpire
nel mucchio secondo la cosiddetta logica dell'annientamento. Giustissimo: ma, a prescindere
dalla considerazione (sulla quale mi pare ci siamo sempre trovati d'accordo) che ignoranza e
miseria non ti autorizzano a fare il cane da guardia degli sfruttatori, dimenticando gli sfruttati
come te, questi morti "che non c'entrano" sono gli stessi che all'occorrenza (magari no, ma
magari anche sì), siccome il mestiere lo richiede, si prestano a scaraventare dalla finestra
l'anarchico di turno.
Quarto e ultimo esempio: quell'Italo Schettini per la morte del quale anche l'"antifascistissimo"
Pertini si è sentito in dovere di telegrafare parole di cordoglio, e che, a detta persino della
stampa di regime, non era certo il prototipo dell'apostolo delle genti. Visto che a quelli come lui
risulta dubbia la possibilità di cambiare la testa, si sarà autorizzati o no a cambiargli, almeno
almeno, i connotati?
A questo punto, dato che di esempi come quelli che precedono è fatto il tessuto connettivo di
questa società che a noi non va bene e che diciamo di voler cambiare, si tratta, secondo me, di
affrontare la questione della violenza senza ipocrisie e senza aver paura di sporcarsene le mani
perché l'etica anarchica ce lo impedisce. O l'etica vale solo per gli sfruttati, e mai per gli
sfruttatori? O è solo questione di rimandare la violenza a domani, quando si tratterà di
respingere gli ultimi soprassalti della borghesia che agonizza, quando saremo tutti in piazza e
dietro le barricate, e allora avremo "finalmente" il permesso di sparare? Dovrebbe essere
abbastanza chiaro come con il mio discorso io non voglia entrare nei meriti e nei demeriti del
terrorismo italiano e della serietà delle sue intenzioni rivoluzionarie (in proposito posso solo
dire che non mi convincono i fini, ma che non me la sento di condannare i mezzi). Quello che
più mi interessa è la domanda: visto che non sono un anarchico pacifico, vuol dire che non sono
neppur un anarchico verace? Sarei grato a tutti i compagni se mi dessero una mano a chiarirmi
le idee.
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