Rivista Anarchica Online
Il fantasma di Valletta
di Piero Flecchia
Cronaca e storia, vita e miracoli, del terrorismo sappiamo tutto: singole organizzazioni,
memorabili azioni, uomini, ma è tutto irrilevante, perché non procede mai dalla volontà di
comprensione delle matrici socio-politiche che producono il fenomeno. Che cos'è il terrorismo, che cosa
provoca il fenomeno terrorismo in una compagine sociale? Procediamo dai fatti di casa nostra, trascegliendo
dalla macabra serie di omicidi e gambizzazioni:
tutti manufatti finiti del terrorismo, un episodio socialmente ben più rilevante, e il cui accadere è
una conseguenza delle azioni terroristiche: le 61 lettere di licenziamento inviate dalla FIAT ad
altrettanti suoi dipendenti, in data 9 ottobre 79. Licenziamenti impensabili senza l'assassinio del
dirigente FIAT ing. Ghiglieno e il ferimento del funzionario del personale Varetto. Ma l'obiettivo
dell'azione della proprietà FIAT è il terrorismo? Per capirlo è necessario un minimo di
analisi
della situazione dentro le officine FIAT, e a un tempo la collocazione della FIAT nel mercato
internazionale dell'auto. La produzione FIAT è garantita da una struttura tecno-burocratica il cui
stato d'animo è ben esemplificato da un anonimo capo che dichiara, tra l'altro, in una lunga
intervista a Giampaolo Pansa (vedi La Repubblica 11/10/79): "Tu insisti per
ottenere la qualità e quantità necessarie di lavoro. E loro, soprattutto quelli
giovani...: - Capo non rompere, capo vaffanculo, capo sei un fascista, ti faremo camminare in
carrozzella, capo non fare rapporto in direzione, altrimenti... - Lama in televisione parla di
professionalità, io vorrei che Lama venisse in fabbrica, e stesse a Mirafiori una settimana. Le
colpe del sindacato sono grandi. Si è servito degli elementi più accesi per prendere potere dieci
anni fa. Avrei fatto così anch'io, ma poi il sindacato avrebbe dovuto liberarci da questi elementi,
e non c'è riuscito. Anzi, gli è corso dietro.... Ho un diploma, cerco di ragionare, leggo due
giornali, La Stampa e L'Unità per un confronto... la parola intimidire mi fa paura. Per troppi anni
in FIAT l'operaio è stato intimidito, ma adesso quelli che vogliono lavorare, e sono ancora tanti,
non respirano più.... Mi costa confessarlo, ma mi sento un uomo colpito da una umiliazione
continua...". Nelle frasi estrapolate dalla lunga intervista emerge chiaramente che questo capo esprime
appieno tutti i luoghi comuni della mitologia socialprogressiva quale traspare dalla stampa di
regime. Non trova giusta la FIAT dei tempi vallettiani, sogna un mondo dove tutti facciano
educatamente il loro lavoro, dove sia chiaro chi sta in alto e chi sta in basso: e lo crede possibile,
mente devastata dalla pornografia politica insinuatagli concordemente dalle due testate che egli
legge: La Stampa e L'Unità. Di interessante, di vero, di non deformato dal canone di lettura, nelle
dichiarazioni dell'anonimo umiliato capo c'è solo: a) che la rivolta è delle giovani
generazioni b) che i sindacati hanno cavalcato la tigre della rivolta giovanile per una operazione di potere,
che però l'uomo semplice non riesce a decifrare per tale: e se lo capisse si trasformerebbe
automaticamente in fascista. Ma il suo ragionamento è già fascismo a tutti gli effetti, perché
egli
sogna una società che ubbidisca a modelli corporativi quali vagheggiò Bottai, e quali poi gli sono
stati insegnati dall'UNITÀ del PCI e dalla STAMPA di AGNELLI. Molto opportunamente Giampaolo
Pansa raccoglie anche, pubblicata il 12/10, la lunga intervista
di uno dei 61 licenziati, un ex lottacontinuista: uno di quei giovani che sono, per il "capo", alla
fonte di tutti i guai. Ecco che cosa ci racconta: "Sono entrato (in FIAT) il 28 maggio 1969... fuori c'era
l'autunno caldo. Io non ho partecipato.
Non capivo niente.... Solo nel 70 ho incominciato a darmi un po' da fare. No, niente politica è
nemmeno attività sindacale. Mi sono dato da fare sul problema dell'ambiente nella verniciatura,
dove lavoravo. La situazione era disastrosa e anch'io ne risentivo. Ho perso otto denti, nausee,
ulcera duodenale, udito scassato. Mi sono mosso quando ho visto che pagavo il posto in FIAT
con la pelle. Ma non è stata una rivolta individuale.... Era una ribellione collettiva... chiedevamo
alla FIAT di modificare gli impianti, e la FIAT rispondeva di no... (intanto, mentre lotta per
l'ambiente, l'operaio incontra Lotta Continua). Per me è stata un'esperienza grande, politica e
umana. Lotta Continua ha avuto un grande merito; apriva il cervello alle persone, le faceva
parlare, discutere.... Stia attento, io non rifiuto il lavoro... sono convinto che bisogna lavorare
bene... su questo, non sono mai stato tenero con i miei compagni che si comportavano male. Io
dico: lavorare poco, ma quel poco farlo bene. E lavorare poco per lavorare tutti. Non è uno
slogan di Carniti ma degli operai FIAT.... L'orario dev'essere di 7 ore per 5 giorni la settimana,
se no, quelli che sono disoccupati continueranno a restarlo.... Adesso ho fifa. Agnelli mi ha
messo il bollo di terrorista sulla fronte... ho perso il lavoro e non ho copertura politica.... Sono
un immigrato, la FIAT, è stata la mia casa per 10 anni. È ingiusto che mi caccino di casa. Ho
un'unica speranza: che i sindacati, che quelli che si dicono democratici, tengano duro.... Se i
sindacati mollano? BR, Prima Linea potranno dire: vedete?!...". La chiusa di questo amaro sfogo si tinge
chiaramente del pornopolitico che attossica l'intervista
del piccolo capo. Ma un uomo ha diritto ad almeno una speranza. L'intervista dell'ex
lottacontinuista ci insegna innanzitutto una cosa: che i sindacati del glorioso autunno caldo sono
una invenzione propagandistica, poiché questo giovane "terrone", per migliorare il proprio posto
di lavoro ha dovuto perdere otto denti, e sentire le fitte di un'ulcera. Poi la gente come lui, si è
rivoltata, e con la rivolta ha prodotto una nuova visione del mondo: lavorare poco e bene,
affinché tutti lavorino. Che però è anche la speranza del piccolo capo, solo che per il piccolo
capo il giovane immigrato che ha fatto tutte le lotte è il prototipo del ceto da espellere dalla
fabbrica. Da queste due interviste, lette in parallelo, emerge che la Mirafiori si è in qualche modo
autoliberata, ma questa autoliberazione, che dovrebbe essere garantita dai sindacati, è possibile?
Ecco quanto scrive Giorgio Bocca, in un corsivo su La Repubblica, in data 12/10/79: "Non
è una invenzione del padrone, ma una realtà, che la FIAT produce al 70% e magari al
60% delle sue possibilità... che esiste un proletariato giovanile che considera la fabbrica come
luogo e occasione delle sue immaginazioni, delle sue improvvisazioni, dei suoi giochi e lotte
anomale, con evidente sicuro danno della produzione. E non è neppure una invenzione di Agnelli
che la FIAT corre il rischio di essere, tra due o tre anni espulsa dal mercato, se non torna a
produrre...". In una felice sintesi abbiamo qui tutti gli elementi della pornoeconomia che intossica la
cultura
italiana media: innanzitutto impianti sottoimpiegati, ergo minor produzione, poi la rivolta dei
giovani che fanno casino e basta, e in ultimo il contesto internazionale della produzione, dove, o
si è alla pari, o si va a ramengo. Supponiamo che improvvisamente gli operai FIAT si mettano a
lavorare alla morte: che cosa accade? Accade che gli operai Renault e Ford e WW vanno fuori
del contesto internazionale, a meno che non riaccelerino il ritmo, come risultato finale
costringendo gli operai FIAT a riaccelerare. Svolta compiutamente, la logica dei rapporti
internazionali evidenzia l'INFERNO CAPITALISTA, la cui legge non scritta è: "Tu sei operaio,
ergo il tuo dovere è di crepare a lavorare". Ma esiste veramente questa legge o non è piuttosto
pura mitologia creata ad hoc per mascherare il fallimento del marxismo? Domandiamoci a chi
vanno i profitti della FIAT: ad Agnelli, da sempre ci sentiamo rispondere. Verità che però è
solo
una mezza verità. Sulla struttura economico-produttiva della FIAT campa una struttura socio-simbolica di
partiti politici di affaristi ad ogni livello; di caperie piccole e grandi, e tutta quella
complessa pseudocultura per metà spettacolo e per metà truffa, che va dai clubs calcistici alle
varie fondazioni che conducono indagini sul mondo del lavoro. Questa enorme escrescenza
parassitaria ha già raggiunto e di gran lunga superato il traguardo delle 35 ore settimanali: ecco
per chi deve lavorare il lavoratore FIAT. Dunque il mito del mercato internazionale è l'ultima
menzogna, per costringere gli sfruttati a mantenere gli sfruttatori, accettare volontariamente, e
perfin gioiosamente - in nome dei superiori interessi generali - la condizione di sfruttati. Ma c'è
menzogna anche nella verità degli impianti sfruttati solo al 60-70%, come è una menzogna che
solo questa generazione di giovani si sia rivoltata. Alla fine degli anni 40, approfittando della
liberazione, ci fu nella FIAT una situazione analoga, che culminò nella repressione vallettiana,
poi raccontata come repressione anticomunista. Ma la sistemazione storicistica non è che una
invenzione agiografica. Nei fatti il PCI fu un mero pretesto: anche allora lo scontro fu tra sfruttati
e sfruttatori, e già allora dalla parte degli sfruttatori stava il PCI, che seppe o usare a proprio
vantaggio lo scacco della classe operaia. Perché i partiti politici sedicenti progressisti possano
avvantaggiarsi, è indispensabile che la sedicente destra sconfigga gli sfruttati. Solo allora sarà
possibile per una fazione di sfruttatori ergersi a garanti di un "minor sfruttamento", così
acquistando potere.
Tanto nel discorso del piccolo capo infelice quanto dell'operaio ex lottacontinuista emerge un
rimando al sindacato: ultima spiaggia, altrimenti, come vede chiaro l'ex lottacontinua sarà
provato che hanno ragione BR & C., e allora, come non dice il piccolo capo, ma lascia capire,
sarà necessario un governo forte, anche se la parola repressione gli fa paura. Emerge ora chiaro che il
sindacato è una sorta di spazio simbolico dove tanto il piccolo capo
infelice quanto l'operaio possono riconoscersi, e quindi rappresentarsi cittadini di una socialità
non divisa nettamente e impeccabilmente in sfruttati e sfruttatori. Sogno di una ricomposizione
già in atto in questa società divisa di dominatori/dominati. Ma se così è, il sindacato:
quel
sindacato che ha lasciato che l'operaio cedesse i suoi otto denti al padrone e lo stomaco, che
lascia il piccolo capo al suo mondo di odio e di angoscia; questo sindacato sempre portato alla
ribalta e sbandierato, questo sindacato anche se ha uomini istituzioni e funzioni, anche se fa
notizia da TV e giornali, questo sindacato di fatto non esiste, se non nell'immaginario collettivo,
esattamente come il prepuzio di Gesù, o le tante reliquie della santa croce. Prodotti del sogno, del
desiderio di libertà, capaci di mobilitare masse enormi, che però, al momento della resa dei conti,
si rivelano utili strumenti in mano ai detentori del potere. Infatti il sindacato reagisce alle lettere
di licenziamento FIAT, ma reagisce rimandando al governo, e assumendo un atteggiamento di
pesante discriminazione. Il sindacato tutelerà i buoni operai, mentre i cattivi saranno
implacabilmente abbandonati al loro destino. Ma chi deciderà circa i buoni e i cattivi? Il
sindacato non ha dubbi: il governo attraverso la magistratura e la polizia: farci dell'ironia sopra è
perfin troppo facile. Chi invece prende molto sul serio la proposta è la FIAT: a lei sta bene, come
sta bene ai partiti politici. Però, tutti dello stesso parere, e tutti a soffiare nelle tube della loro
propaganda. Evidentemente dietro a questo ricorso allo stato c'è dell'altro. C'è innanzitutto la
clamorosa inefficienza dello stato: questo stato che si lascia rapire e ammazzare un suo grand
patron quale Moro, i cui apparati gettano indiziati dalla finestra e procurano passaporti
diplomatici a conclamati criminali. Ci si può fidare di un tale stato, i cui funzionari si chiamano
Crociani? Evidentemente sì, se sindacati e partiti unanimemente vi ricorrono. Forse perché essi
sanno che accanto a uno stato fatto di Crociani esiste uno stato fatto di Stiz. Questa duplicità
dello stato non serve tanto a farci credere che lo stato è fatto di uomini, ma che lo stato è in
sé
amorfo: una istituzione che la gente ha imparato a riconoscere come la fonte della legalità. Detto
in altro linguaggio: la fonte del potere coercitivo. Se lo stato è una istituzione in sé amorfa,
istituzione che per essere attivata nella sua funzione di
garante della legalità deve essere occupata da un gruppo, ne consegue che, là dove, nella
società
si determina, tra le varie forze politiche una situazione di equilibrio, lo stato sarà impossibilitato
ad agire. Tale è appunto la situazione italiana, dove forze tra loro antagoniste e concorrenti si
contendono l'occupazione della struttura. Ma l'azione per l'occupazione della struttura stato,
qualifica da sola la scelta di linea politica dei gruppi che vi concorrono. Lo stato è il solo e
decisivo strumento di dominio mediante il quale i gruppi egemoni si garantiscono lo sfruttamento
dei gruppi dominati. Là dove l'azione dello stato subisce un arresto, immediatamente gli sfruttati
acquistano vasti spazi e possibilità di azione, per cui i gruppi che contendono per controllare lo
stato sono costretti a trovare una qualche intesa, perché minaccia di essere lesa tutta la base di
sfruttamento sulla quale si fondano. Lottando per la conquista dello stato un gruppo politico si
qualifica come congrega che aspira allo sfruttamento di altri uomini. Ma parallelamente alla lotta
per il controllo dello stato, più antica e più violenta si svolge la lotta implacabile tra sfruttati e
sfruttatori. Dove due gruppi di sfruttatori si elidono vicendevolmente, gli sfruttati acquistano un
vantaggio di vasta portata. Questo è quanto è accaduto in Italia, dove il potere DC è sempre
stato
antagonistico rispetto al potere liberal-confindustriale. In questa faida interna, scontro industria di
stato gruppi privati, e poi intervenuta l'ascesa del PCI a complicare il quadro, tanto sul piano
interno quanto internazionale. Uno stato bloccato è uno stato che non può più svolgere il
proprio
compito istituzionale: esercitare efficacemente il terrore sugli sfruttati. Là dove questo accade,
ognuno dei gruppi in lotta per il controllo dell'istituzione tenderà a comportarsi come pseudo-stato,
esercitando la repressione in proprio. L'Italia alle soglie del fascismo ci offre un tipico
quadro di una tale situazione. Ma mentre un gruppo esercita la repressione in proprio, il gruppo,
o i gruppi antagonisti denunceranno questa repressione come violenza non legittima, come
terrorismo. Non appena accadrà che un gruppo acquisti il controllo dello stato il suo terrorismo
diverrà la legalità e l'ordine che spazzerà via, con irrisoria facilità i terrorismi
concorrenti. Così
accadde in Russia con i bolscevichi, così accadde in Italia con i fascisti. Ma bisogna qui
distinguere attentamente: l'obiettivo del terrorismo non è mai colpire un gruppo antagonista:
questa non è che la fenomenologia del terrorismo. La volontà terrorista mira sempre a colpire
tutta la società, perché ogni gruppo che lotta per il potere statale, per controllare la macchina
statale, lotta cosciente che nella società, ora che lo stato è bloccato, gli oppressi stanno
organizzando una contro-società. Il terrorismo mira innanzitutto a insegnare agli oppressi che là
dove cessa l'azione dell'istituzione stato, là si scatena la violenza, e nessun uomo è più
sicuro.
Esattamente come ogni uomo cosciente del trascorrere del tempo sperimenta nella vita l'angoscia
della morte, così ogni personalità dominata dal simbolico statale davanti alla crisi di valori di
ordine costituito sperimenta l'angoscia dell'anarchia: assenza di sistematicità dell'universo per la
perdita dell'ordine gerarchico. Ad aumentare questa angoscia là i vari gruppi in lotta simuleranno
una pseudo-anarchia, scatenando il terrorismo, come il caso delle bombe di piazza Fontana
insegna. Abbiamo ora tutti gli elementi per tracciare una genealogia del terrorismo: 1) La società
divisa ha bisogno dell'istituzione stato, mediante la quale i dominatori si assicurano
lo sfruttamento dei dominati. 2) Può però accadere che, nella lotta per il controllo
dell'istituzione, opposti gruppi si elidano
reciprocamente, bloccando il funzionamento della macchina repressiva. 3) Poiché più antica
della lotta tra sfruttatori per la ripartizione del profitto è la lotta tra sfruttati e
sfruttatori, quando lo stato si blocca, immediatamente gli sfruttatori acquistano iniziativa. 4) Da questa
situazione emerge il terrorismo, strumento in sé effimero, perché non innesca
movimenti di liberazione degli sfruttati, ma facilita gli sfruttatori, tanto nelle loro faide interne,
quanto nella loro azione di controllo sulla società. Questa è la dinamica nel sociale e la funzione
politica del terrorismo, estremo garante dello
sfruttamento nelle società divise in dominatori/dominati, tutto l'altro non è che mitologia.
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