Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 82
aprile 1980


Rivista Anarchica Online

Dubito Ergo Sum
di Piero Flecchia

La dominazione si tramanda raccontandosi come ordine; introiettando nei dominati la rappresentazione della fine della dominazione come mondo dove si autolibera la nuda violenza. La lotta per la dominazione viene perennemente raccontata come lotta per l'ordine migliore: il più umano e con i massimi contenuti di libertà in rapporto alla reale configurazione storica. Questa è la storia che piace ai detentori del dominio, e che, nel suo bellissimo libro: "Storia dell'intolleranza in Europa" (ed. Mondadori - collana "saggi" n.125 - pagg.535 lire 7.000: stiamo dando tutti gli estremi bibliografici perché, come speriamo di far chiaro, è assolutamente un libro da leggere, far leggere, e dibattere) Italo Mereu definisce: la retorica della dominazione. Per chi si sottrae alla persuasione della retorica, o inavvertitamente viola l'ordine felice dei dominatori: incorre nelle loro ire; oltre la retorica, strumento ultimo e decisivo, esplode la nuda violenza della dominazione, che si distingue e si legittima come necessità di reprimere l'errore ma soprattutto redimere l'errante; non punire: redimere come predica il codice, i regolamenti carcerari, e la stessa carta costituzionale.
Strategicamente decisiva, la distinzione tra l'errore e l'errante, presuppone uno spazio di verità garantite: sottratte al dubbio e al contingente, dove la società è certa dei valori e significati del proprio agire; dove ciò che è bene e ciò che è male sono chiaramente individuati ed enunciati. Solo fatta vera questa premessa, una società potrà presumere di punire l'errore è redimere l'errante, insegnandogli la giusta via. Eppure, alle origini della cultura occidentale dovrebbe trovarsi il figlio della levatrice: quel Socrate che divenne celebre nell'antica Grecia per aver affermato di sapere una sola cosa: "Io non so nulla di certo". Da questo atteggiamento consegue che nessun uomo può giudicare circa le azioni di un altro uomo: giudicarle in assoluto e ritenere di possedere la motivata sapienza che fa di lui a un tempo il giudice e il maestro: presunzione sulla quale si fonda tutta la legislazione; che si autopresuppone legislazione che condanna l'errore e rieduca l'errante.
Cosciente di questa verità fondata sul dubbio, tutta la legislazione greco-romana procede dalla convinzione amara che ogni azione intentata da un uomo contro un altro uomo, o da una comunità, procede da quella che i nostri ipocriti legislatori definiscono la barbara legge del taglione: la vendetta. Ogni azione giuridica, per il diritto romano è una forma di vendetta che la comunità, o il singolo individuo, o gruppi di individui, promuovono contro altra persona o persone dalla quale ritengono di essere stati offesi. A impedire una sorta di sorda guerra civile, la società stabilisce una procedura: concede a chi si presuppone offeso degli strumenti di rivalsa sociale, attraverso l'istituzione di tribunali. La vendetta diventa un istituto della società, che però, non per questo acquista i segni di rispettabilità e onorabilità, perché c'è sempre nella vendetta una tendenza ad eccedere, a rispondere al colpo con maggiore violenza. C'è poi anche la tendenza delle singole persone a fantasticare il nemico; di qui il costante invito della tradizione giuridica romana a diffidare della voce pubblica, a investigare attentamente, a introdurre un giudice rigorosamente neutrale e al di sopra delle parti. La società greco-romana praticò la violenza non meno della nostra, ma nella coscienza che si praticava la violenza: si veda in Sallustio il resoconto dell'assemblea senatoria che decise la morte dei catilinari. Tutti i padri coscritti, a differenza del Pertini in Puglia, sono perfettamente coscienti che si tratta di vendetta pubblica, che il sentimento della giustizia è quantomeno remoto, per non dire assente, perché giustizia presuppone clemenza, presuppone bontà, presuppone comprensione del punto di vista dell'antagonista, la cui figura non deve mai assumere i tratti stravolti del nemico da abbattere; tanto più che in ogni uomo c'è il segno inconfondibile della comune umanità: per essere tutti mossi, nel bene, dagli stessi impulsi e traguardi. Da questa radicata convinzione la presenza dei tribunali appare all'uomo greco e romano il segno del fallimento, o quanto meno della minaccia di fallimento del progetto comunitario, la spia della sua imperfezione.
Con il messaggio evangelico entra in campo una visione completamente nuova e diversa dell'uomo, che ha il suo centro nella dottrina del peccato originale: l'uomo ha intenzionalmente scelto il male. L'uomo abbandonato, a se stesso, cade nell'errore. Contro il male che lo travaglia, Dio si è degnato di rivelare all'uomo la strada della verità: prima con l'azione dei profeti, e poi mandando in terra il suo stesso figlio a farsi crocefiggere: affinché fosse evidente l'empietà delle istituzioni puramente umane: incapaci di riconoscere la verità! Con il cristianesimo una dottrina di redenzione, che si presuppone più alta, e inarrivabile senza grazia, entra nel mondo classico. Ora il mondo classico ha una macchina che fabbrica la verità.
In questo preambolo abbiamo sinteticamente cercato di rendere la irriducibile opposizione che il Mereu individua tra cultura classica e cristiana. La società classica ha il suo centro nell'individuo, la società cristiana nella rivelazione: che procede dall'alto nella società attraverso l'azione delle istituzioni. E l'istituzione che determina e domina, e decide il destino di tutte le altre istituzioni non può essere che la chiesa: depositaria sola e unica dell'autentico messaggio divino: della legge giusta e santa. La chiesa sa che l'uomo da solo sceglie il male o, quanto meno, è debole davanti al male. Nella coscienza di questa realtà, deve necessariamente trovarsi, nella azione della chiesa il sospetto: la chiesa è una istituzione fondata sul sospetto. Solo compreso questo punto: questo atteggiamento-stato d'animo, non campato sul vuoto, ma fondato sui sacri testi dei padri, è possibile comprendere tutta la successiva evoluzione giuridico-istituzionale del sistema processuale che, attraverso oltre mille anni di ricerche e oscillazioni, trova alfine la sua soluzione nel tribunale inquisitoriale, voluto da quell'Alessandro III: "guida morale della lega dei comuni lombardi, che sconfiggerà Federico Barbarossa a Legnano (1176); creatore della formula ideologica: - GIUSTIZIA E LIBERTÀ -, che userà come arma di propaganda contro tutti i suoi avversari politici..." (Mereu, op. cit., pag. 126).

La libertà, da fatto intimamente legato alla coscienza individuale è ormai diventato uno spazio interno alle leggi delle intuizioni, secondo la tragica freddura che circolava nel ventennio fascista tra il popolo: "Tutto quello che non è esplicitamente permesso, si intende tacitamente vietato.". Simmetricamente, la giustizia è tutta data e scritta dalla grande legge rivelata.

Il nostro mondo: il modo di rappresentare la realtà imposto dai detentori della vera unica giusta santa immodificabile legge: legge alla quale va adattata la vita secondo gli schemi del letto di Procuste, ha origini antiche, che non hanno smesso di agire e produrre nefandi effetti. Solo comprendendo come la nostra rappresentazione della realtà è nata, e su quali presupposti si fonda, è però possibile pensare di liberarsi definitivamente dalle strutture di un sistema che ha accompagnato l'uomo occidentale dalla capanna di Betlemme in poi, come lucidamente insegna nella poesia "Natale" Fernando Pessoa: Nasce un Dio. Altri muoiono. Non ci è giunta/né ci ha lasciato la verità: muta l'Errore./Abbiamo ora un'altra Eternità,/e ciò che è passato in fondo era migliore/(in F. Pessoa, Una moltitudine, ed. Adelphi, vol. I, pag.179).

Con l'istituzione dell'inquisizione, l'evangelico grano di senape è diventato la grande pianta che copre tutto l'universo del vivere umano: riassorbe la realtà quotidiana di ogni essere inglobato, volente o nolente, nel sistema: si mangerà cristianamente, si fotterà cristianamente, si parlerà cristianamente, si dormirà cristianamente: l'universo del fare come quello del parlare è ora diviso in una parte onesta lecita e continuamente propagandata, e in una parte oscura empia, da reprimere, estirpare.
La repressione è affidata al sistema giudiziario, che non cessa mai di crescere e di proliferare, ma ovunque, nello spazio e nel tempo, coerente e fedele, ci insegna il Mereu, alla forma archetipa del tribunale inquisitoriale: che stabilisce, una volta per tutte, la procedura processuale moderna con le varie maschere giudicanti, chiamate al gioco delle parti: tutte conniventi e complici del sistema della dominazione, sulla pelle dei dominati: ivi compreso l'avvocato difensore. L'inquisizione, a chi ne studia gli atti processuali, e traccia la storia delle complesse vicende, scrive il Mereu, appare come una struttura estremamente semplice, razionale, ed efficace in rapporto agli obiettivi che si propone. Essa elabora un proprio linguaggio, ricco di eufemismi, per cui la tortura diventa la "rigorosa disamina": per chi non è addentro un interrogatorio inquisitoriale appare in sé umano: i giudici sono sempre solleciti ed affettuosi; il personale inquisitoriale è tutto sottoposto a un duro e severo tirocinio intellettuale. Ogni inquisitore è la prefigurazione, già fatta vera in rapporto al messaggio cristiano, dell'intellettuale organico; e l'intellettuale organico è nient'altro che la continuazione, nella rivelazione marxista, dell'inquisitore. Con i suoi archivi, le sue procedure rigorosamente codificate, la confessione che non deve mai essere estorta, ma libera e spontanea (24 ore dopo la confessione ottenuta sotto tortura, e considerata in sé inefficace, gli inquisitori tornavano a interrogare il prigioniero, e gli chiedevano di confermare la precedente confessione. Se il prigioniero ritrattava, ovviamente la tortura riprendeva, e così via, ma sempre facendo ben attenzione a non uccidere il malcapitato; nel linguaggio inquisitoriale: "non recare danni al penitente"), la sua struttura piramidale burocratica e rigorosamente verticistica, che culminava nel papa, l'inquisizione crea il modello ideale al quale si rifaranno tutte le compagini degli stati nazionali. La visione inquisitoriale della realtà si è fatta abito mentale di tutta la classe politica europea, come rivela una cinica battuta di Palmiro Togliatti ministro di grazia e giustizia, a un allocco compagno comunista che chiedeva la urgente abolizione del codice Rocco: "Ci servirà ottimamente quando avremo preso il potere". La necessità permanente di inquisizioni è affermata da un pensatore la cui appartenenza al campo liberale non è mai stata messa in dubbio come Benedetto Croce: "Conseguenza dello stabilito principio (il principio della doverosità della repressione violenta dell'errore) è la giustificazione di misure pratiche che indicano coloro che erano teoricamente a correggersi, castigandoli, quando questo giovi ad ammonizione ed esempio. Mezzi d'altri tempi (si dice); ora siamo in tempi di libertà e non è lecito adoperarli... ma coloro che così dicono non hanno occhi per guardare intorno a sé. La santa inquisizione è veramente santa, e vive perciò nella sua eterna idea: quella che è morta era nient'altro che una sua contingente incarnazione storica. E anche questa incarnazione contingente dovette essere, per un certo tempo, giustificata e benefica, se popoli interi la invocarono e difesero (1), se uomini di altissimo animo la fondarono e severamente e imparzialmente la ressero, e gli stessi avversari la applicarono per loro uso, onde Roma cristiana perseguitò gli eretici, così come Roma pagana aveva perseguitato i cristiani (2), e i protestanti bruciarono i cattolici, così come i cattolici bruciarono i protestanti.... Di questa disciplina nessuna società può fare a meno..." (B. Croce, Filosofia della pratica, Bari 1945, V ed., riportato a pag. 478 del libro di Mereu).
C'è dunque una profonda coerenza logica nel sistema della dominazione occidentale: che ha antiche radici, e ben salde: averle messe a nudo è il grande merito di questo libro di Italo Mereu; che ha il raro pregio di una scrittura semplice, tutta evidenza e fatti, come un romanzo d'azione: chi scrive - pur nutrendo per il diritto lo stesso odio selvaggio di Vittorio Alfieri - ha incominciato alle undici di una sera la lettura del testo e non lo ha più smesso fino all'ultima nota: tutte preziosissime per approfondire l'argomento. Libro che riunisce molti percorsi e idee, in conclusione vogliamo seguire, alla luce delle riflessioni e ricerche di Mereu, la storia dell'istituzione più infame tra le tutte abiette istituzioni della nostra società: il carcere.
Recentemente, studiosi che vanno per la maggiore, quali il Foucault, tendono a imputare l'istituzione carceraria agli stati assoluti, e poi alla democrazia borghese. Nulla di più falso. Il carcere nasce come strumento integrativo, e conseguentemente necessario, nell'ambito dell'universo inquisitoriale. Carcere esisteva già nella società greco-romana, ma come luogo di transito, tra la condanna e l'esecuzione della pena: pene certo barbare, ma meno barbare, e nello spirito e nell'esecuzione, delle nostre. E tale il carcere rimase fino a quando il sospetto non divenne il modo di vivere i rapporti tra gli uomini nella società: fino a quando il controllo sulla società non fu del tutto sottratto agli uomini e depositato nelle rivelazioni. Con l'inquisizione il carcere diventa il luogo di isolamento: ora l'incriminato è sospettato di aver cospirato contro l'ordine cosmico, di essere il portatore della peste morale, e quindi è giusto che sia isolato, già prima della sentenza. Il carcere diventa uno degli arcani della dominazione: presenza che pesa sulle coscienze di quanti stanno fuori: svolge quella funzione ammonitiva esaltata da Croce, contemporaneamente alla funzione di lazzaretto delle anime.
Chi cerca soluzioni più umane al nostro mondo, troverà nel libro di Mereu, accanto a molte preziose indicazioni circa il modo di pensarci nella libertà, la prova provata della barbarie di tutti i sistemi ideologici che vogliono guidarci nel "nuovo mondo": cristianesimo, marxismo, liberalismo, che, dal remoto tempo di Innocenzo III propagandano la menzogna al grido di giustizia e libertà. Forse in Italia bisogna risalire ai tempi dell'aureo libro del Beccaria per trovare un saggio altrettanto importante. Ai libertari Italo Mereu ha dato uno strumento di lotta decisivo, sappiano i libertari usarlo.

(1) Abbiamo qui il tipico esempio della sistematica sovrapposizione di dominatori a popolo: dove i dominatori diventano per metafora il popolo. Marxisti e liberali, seguendo pedestremente i cristiani continuano la bella tradizione.
(2) Non ci furono mai persecuzioni. Le persecuzioni sono una invenzione della propaganda cristiana.