Rivista Anarchica Online
Una retata antianarchica
di Paolo Finzi
Nel corso di un'operazione poliziesca realizzata dagli uomini del DIGOS bolognese tra il 23 ed il
26 marzo scorsi, (mentre il numero di aprile di "A" era già in stampa), 19 persone - quasi tutti
militanti anarchici - sono state fermate a Catania, Forlì, Imola e Bologna. Sette sono state nel
frattempo rilasciate. Restano attualmente in carcere 12 compagni/e anarchici; Alfredo Maria
Bonanno, Carmelina Di Marco, Salvo Marletta, Saro Messina, Paolo Ruberto e Jean Weir (arrestati
a Catania); Patrizia Casamenti, Massimo Gaspari e Franco Lombardi (Forlì); Riccardo Fabbricat
(Imola); Erik Mc Burgon e Sandro Vandini (Bologna). Non si è ancora riusciti a sapere con esattezza
di quali reati siano sospettati: sembra comunque che tutti vengano accusati di associazione
sovversiva e di partecipazione a banda armata. Marletta, la Weir e forse Bonanno sono accusati di
essere gli autori di sei rapine contro altrettanti studi notarili bolognesi. Vandini, nella cui abitazione
sono stati trovati cinque bossoli, è stato processato per direttissima il 9 aprile e condannato a 7 mesi.
Gaspari, nella cui abitazione è stato trovato dell'esplosivo, è stato condannato il 22 aprile a 4 anni
e 10 mesi. Gran parte dei compagni arrestati sono tra i promotori ed i collaboratori della rivista
Anarchismo,
fondata a Catania nel '75 e due anni dopo trasferitasi in Emilia-Romagna (prima a Bologna, poi a
Forlì). Bonanno, Vandini e Lombardi ne sono stati i tre successivi recapiti postali; Lombardi ne è
attualmente anche il responsabile legale. Sempre a Catania, invece, sono curate le Edizioni della
rivista Anarchismo, che hanno pubblicato in questi anni decine di libri ed opuscoli, sia nel filone dei
"classici" del pensiero libertario sia d'attualità e di lotta. La rivista Anarchismo si è
occupata con
particolare attenzione delle lotte nelle carceri, della repressione poliziesco-militare (soprattutto al
Sud), della lotta armata in Italia e all'estero, ecc.. La sua opera di controinformazione e di agitazione
non poteva non disturbare i piani di pacificazione nazionale e di tregua sociale del regime:
arrestandone redattori e collaboratori si vuole mettere a tacere una voce scomoda, irriducibilmente
d'opposizione. Contro questa operazione anti-anarchica il nostro movimento si è schierato compatto
già all'indomani degli arresti, nel corso di un'affollata quanto improvvisata riunione nazionale
tenutasi a Bologna il 28 marzo.
Solo qualche anno fa una simile retata anti-anarchica sarebbe stata inconcepibile, e in ogni caso
avrebbe suscitato reazioni, perplessità e proteste ben al di fuori degli ambienti anarchici. Quando era
ancora fresco il ricordo della campagna di controinformazione sulla "strage di Stato", quando le
istituzioni pagavano ancora lo scotto della dissennata provocazione anti-anarchica del dicembre '69,
una simile operazione poliziesca si sarebbe subito ritorta contro i persecutori. Ma da allora ad oggi,
ben più di tre o quattro anni sembrano esser trascorsi. Tutta la situazione generale è cambiata. In
peggio. In questi ultimi anni lo Stato è riuscito a riacquistare gran parte della credibilità che
aveva perso nei
primi anni '70, ed è proprio tra gli sfruttati che - grazie all'efficace mediazione della sinistra storica
e del sindacato - le istituzioni sembrano trovare il consenso più attivo. I mass-media, compatti,
all'unisono, in difesa di questo Stato: al di là delle ventate scandalistiche che loro stessi provocano
e gestiscono per interessi di parte, sono tutti schierati con l'establishment su tutte le questioni
essenziali. Misure illiberali e antidemocratiche, quali il fermo di polizia, i rastrellamenti di
caseggiato, la carcerazione preventiva fino a 12 anni, sono state varate in un batter d'occhio quasi
all'unanimità. E pensare che da oltre un trentennio la D.C. e le altre forze moderate cercavano invano
di farle passare! Nelle scuole e nelle universit quasi tutte le "conquiste" del '68, dall'agibilità politica
all'apertura
all'esterno, sono già state relegate nel campo dei bei ricordi. Nelle fabbriche la spinta
all'egualitarismo, di cui si erano dovuti far carico almeno in parte le stesse confederazioni sindacali,
è stata fatta rientrare per dare concretezza al rilancio della professionalit e della produttività. Perfino
i fascisti hanno ripreso ad uscire allo scoperto, con il loro armamentario tradizionale, mentre certe
loro parole d'ordine tradizionali (come la richiesta della pena di morte) trovano sempre più ampi
consensi presso un'opinione pubblica sconcertata e manipolata. Quel che è più grave, e che
più ci preoccupa, è che questa generale involuzione è avvenuta e
continua non solo nel più diffuso disinteresse, quanto addirittura tra il crescente consenso della gente
verso le istituzioni. Numerosi fatti interni ed anche internazionali contribuiscono a formare questo
quadro: dalla crisi energetica al rinnovato clima da guerra fredda, dal rifiuto della "politica" intesa
come attiva militanza alla caduta di tanti miti "rivoluzionari". Fatto si è che oggigiorno la
conflittualità sociale, pur mai sopita, viene più facilmente che in passato ingabbiata in pratiche
legalitarie ed istituzionali che ne smorzano in partenza le potenziali valenze sovversive, anti-istituzionali.
La chiara coscienza che la violenza istituzionale dello Stato è incommensurabilmente superiore a
quella espressa dalle organizzazioni clandestine non può esimerci dall'analizzare con lucidità gli
effetti che la lotta armata provoca. È questa una riflessione che da tempo stiamo portando avanti: la
carica destabilizzante che le prime azioni di lotta armata avevano in sé, per il loro valore simbolico
(innanzitutto di rifiuto dello status quo e delle mediazioni legalitarie), si è andata esaurendo
parallelamente al presunto elevarsi del "livello di scontro". Al di là dell'analisi di ogni singola
azione, al di là delle stesse motivazioni iniziali di molti lottarmatisti, un dato ci pare di dover
cogliere a ormai molti anni dall'inizio della lotta armata: la crescente funzionalità al potere del
fenomeno terroristico nel suo insieme. Non si tratta di fare di ogni erba un fascio, né di
sopravvalutare il ruolo negativo della lotta armata, attribuendole responsabilit che vanno ricercate
altrove. Che, per esempio, lo Stato - già da molto prima dell'inizio della lotta armata - evolvesse verso
quel
modello di "totalitarismo morbido" che ci piace condensare nell'immagine del 1984 descritto con
tanta lucidità da George Orwell, lo abbiamo sostenuto fin dai primi numeri di "A". In polemica con
chi fantasticava allora i probabili golpe reazionari, rispondevamo che il vero quotidiano
golpe era
quello che si realizzava con l'entrata della sinistra nell'area di governo, con il cosiddetto
decentramento del potere, con l'ascesa al potere della nuova classe tecnoburocratica. In parole
povere, con l'estendersi del controllo statale sulla società. La lotta armata, sviluppatasi inizialmente
anche come reazione a questa situazione "bloccata" e al
suo progredire controrivoluzionario, a mano a amano che si è fatta sempre più simile ad una vera
guerra tra eserciti "regolari", ha finito con il favorire la realizzazione dei disegni del potere. E ciò non
tanto per il giro di vite repressivo che ha provocato, quanto perché ha favorito la crescita
del consenso intorno alle istituzioni. Grazie al controllo e all'uso razionale dei mass-media, infatti,
ma anche grazie alla spettacolare violenza di cui le organizzazioni clandestine fanno sfoggio non
solo verbale, il potere può più facilmente presentarsi come l'unico possibile garante della convivenza
sociale. Tramite la solita equazione "rivoluzionario=terrorista", che il quotidiano susseguirsi di
gambizzazioni, ferimenti, assassinii non fa che rendere più credibile alla gente, lo Stato (che pure
esercita quotidianamente una violenza mille volte superiore) può permettersi di criminalizzare tutta
l'area del dissenso e di estendere il suo controllo sulla società, senza incontrare troppe reazioni. Le gravi
contraddizioni del sistema economico, l'aumento vertiginoso del costo della vita, le
ingiustizie sociali di ogni tipo, la disoccupazione giovanile, tutto viene fatto passare in seconda linea
per dar spazio al fenomeno terroristico, al suo quotidiano sapiente uso da parte dei mass-media. La
vera conflittualità sociale, lo scontro di classe reale, ben più difficilmente utilizzabili dai
mass-media, faticano ad esprimersi in questo contesto, che è sempre più estraneo ed antagonista
all'impegno in prima persona, all'autogestione delle lotte. Sono momenti difficili, i nostri, che
esigono, oltre al solito ottimismo della volontà, almeno la lucidità della ragione. Farneticare di
uno scontro generale di classe che sarebbe giunto alla sua fase risolutiva, illudersi che
il mitico proletariato sia all'attacco, dedurne che l'unica soluzione sia quella di tapparsi in nella
clandestinità armata, significa lasciare campo aperto al potere, e soprattutto alle sue componenti
"progressiste", nella realizzazione del suo progetto.
Più volte, negli ultimi tempi, abbiamo avuto modo di approfondire queste nostre considerazioni,
aprendo anche le pagine di "A" ad interventi critici con questa nostra analisi. Con i compagni di
Anarchismo, in particolare, abbiamo verificato profonde differenze sulle forme e sui metodi della
lotta anarchica, giungendo anche alla polemica pubblica: niente di straordinario in un movimento
come il nostro, che da sempre ha nel pluralismo uno dei suoi tratti essenziali. Non abbiamo niente
da nascondere: il mito dell'omogeneità assoluta e la pratica della menzogna non sono mai stati
appannaggio del nostro movimento. Con altrettanta chiarezza vogliamo ricordare ai signori della repressione
e della criminalizzazione
che di fronte al tentativo di mettere a tacere una rivista anarchica, arrestandone redattori e
collaboratori, tutto il movimento anarchico è unito e solidale. La liberazione dei compagni di
Anarchismo è un impegno di lotta che coinvolge tutto il nostro movimento, perché il
loro arresto ci
colpisce tutti.
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