Rivista Anarchica Online
Quel dio fallito di J.P.Sartre
di Jules Elisard
Già da parecchi anni i suoi occhi se ne erano andati, ancor prima che la morte potesse fargli visita;
ora la morte lo ha sorpreso nel suo "buio" fatto di rimeditazioni, di nuove incertezze, di una mai
sopita speranza. Di lui si è già detto tutto, anzi troppo. La sua fama, la sua notorietà se le
era
conquistate per merito della sua capacit "divulgatrice". Sì, Jean Paul Sartre resta e resterà uno
dei più grandi "maîtres à pénser" in quanto più di tutti ha
saputo fare opera di divulgazione del pensiero filosofico esistenzialista. Non era un filosofo, nel
senso che non ha creato ex novo un sistema ideologico e metodico; la sua filosofia era, fin dall'inizio
abbondantemente tratta dalla fenomenologia husserliana, grazie alla quale ha fatto sì che il pensiero
esistenzialista, atto a spiegare il nostro esserci, diventasse un pensiero ateo e materialista. Compito,
a ben guardare, assai difficile dato che ogni analisi filosofica dell'uomo - perfino quella
esistenzialista di un Kierkegaard, di un Heidegger, di un Spencer - confluivano in una sorta di
metafisica della essenza dell'uomo. Sartre, dunque, opera una profonda trasformazione del pensiero
esistenzialista, affermando che la conoscenza dell'uomo non è tanto la coscienza della sua essenza,
quanto la coscienza della sua esistenza, di ciò che realmente è in rapporto al presente; così,
infatti,
si spiega: "ogni coscienza è coscienza di qualche cosa... un tavolo non è nella
coscienza, sia pure a
titolo di rappresentazione, un tavolo è nello spazio, di fianco ad una finestra, ecc.". La ricerca che
attraverso i romanzi e le piéces teatrali lo porta all'elaborazione de L'essere e il nulla si ispira
a tutta
quanta la condizione degli intellettuali vissuti a cavallo fra le due guerre, quando la condizione di
vuoto, di incertezza sul perchè delle cose assillavano i loro spiriti. Il "perchè delle cose" per il
filosofo parigino, non era da ricercarsi in chissà quale ente astratto: l'angoscia, l'assurdo sono cose
fin troppo palpabili ed esistenti nell'uomo di metà secolo; sono lì, si vedono, si possono toccare...
si è toccati. Ma la risposta, allora, rimase del tutto imprecisa e affatto metafisica: il bisogno che
l'uomo sartriano era disperatamente alla ricerca, il bisogno di libertà era tutto metafisico; l'uomo
esistenzialista era cosciente della sua limitatezza in quanto "dio fallito" non potendo disporre della
potenza infinita che sarebbe necessaria per soddisfare il "progetto fondamentale". La libertà
perdurava ad essere libertà nel singolo e per il singolo. Si sa, la guerra ed il rifiuto di prestare servizio
come insegnate sotto il governo Vigni, modificarono
in parte il pensiero di Sartre, aprendo nella sua speculazione filosofica la coscienza dell'altro. Fino
all'ora la ricerca si era focalizzata sulla analisi dell'essere analisi che per convalidarsi doveva
necessariamente ipotizzare il nulla, il non-essere come affermazione del contrario. Ma riconoscere
la nostra esistenza rapporto alla non-esistenza delle cose e del mondo, non favorisce la speculazione
interagente fra l'uomo e il mondo: l'uomo diviene libero in quanto limitato dal nulla, ma nonostante
il suo essere libero non può materializzare, "provare" la propria libertà nel mondo. Ecco
perchè in
L'esistenzialismo è un umanesimo, Sartre rettifica il concetto di libertà trasportando
la libertà del
singolo nella libertà del mondo: "Volendo la nostra libertà, scopriamo che essa dipende per intero
dalla libertà di tutti, come questa dipende a sua volta dalla nostra.". Questa "scoperta", stanò
il filosofo dalla solitudine speculativa per immergerlo nelle "cose" del
mondo; senonché questa "immersione" lo colse impreparato ed in balìa di filosofie difficilmente
compatibili con l'ipotesi da cui era partito: la ricerca della libertà. Una ventata di presunzione non
lo rese consapevole che la sua "recherche" era stata iniziata quasi un secolo prima da uno che non
era filosofo, Merlau Ponty, Aron e i collaboratori di "Temps Modèrnes"; ciononostante dobbiamo
riconoscere che i pur minimi tentativi di superare l'ideologia marxista grazie ad una metodica
libertaria, furono costantemente ostacolati da Sartre, costringendo non pochi redattori della rivista
a rivolgere le proprie analisi verso contenuti sconfinanti e fuorvianti dal progetto fondamentale". È
inutile fare un richiamo a quello che Sartre scrisse nel testo sopra riportato; non si tratta di
confutare la sua "scoperta"... dell'acqua calda; si tratta di capire che, sebbene l'analisi di cosa è la
libertà fosse esatta, il metodo per conseguirla, quel metodo rivendicato dal filosofo in Critica della
dialettica, ne è completamente sbagliato e fuorviante. Infatti, anche se il compito prefissato nel libro
è quello di depurare il marxismo della sua concezione storico-dialettica della società, affermando
che tale concezione è unicamente stalinista, non ortodossa, qualunque metodica che accetta l'analisi
marxista, costituisce una filosofia del potere e non una filosofia della libertà come giustamente
Bakunin ammoniva. L'impegno, l'engagement che Sartre, da quel momento della sua vita fino alla
morte, ha costantemente applicato nella politica e negli avvenimenti sociali, questo impegno ha
sempre scontato l'errore di fondo di chi ha cercato di far rivivere, sotto nuova luce, una concezione
del mondo autoritaria e gerarchica, camuffandola con una parvenza di libertà generosamente
offertagli dall'esistenzialismo. Ma la polemica sarebbe sterile se la stessa concezione sartriana
dell'engagement non avesse sortito una sua logica "dittatura" letterario filosofica. Fin dal primo dopoguerra,
l'intera corrente esistenzialista-atea, fu bruciata dall'ottusità di Sartre nei
confronti di chi, criticando "da sinistra" il marxismo, non voleva per sottomettere ogni analisi
picritica della società al vaglio della "verità" storico-materialista di Marx. L'affaire più
eclatante fu
la rottura con Camus; in un linguaggio denigratorio e sfottente, il filosofo dell'esistenzialismo
marxista, attaccò, condannò e distrusse la "figura politica" di Camus, poiché quast'ultimo
si era
permesso di confutare il pensiero storico dei marxisti nel libro L'uomo in rivolta. Criticando la
nozione di Storia, di Progresso, di Rivoluzione dei socialisti, l'autore del libro scrisse: "I socialisti
autoritari hanno ritenuto che la storia andasse troppo a rilento e che per accelerarla, si dovesse
affidare la missione del proletariato ad un manipolo di dottrinari.... Volendo dominare la storia, vi
si è perduta, volendo asservire tutti i mezzi, è stata ridotta a mezzo e cinicamente manovrata per il
più banale e per il più cruento dei fini.". In quel frangente Sartre, pur sapendo bene di star per
avallare le atrocità staliniste, non esitò a difendere a spada tratta i comunisti, l'Unione Sovietica, il
marxismo, tacciando Camus di essere un piccolo borghese che si era venduto all'imperialismo
americano, e quel libro di essere semplicemente la dimostrazione "della sua incompetenza
filosofica". Esempi come questi non mancarono, tutti dovuti alla grettezza delle speculazioni sartriane che non
facilitavano analisi che si ponessero oltre la sua "critica al marxismo". Lungi da noi è voler difendere
personaggi come Camus, ma che aveva dato tutta la sua vita per la libertà: Michail Bakunin! Quel
buzzurrone di un russo che a stento aveva imparato Hegel, nel 1871, con una semplicità perfino
stomachevole, aveva scritto; "Nessun individuo umano può riconoscere la sua umanità,
nè per
conseguenza realizzarla nella vita se non riconoscendola dagli altri e cooperando perchè gli altri
la realizzino. Nessun uomo può emanciparsi se non emancipando insieme a se stesso tutti gli uomini
che lo circondano. La mia libertà e la libertà di tutti, perchè io sono realmente libero non
solo
nell'idea, ma nel fatto, solo quando la mia libertà ed il mio diritto trovano la loro conferma nella
libertà e nel diritto di tutti gli uomini, miei uguali.". Senonchè la storia anche per il
nostro filosofo, è "magistra vitae" ed è capace di insegnamenti ben
più preziosi che qualsiasi documento, saggio o libro; i fatti di Budapest nel '56 e ancor più il maggio
francese, costrinsero Sartre a dover far di conto con tutti i suoi "compagni di strada" stalinisti. Il
"'68" francese risultò essere lo scontro più diretto e distruttivo nei confronti della praxis marxista;
la teorizzazione de "l'imagination au pouvoir", necessariamente criticava l'ideologia del potere posta
nella sua negatività. Sartre, checché ne dicano i suoi apostoli, non riuscì affatto a
riconsiderare tutta
la sua esperienza teorica alla luce dei nuovi fatti; è vero, che mai come in questi anni abbandonò
i
"compagni di strada", ma verso lidi che, in fondo in fondo, lo ricondussero sempre al medesimo
punto di partenza. Come poterlo affermare, quando il filosofo nel pamphlet Autoritratto a
settant'anni afferma: "La rivoluzione non è un momento di rovesciamento di un potere da parte di
un altro, ma un lungo movimento di svilimento del potere"? Se l'ultimo Sartre nega il potere, lo nega
nella sua "forma-stato" - come si usa dire oggi - non nella sua esistenza; il suo discorso non è frutto
di un pensare libertario, ma tutt'al più di una metodica soreliana, sindacalista rivoluzionaria. Le sue
affermazioni rispetto al valore da dare alla violenza, dimostrano un comportamento acritico nei
confronti di qualsiasi violenza contro il potere: egli sorregge teoricamente non la ribellione al potere
per l'instaurazione di una società libera ed egualitaria - in quanto sembra non crederci -; la sua difesa
è tutta indirizzata al puro gesto di rivolta, riproponendo la violenza in chiave di "sommossa al
potere", allo stesso modo che Sorel, agli inizi del secolo, valorizzava la violenza portandola a
"mito".... E ben ci ricordiamo in quali lidi ha attraccato questa "filosofia rivoluzionaria". Che dire
ancora di questo "uomo libero" del nostro secolo? Da questa limitata analisi, abbiamo cercato di ricostruire il
suo pensiero filosofico attraverso le tappe
più significative; abbiamo visto come la nascita di quel "dio fallito" incapace di risolvere,
praticando, la sua libertà in un mondo schiavo e schiavizzante, abbia condotto Sartre nelle braccia
del marxismo, dove l'engagement dell'intellettuale sartriano potesse dare un volto umano ad una
dottrina priva del concetto di libertà per ogni singolo. Ma anche in questo caso il fallimento di dio
era segato dall'esperienza storica che, rimarcando la netta separazione fra filosofia del potere e
filosofia della libertà, ha costretto il filosofo dell'esistenzialismo a trincerarsi in un terreno ancor
troppo metafisico, per soddisfare il "progetto fondamentale" dell'uomo: la libertà! Ciononostante
dobbiamo riconoscergli un merito che ben pochi come lui han saputo tener fede in
questo secolo corrotto e corruttore: il merito consiste nell'impegno sempre dato - come scrittore,
come filosofo - alla lotta degli sfruttati, nello sforzo costante di non riuscire tollerato dall'ordine
costituito. Pur non essendo suoi "compagni di strada", pur non riconoscendoci nel suo lavoro teorico
e pratico, dobbiamo pur sempre salutare in lui uno dei pochi "dei falliti" che per lo meno si sono fatti
onore nel dichiaralo.
|