Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 83
maggio 1980


Rivista Anarchica Online

Desiderio di schiavitù
di Jean-Jacques Lebel

Il mio contributo a questo colloquio sulla dissidenza e sul consenso sociale sarà limitato, e altrettanto impreciso: non coltivo l'illusione che si possa ripensare in quattro e quattr'otto la teoria marxiana, leninista e comunista-libertaria della lotta di classe, né le sue numerose e contraddittorie applicazioni pratiche; tenterò semplicemente di mettere in luce tale teoria e tali pratiche dal punto di vista e per mezzo di una messa in discussione radicale di alcuni clichés, slogans, idee acquisite, formule vuote, pubblicità menzognere che all'interno del "discorso rivoluzionario" passano spesso come analisi e filosofia della storia. Dai primi hegeliani fino ai pretesi "autonomi desideranti", passando per gli innumerevoli conflitti che hanno visto l'opposizione dei movimenti "anti-autoritari" dell'ultrasinistra con le varie organizzazioni sindacali, di partito e governative, ed in generale con tutto ciò che agisce come forza dell'ordine, il rapporto padrone/schiavo è stato implicitamente considerato come costitutivo della società salariale. Il famoso binomio padrone/schiavo, sfruttatore/sfruttato funge contemporaneamente da caricatura, da specchio, da micro-metafora, e si riproduce all'infinito nel campo sociale. Per il momento, poco importa se "il è lo schiavo dello schiavo" o se non lo è, o se, come scrisse Baudelaire, la donna del proletario "è la schiava dello schiavo"; quel che conta è che tutti i tentativi storici per trasformare o abolire questo rapporto-archetipo sono fino ad oggi sfociati nel contrario di quanto previsto ed enunciato nei programmi. Mi limiterò a porre delle ipotesi di lavoro, senza pretendere di raggiungere alcuna conclusione.

Il dominio e la schiavitù in quanto oggetti di desiderio (rimosso, censurato, negato, ma spesso tradotto in pratica) sono costanti comuni a tutte le organizzazioni sociali succedutesi sin dall'antichità: teocrazia, monarchia, feudalesimo, capitalismo privato o di Stato, società nucleare iper-centralizzata, ecc..... Il rapporto padrone/schiavo è preesistente alla società salariale e quindi al capitalismo moderno.
Il rapporto corpo prostituito/corpo prosseneta, che risale agli albori dell'antichità, è uno dei modelli, quasi immutabile ed eterno, osservabili in pressoché tutte le società occidentali e orientali. Utilizzo cui l'espressione "corpo prostituito" per sottolineare che nell'antichità, così come oggi, le donne sono ben lontane dall'esser le sole a prostituirsi: anche molti uomini, adolescenti e bambini ne fanno una professione. Ho quindi consacrato un lungo lavoro di ricerca a questa forma arcaica ed al tempo stesso atemporale del rapporto padrone/schiavo: il rapporto del corpo prostituito col corpo prosseneta. Contrariamente ai teorici marxisti, io lo considero come l'archetipo immemorabile o comunque come uno dei principali prototipi della società salariale così come la conosciamo oggi.
Riparlerò di due avvenimenti relativamente recenti, molto diversi tra loro e purtuttavia (anche se indirettamente) legati ad un medesimo scricchiolare o ad un unico slittamento controllato della macchina salariale: nel 1973 il lungo sciopero attivo con occupazione della Lip e nel 1975 lo sciopero delle prostitute con occupazione delle chiese. Questi due importanti avvenimenti di cui ho potuto osservare da vicino il funzionamento interno ed esterno, hanno scatenato in me una sorta di crisi di rigetto di molti clichés, slogans e idee acquisite che, come la maggior parte di noi, avevo assorbito fin dal tempo della guerra d'Algeria e dal Maggio 68 (che sono le due esperienze politiche che più mi hanno segnato e traumatizzato). In un secondo tempo, il momento del rifiuto ha ceduto il posto ad un lungo periodo di riflessione solitaria e di ricerche sfociate in un lavoro incompiuto, pubblicato in parte sotto il titolo, imposto dall'editore, de "L'Amour et l'Argent" ("L'Amore e il Denaro"), mentre il mio titolo originale era Traversée de l'institution prostitutionelle.
Le settimane trascorse alla Maison de Verre di Palente, durante lo sciopero della Lip, mi hanno permesso di assistere, e qualche volta di partecipare attivamente, a decine di assemblee generali, di sedute del Comitato d'Azione e di altre riunioni tra gli scioperanti ed individui esterni. Ho registrato sedici ore di discussioni collettive o individuali con gli operai della Lip sia durante i tempi morti che quelli vivi della lotta. Sono stato testimone diretto del processo di decomposizione della corrente autogestionaria tra gli scioperanti. Tale corrente, se non nella CFDT, era prevalente almeno nel Comitato d'Azione, dove si erano ritrovati molti dei non organizzati o di quelli non appartenenti al sindacato. Il conflitto tra le varie componenti sindacali o extra-sindacali di questa corrente autogestionaria, a priori molto contraddittoria, non ha impedito che un gran numero di comunisti-libertari e di gauchistes si identificasse con essa, probabilmente a causa dei discorsi utopici e del ricorso all'azione diretta ed illegale, e a causa della paga "operaia" (cioè non gerarchizzata, non conforme a una delle norme fondamentali del salariato). Il frantumarsi ed infine la scomparsa di questa corrente ha permesso che trionfassero l'ideologia e l'ordine sindacale, battuto in breccia e vinto per più di tre mesi alla fine del '73, quando il Comitato d'Azione era il più forte. Il seguito è noto: un padrone di sinistra manager del PSU (Neuschwander) e poi, dopo il fallimento di questo tentativo neo-modernista, la tremenda dichiarazione resa alla stampa dai dirigenti sindacali locali durante un'assemblea generale degli scioperanti: "vogliamo un nuovo padrone".
Fermiamoci su quest'ultima richiesta, fondamentale in quanto costituisce l'intoppo, il punto cieco, il nucleo, se non inanalizzabile ed incomprensibile, almeno fino ad ora non analizzato, di questo lungo ed esemplare conflitto sociale. Non c'è nessun bisogno, spero, di ricominciare a polemizzare e a commentare questo sciopero, la cui storia ed i cui particolari si possono supporre noti a tutti coloro che o hanno militato con gli operai o hanno fatto una volta almeno nel 1974 il viaggio sino a Besançon, oppure hanno anche solo letto e studiato i documenti originali e i numerosi articoli, se non addirittura i libri prodotti dagli stessi operai o pubblicati dai diversi testimoni ed osservatori. Che l'esperienza autogestionaria, o pretesa tale, non possa attualmente riuscire, né di fatto realizzarsi in parte o pienamente date le costrizioni e le leggi dell'economia di mercato, del rifornimento di materie prime e della distribuzione della merce (strettamente controllata dallo Stato o dai trust), e dato anche il ruolo regolatore e disciplinario che gli apparati sindacali e politici tengono a ricoprire, è un'evidenza lapalissiana di cui purtroppo molti gauchistes si sono accontentati per spiegare o denigrare ciò che loro hanno chiamato la "sconfitta della Lip". Per quanto mi concerne, c'è ben altro. Se uno dei movimenti di sciopero più immaginativi, entusiasti, illegali, più potentemente emblematici della nostra epoca, che ha suscitato un massiccio transfert d'affettività non solo in molti proletari francesi, ma anche in altri paesi d'Europa e persino in Giappone, se un movimento di sciopero attivo che, secondo un ministro, "ha tenuto l'intera Francia col fiato sospeso per dieci mesi" (a causa del potenziale "d'alternative alla crisi della disoccupazione" e allo smantellamento di fabbriche) è potuto finire a quella maniera, mi sembra inammissibile cavarsela con conclusioni di tipo economicistico. Il caso Lip è stato sopravvalutato per la speranza ed i timori suscitati tra sostenitori ed avversari, che parallelamente gli hanno attribuito il valore di test sociale. Questo formidabile movimento, alla ricerca di un'altra logica salariale, o post-salariale, si è saldato almeno parzialmente con la richiesta e la speranza di un nuovo padrone. Molti di noi che non erano né disincantati né corazzati da anni di militanza ne sono stati profondamente scossi. Mai, neppure nel grande sciopero per lo smantellamento della'ORTF del 1974, a cui ho partecipato attivamente, ho visto all'opera con altrettanta chiarezza gli apparati sindacali nella loro funzione prossenetica. Né il comitato di sciopero né le assemblee generali di scioperanti della'ORTF furono consultati sul proseguimento o sulla fine dello sciopero (che durava da parecchi mesi e che aveva dato luogo all'occupazione dell'ufficio del PDG e ad ogni tipo di azioni molto dure). La fine dello sciopero fu decretata dagli apparati politici e sindacali ed annunciata dalla radiotelevisione da un bonzo della CFDT. Gli scioperanti dell'ex ORTF appresero che la loro lotta era terminata ascoltando la radio, senza che fosse stato chiesto il loro parere. Tale è stato il punto di partenza del mio lavoro di ricerca sull'industria prostitutiva: il non-detto delle lotte sociali ed il consenso incarnato dalle istituzioni intermedie (sindacali e/o prossenetiche).
La stessa credenza nella natura inevitabile ed insostituibile del padronato si ritrova in molti altri scioperi recenti, ma aggravata da un amore-passione per l'istanza padronale in cui si ritrova lo stesso desiderio evidente per la costrizione salariale, la disciplina padronale, organizzazione razionale del lavoro, la sicurezza del posto di lavoro, e quella curiosa sorta di inassistenza sociale permanente che è la regola d'oro della Mala. Nel mondo prostitutivo si ritrovano così moltiplicate le suddivisioni in classi ed in strati sociali distinti che funzionano tutte secondo principi permanenti, quale che sia il regime politico o la religione dominante. Ho basato il mio lavoro su tre anni di discussioni con prostitute, protettori e tenutarie svoltesi in Francia, negli USA e altrove, su numerosissimi documenti e narrazioni storiche studiati alla Biblioteca Nazionale e altrove, e su testi o libri vecchi o recenti scritti da prostitute o tenutarie tra cui, La Partagés (Ed. de Minuit), La Punition (Ed. Bougrois), Le noir est une couleur di Griselidis Réal (Ed. Balland) e gli altri scritti di Griselidis apparsi nella rivista anarchicheggiante Marge (tra cui il suo manifesto intitolato "Prostituirsi è un atto rivoluzionario") e in Liberation, La Derobade (Ed. Hachette), Les Mémories de Nell Kimball (Ed. J.C. Lattés) Le 122 (Ed. O. Orban). Ho anche prestato grande attenzione agli articoli pubblicati da donne prostitute americane che hanno creato un'organizzazione ed un giornale intitolato Coyote, dando indicazioni molto più precise e meno ipocrite sul loro mestiere e sul loro rapporto con il protettore di quanto non si possa leggere nella stampa europea. In alcuni di questi testi l'amore della prostituta per il suo magnaccia (che non è soltanto il suo padrone, ma spesso il suo carnefice e torturatore) è proclamato come una professione alle norme della ragione ragionate e alla dichiarazione dei diritti dell'uomo e della donna, ed a maggior ragione irriducibile ai discorsi femministi o gauchistes sulla "liberazione". (...)
A partire da tale lavoro io proporrò una messa in discussione, o se si preferisce una messa in evidenza, di questo archetipo del sistema salariale costituito dalla istituzione prostitutiva, e dei diversi tipi di pratiche commerciali ed industriali, sociali ed economiche, sessuali e religiose che la prostituzione ha riprodotto da millenni a questa parte. La religiosità, anche se negata, vi gioca un ruolo centrale. Come tutte le istituzioni sociali, la prostituzione fu fondata su un sistema di credenza ora esplicita, ora implicita e rimossa, che la maggior parte dei comportamenti sociali, economici, professionali, affettivi, sessuali ecc. riproduce ed applica scrupolosamente, anche nei partiti, nei sindacati e nelle organizzazioni che si pretendono "rivoluzionarie". Già al tempo di Solone, l'istituzione prostitutiva era il prototipo dell'Uno (famiglia, chiesa, partito, scuola, fabbrica, ecc.), il prototipo dell'organizzazione sociale razionalizzata all'esterno, taylorizzata secondo il principio del rendimento e della redditività. Il corpo prostituito (poco importa se "maschio", "femmina" o "transessuale") è il robot ideale o, secondo l'espressione di Marx, "l'eunuco industriale" più compiuto, più socialmente redditizio. Non bisogna confondere il corpo prostituito o il corpo prosseneta con i loro miti e travestimenti. La massiccia mitizzazione della prostituzione (nella grande stampa, nel cinema, a teatro, alla TV, nei romanzi, ecc.)mostra a che punto l'immaginario ed il simbolico possano nascondere o cancellare il reale ed il sociale.
Per il momento mi limiterò ad esaminare la logica interna di questa istituzionalizzazione del desiderio di schiavitù, di questa paura ed addirittura orrore della libertà, di cui l'industria prostitutiva, fin da prima dell'avvento del monoteismo giudeo-cristiano, fin da prima dell'avvento delle società capitalistiche private o di Stato, ha dimostrato la forza e la perennità. Partendo dall'analisi e, speriamo, da una prima comprensione di questa logica sociale incosciente che dà alla schiavitù salariata la sua "verità", si potranno eventualmente progettare strategie diverse da quelle a cui la vecchia sinistra parlamentarista ed i burocrati leninisti "impegolati nel puritanesimo e nel disconoscimento dei loro desideri bulimici di dominio" vogliono ridurre le loro e le nostre esistenze. Perché il meccanismo salariale cessi di riprodursi automaticamente di generazione in generazione attuando sotto la pressione dei conflitti sociali lo stretto necessario in modernizzazione tecnologica perché si continui a credere al "progresso", bisognerà mostrarsi capaci di smontarlo. Iniziamo osservando in concreto le sue modalità di funzionamento e riconoscendo la finalità sociale del desiderio salariale.