Rivista Anarchica Online
Guerra alla guerra
di Maria Teresa Romiti
Solo pochi mesi fa eravamo tutti convinti che il riflusso fosse imperante, che ormai niente
avrebbe riportato la gente in piazza: tutti stufi, tutti rifluiti nel privato. Anche le notizie che
cominciavano a filtrare d'oltralpe erano viste come episodi sporadici, momenti che sarebbero
presto finiti nel nulla. Invece la gente sembra averci preso gusto a buttare all'aria qualsiasi
previsione: le informazioni dall'estero hanno rivelato un vero e proprio movimento a livello
europeo che è riuscito a mobilitare sul tema del disarmo e della pace migliaia di persone e, in
alcuni casi è stato talmente forte da condizionare, almeno in parte, alcune decisioni governative:
cose che non si vedevano da dieci, vent'anni. Inoltre the dutch disease ("la malattia olandese"),
come è stata definita da alcuni grandi giornali inglesi, è una malattia contagiosa che si sta
espandendo a macchia d'olio in tutti i paesi europei, Italia compresa. Le spiegazioni da dare al fenomeno sono
molte: innanzitutto c'è la paura, che investe tutti gli
strati sociali, il terrore di una guerra che appare sempre più prossima. I rapporti tra le due
superpotenze si sono deteriorati nello spazio di poco tempo: la possibilità di un conflitto,
soprattutto localizzato, è sempre più vicina. Nessuno può prevedere quale sarà la
scintilla che
farà esplodere tutto, ma non ci vuole una grande fantasia per poter temere la guerra alle porte.
Nonostante le ripetute assicurazioni da tutte le parti, sembra probabile (lo ammette lo stesso
Pentagono) che la prossima guerra sarà nucleare e si svolgerà in Europa. Ma la paura non basta a
spiegare come mai migliaia di persone si stiano muovendo: abbiamo visto, in questi anni, che la
gente può digerire proprio di tutto, le cose più assurde sono passate nel silenzio generale. Come
mai all'improvviso tutto questo risveglio? In questi anni c'è stato un progressivo no per il politico, si
è venuta instaurando la noia per tutto
ciò che è impegno. Le persone imbonite da mille pagliacci rispondono con la nausea e il silenzio
di fronte a qualsiasi discorso ideologico, più che mai convinte che in ogni caso il problema non le
riguardi. Invece che la rivolta cosciente verso le forme di delega, verso le parole vuote, si instaura
un rapporto di schifo, nausea, rifiuto di qualsiasi categoria del politico. Paradossalmente è forse lo stesso
meccanismo che ha provocato sul disarmo tutta questa azione.
Convinta che l'ideologia sia solo una copertura, sicura che gli interessi degli stati passano
tranquillamente sopra le persone, certa che l'unica cosa che sta a cuore ai potenti della terra è il
proprio interesse, la gente non vuol combattere e morire per una causa, vista in ogni caso come
fittizia. Quindi la gente si rifiuta, si ribella, si muove nel solo modo che conosce: la piazza. Ecco
quindi gruppi ecologici tedeschi (dodicimila persone) occupare un bosco per bloccare i lavori di
ampliamento dell'aeroporto militare di Francoforte; ecco un piccolo gruppo anarchico olandese
dipingere, con molto senso dell'umorismo, di rosa un aereo; ecco i trecentomila partecipanti alla
manifestazione a Bonn; ecco ricomparire il tiro delle uova per i governanti tedeschi (in Germania
la polizia è dotata di nuovi scudi antiuova), ecco organizzarsi marce e marcette, riunioni e
manifestazioni, sorgere gruppi. Certo il movimento è una cosa molto composita: pacifisti di
vecchia data (in Inghilterra è risorto il vecchio movimento pacifista degli anni cinquanta, il
CND), ecologisti, giovanissimi, ex-provos olandesi, unioni ecclesiastiche, gruppi di donne,
antimilitaristi, anarchici, non-violenti, anziani militanti di movimenti rivoluzionari, partiti in
cerca di credibilità: di tutto un po'. In effetti i partiti e le istituzioni stanno cercando il recupero ad
ogni costo per cui si possono vedere compassati deputati del Bundestag sconfessare il loro
governo, "giovani leoni" del PCI innalzare striscioni contro l'invasione afgana. In Italia poi il
recupero è "alla grande", tanto più che niente riesce a smuovere le stanche "masse", anche i
sindacati mostrano la corda e le riunioni oceaniche sono diventate ricordi del passato.
Sull'antimilitarismo, visto che tira, ci si sono buttati tutti a pesce, infischiandosene di
incongruenze e diversità: l'importante è poter dire c'ero anch'io, tanto il tema e unificante, di
quelli per cui bene o male si è tutti d'accordo, almeno nelle linee principali. Il problema che si pone a
noi anarchici è un po' più complesso: da una parte non possiamo che
rallegrarci di fronte al sorgere di iniziative spontanee, locali e, soprattutto all'estero, fatte da
piccoli gruppi spesso autogestiti al di fuori delle istituzioni. Inoltre è superfluo ripetere che siamo
antimilitaristi e quindi contro la guerra. D'altra parte non possiamo non notare alcune
contraddizioni del movimento. Muoversi per la pace, per il disarmo senza considerare
l'istituzione armata è inutile, destinato al fallimento. Che fare? Ritirarsi sdegnosi, definendo
questi i soliti imbecilli? Secondo me è invece proprio perché questa azione è dovuta anche
al
profondo disincanto verso le istituzioni che noi non possiamo tirarci indietro, anzi dobbiamo
specificare meglio il nostro antimilitarismo confrontandoci continuamente con le realtà
emergenti. Pensare che Mosca e Washington possano diminuire gli armamenti è una pia
illusione: le loro scelte sono condizionate. Le crisi interne, le difficoltà con gli altri stati,
l'esigenza del prestigio, l'esercito, ormai in grado di essere un vero e proprio gruppo di pressione,
la necessità per i paesi industrializzati di aumentare costantemente le spese per gli armamenti e
quindi poi giustificarle sono tutti fattori che restringono sempre di più la possibilità di evitare un
conflitto. Per questo bisogna andare più a fondo del problema: non vogliamo eserciti, perché
l'istituzione
armata è una istituzione totale, un non-luogo del sociale. Non è possibile democratizzare
l'esercito, ma solo distruggerlo; questo vuol dire anche che l'esercito non è un problema a se
stante, ma collegato alle altre istituzioni, vuol dire ricostruire la società privilegiando l'individuo
e la libertà. Ma è anche il solo modo per ottenere una società dove esista la pace, non questo
surrogato al quale noi siamo abituati. Utopia, certo, ma noi rivendichiamo la forza del sogno utopico, la tensione
che si riversa sul
presente per cambiarlo, la potenza rivoluzionaria dell'immaginario sociale, sovversivo.
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