Rivista Anarchica Online
Intervista a nostro padre
a cura di bd
Figlio 2 - Papà, come la mettiamo con la paura?
Padre - Calma: io non ho paura di nessuno.
Figlia 1 - Infatti. La paura è la nostra. Di te, delle tue reazioni, delle tue
"aperture" valide fino a
quando tutto va bene: noi facciamo i bravi figli di anarchico e te il vecchio saggio.
Padre - Un momento. Nel passato, anche se non troppo remoto, io ho avuto
comportamenti nei
vostri confronti che erano violenti e quindi vi impaurivano. Sono i tempi nei quali io giravo con
l'elmetto del militante, salvo poi comportarmi nel modo che dite. Oggi però io non sento alcun
impulso violento nei vostri confronti. Aggressività, talvolta sì, ma la mia aggressività, rivolta
a
voi, vorrebbe essere comunque una forma di comunicazione; ritorta contro me stesso,
autoreprimendola, sarebbe solo frustrazione. Voglio dire che se io sono aggressivo con voi, ciò
non significa che voglio esercitare una violenza contro di voi, ma che comunico con voi, nelle
forme in cui sono capace e nel modo che mi va in quel momento.
Figlia 1 - Palle. A partire dal tono di voce, continuando con il divario di cultura
(memoria
storica, la chiamate voi) e finendo col rapporto istituzionale, per cui non è un caso che il padre
sei tu e noi i figli, vi è di fatto un divario fra te e noi che è incolmabile con la comunicazione;
figuriamoci poi se espressa in tono aggressivo.
Padre - D'accordo. L'altro ieri, ero con voi padre. Ieri, vi parlavo del mio
tentativo/rifiuto di
essere l'istituzione-padre; oggi mi rendo conto che la contraddizione è insanabile e che dunque
viene sempre il momento in cui il rapporto ridiventa ruolizzato, di classe, quindi antagonista,
quindi violento. Ruolizzato non soltanto io, ma anche voi, che spesso cedete alla tentazione di
essere "figli". Quindi pochi grattacapi, vivere in un confortevole assistenzialismo, delegare le
questioni importanti o noiose, ecc.. Meglio ancora poi se i genitori sono anarchici: ricordo un
articolo su "Umanità Nova" in cui la figlia diceva la sua soddisfazione per la libertà che le
dava il
padre anarchico; un po' come il maestro buono a scuola, insomma. Lo scontro diventa allora inevitabile e,
secondo me, giusto. Guardiamo il nostro stare insieme.
Prima fase: tutto liscio, discussioni, incontro, bella atmosfera. Piano piano voi però vi rilassate e
io comincio a sentirmi un po' troppo delegato: protesto e si litiga. Terza fase: dopo la sfuriata si
sta di nuovo bene, ma sotto sotto c'è il timore (o la paura, per dirla come voi) che lentamente si
dissolve, e si ricomincia da capo. Se invece che il litigio ci fosse la discussione pacata e serena,
cambierebbe qualcosa? Sul piano istituzionale no, perché nella seconda fase io ho ripreso, lo
voglia o meno, il mio ruolo.
Figlia 3 - Ma che cazzo dici? Tensioni, esplosione, contraddizioni, antagonismo....
Io so che con
te ho un rapporto bellissimo, da sempre: la tua aggressività non è mai violenza, la tua funzione
educativa mai paternalistica, la tua comunicazione con me, totale. Quelli che gli altri spesso
chiamano miei capricci sono da te compresi come momenti di ricerca di spazi miei, così come
capisci bene che i miei tempi (alimentari, di gioco, di riposo) sono diversi dai vostri, più grandi o
adulti.
Padre - Contraddizione nella contraddizione. Sì, certo: il mio rapporto con
te si è sviluppato da
subito su un piano diverso. Tu godi forse dei frutti delle esperienze precedenti, che hanno almeno
evitato il ripetersi di molti errori. Ma sei piccola: le tue esigenze di libertà individuale sono forse
molto più ridotte, rispetto alle esigenze di libertà assieme a qualcuno. Non sono dunque sicuro
che domani, o fra dieci anni, non si presenteranno gli stessi rapporti conflittuali di oggi coi tuoi
fratelli più grandi.
Figlia 1 - Giusto. Ricordo che noi, quando avevamo la sua età, eravamo
sottoposti ad un
bombardamento educativo-psicologico che non aveva nulla da invidiare ad una scuola di
catechismo: Dio non esiste, il mondo è diviso fra fascisti e compagni, non esiste padrone buono e
così via. Ma quando, cambiando città, ci siamo trovati in un ambiente completamente sordo
oppure ostile alle idee che ci avevi inculcato, lo scontro è stato tremendo e a noi ci ha sconfitti,
anche perché ci hai lasciati soli.
Padre - Si. Erano tempi in cui credevo fermamente che fosse necessaria una
educazione e che
questa dovesse essere l'esatto opposto di quella del sistema. Come quelli di "Servire il Pollo", che
mandavano in giro i bambini col libretto rosso. Solo che a comportarsi così era uno che si
fregiava del titolo di anarchico. Oggi, con buon ritardo, almeno questa lezione l'ho imparata e
condenso il concetto di "educazione", che comunque non mi va bene, in queste due parole:
libertà e comportamento. Con la seconda intendo dire che è soltanto essendo me stesso in ogni
momento della mia vita (e quindi anche con voi) che potete valutare se le idee che ho vi vanno
bene, e se sono applicabili. E, in definitiva, fare le vostre scelte in libertà. Naturalmente non
nego, anzi rivendico, l'esperienza, allo stesso modo in cui credo utile leggere i libri di storia, ma
non ho più la pretesa di schiacciarvi con l'esperienza, che metto a disposizione soltanto se
richiesta; altrimenti libero chiunque di inventarsela da solo, l'esperienza.
Figlio 2 - Tante belle parole. Nei fatti però tu hai con noi tre dei
comportamenti completamente
diversi. Con la grande, quando non litigate, hai un rapporto molto aperto (Figlia 1: ma se
non sa
niente della mia vita, come la vivo veramente!); con l'ultima, già si è detto. Ma con me? Che sia
a causa della mia timidezza, oppure che io sono maschio, fatto sta che la mia vita con te è molto
spesso infelice per le preferenze che fai e perché comunque con me non ci parli.
Padre - Niente da dire. Probabilmente perché dal rapportarsi delle tue sorelle
verso di me io mi
sento più gratificato e dunque rispondo con maggiore slancio. Chi abbia iniziato per primo
questo flusso reciproco di simpatia non lo so dire. Sospetto che sia partito da me, e in questo caso
ne consegue che verso di te non l'ho fatto perché non l'ho voluto fare. Il che mi porta a pensare,
forse un po' ipocritamente, che il rapporto maschio-maschio sia più difficoltoso di quello
maschio-femmina. Ma non me la sento di andare avanti su questa strada perché troppi elementi
contrari ci sono (basti pensare allo stuolo di padri che ambiscono ad avere un maschio). Mi
limito soltanto a dire che sospetto anche qui qualcosa di ruolizzato. Un'altra spiegazione potrebbe
essere quella che non è vero, come di solito si dice, che un padre voglia vedere nel figlio una
copia di se stesso allo specchio: che al contrario voglia vedere in lui solo dei successi, in modo
da nascondere la vera immagine che vedrebbe: quella di se stesso e dei suoi insuccessi. Dando
per buona questa spiegazione, le debolezze, le incertezze del figlio verrebbero in questo caso
ingigantite sino a diventare peccati inespiabili e poter allora fare scattare questo meccanismo
perverso. Da parte del figlio, invece, è possibile che il rapporto col padre venga messo a nudo
dalla mancata attrazione sessuale che normalmente viene a crearsi fra genitori di un sesso e figli
dell'altro.
Figlia 3 - Altro tema importante, questo della sessualità. La scoperta di me
stessa, la conoscenza
del mio corpo, quella quantità di giochi autoerotici che ho recentemente scoperto, sono stati resi
possibili dal tuo comportamento totalmente permissivo.
Padre - Non proprio permissivo: se a te davo a vedere che non mi interessava
minimamente (tu,
sapendo di "fare peccato", ogni tanto mi spiavi) in realtà gioivo profondamente di questa scoperta
di te stessa. Sono sicuro che in questo modo hai messo da parte una riserva di libertà che al
momento giusto ti ritornerà utilissima. Con voi due grandi, non c'è, di nuovo, niente da dire:
quando era la mia sessualità ad essere repressa, come potevo consentire che la vostra crescesse in
forma libera? Ed ecco oggi i risultati: problemi per voi, un approccio della questione da parte
della terza molto più libero e pieno di promesse. Oggi mi arrischio a dire che senza una intesa
"erotica" i rapporti fra genitori e figli sono ancora più difficili; ho sentito, è vero, parlare di
Edipo, ma non credo possa esistere questo pericolo se la sessualità viene lasciata completamente
libera di esprimersi. Rivendico l'incesto, allora? No, almeno per quel che mi riguarda: perché, pur
amandovi profondamente, non c'è nel mio amore alcun stimolo di penetrazione/dominazione. Di
nuovo è rimasto escluso dal discorso il figlio maschio, ma a te, figlio 2, voglio chiedere: è vero o
no che sei più portato a parlare di te stesso ad una donna, meglio se una che ha un rapporto con
me (questo tanto per rimarcare un'altra volta la contraddizione insanabile, quella dell'istituzione-famiglia)?
Figlio 2 - È vero, ma secondo me ciò dipende principalmente da una
tua indisponibilità, non da
una mia tendenza.
(a cura di bd)
P.S. - L'idea di questa "intervista" è nata dopo la lettura ("A" 94) di una
"Intervista a mio figlio"
che mi aveva lasciato perplesso per il tono catechistico (come rileva il corsivo redazionale) in cui
si era svolta. Perplesso perché riconoscevo in quanto leggevo un "modo di essere padre" che ho
vissuto sino a poco tempo fa, che è stato causa di profonde incomprensioni fra i miei figli e me, e
che oggi con enormi difficoltà sto cercando di mettere in discussione e se possibile cancellare. La
cosa non è facile perché continuamente ci si trova a misurarsi con dei propri comportamenti
autoritari, paternalistici o semplicemente (forse nella maggior parte dei casi) comodi. Non
ricordo, ad esempio, di aver conosciuto un solo padre che non ritenesse obbligatorio che tutta la
famiglia acquisisse e si muovesse secondo l'esperienza che lui (e soltanto lui) aveva fatto. Non
ricordo un solo padre che abbia saputo lottare efficacemente contro il tarlo dell'abitudine e della
convivenza che corrode il più solido dei rapporti familiari ed affettivi in generale. E tralascio,
perché troppo scontate, considerazioni del tipo "stai zitto che se troppo piccolo" e così via.
Ritengo, come già detto nella "intervista", che ci sia un punto nel rapporto padre-figlio oltre il
quale non si può andare: ed è il punto in cui la libertà del comportamento si scontra con la
istituzionalità del rapporto. Però, se quindici anni fa dicevo "la famiglia si abbatte e non si
cambia" e nell'attesa del colpo finale me la godevo, la famiglia, confortevolmente seduto sul mio
trono, oggi mi sono accorto che forse qualcosa è possibile fare già da ora, magari anche tanto. In
questa "intervista" manca totalmente la figura della madre; essa invece c'è, ed è ben presente;
se non ne ho parlato è perché ritengo spetti a lei farlo, se vuole. I figli hanno, secondo la
numerazione, 16, 15 e 5 anni. Si capisce bene allora che l'intervista è inventata; penso sia
impossibile (almeno lo è per me) fare "davvero" un'intervista di questo genere; ritorna ancora la
questione della contraddizione insanabile, ma anche il divario di cultura, l'interesse rispettivo dei
quattro soggetti per l'argomento (giustamente molto differenziato, secondo me), le diverse
capacità espressive, e così via. Attenzione però: inventato l'involucro, non il contenuto, che
è
quasi alla lettera quanto è stato detto in infinite occasioni e nelle più impensate circostanze, da
loro e da me. Mi spiace per i larghi aspetti autobiografici che vi si trovano; non riuscirò mai a
togliermi di dosso il terrore di aver scritto una lettera tipo "Annabella" o "Due più"; ma non sono
francamente riuscito a trovare altro modo che questo per affrontare i temi che affliggono e
deliziano loro figli e noi padri. Senza la pretesa di essere il delegato di tutti i padri anarchici, ho
però la convinzione di essere abbastanza un "campione medio statistico", anche nei tratti
autobiografici. L'anonimato mi sembra logico e doveroso verso gli altri tre, trascinati in questa
avventura senza il loro consenso.
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