Rivista Anarchica Online
Stalin a S. Vittore
di Paolo Finzi
Che se ne vadano! Con queste parole si apre un documento fatto uscire a metà novembre
dal
carcere milanese di San Vittore con la firma collettiva "i detenuti del 2° raggio". Oggetto del
documento: lo sciopero della fame, allora in corso da oltre un mese e mezzo, di Ciro Paparo,
Roberto Pironi e Giovanni Valentino, tre detenuti in attesa di giudizio, accusati di reati di
"terrorismo" per i quali si sono sempre proclamati innocenti. Le motivazioni di questa loro lotta
non sono in particolare le loro vicende personali, ma la generale situazione giudiziaria e
carceraria di tanti che si trovano, più o meno, nelle loro stesse condizioni. Nelle prime settimane, la loro
iniziativa è trascorsa in sordina: poi qualcosa ha cominciato a
muoversi, articoli sui giornali, trasmissioni alle radio private, visite di parlamentari locali e
nazionali, interrogazioni, appelli per la concessione della libertà provvisoria, qualche
manifestazione. Questa mobilitazione di una parte almeno della sinistra non ha finora ottenuto
niente di specifico per quanto riguarda il loro caso, ma ha comunque impedito che una volta di
più calasse anche su questa ennesima drammatica vicenda giudiziario-carceraria la solita cortina
del silenzio. La procura della repubblica è stata costretta ad uscire allo scoperto con tutto il suo
cinismo, negando loro la libertà provvisoria ed ancor peggio irridendo al loro "sciopero
all'italiana". Dentro sono e dentro resteranno, hanno ripetuto sostanzialmente i vertici della
magistratura milanese. Intanto, mentre questo numero va in stampa, la lotta dei tre continua. Il tutto, poi, va
inquadrato nell'ambito della situazione venutasi a creare all'interno del carcere
milanese all'indomani del 22 settembre, giorno del bestiale pestaggio (del quale abbiamo
pubblicato una testimonianza diretta sullo scorso numero) e dei trasferimenti di molti detenuti un
po' in tutta Italia: allucinante risposta delle autorità al crescente movimento rivendicativo che, fra
l'altro, tendeva a sottrarre la popolazione carceraria al condizionamento e ai ricatti delle varie
mafie interne. Fin qui, comunque, niente di nuovo. Da una parte tre detenuti in lotta anche per una più
generale
causa di giustizia, dall'altra il potere con le sue mistificazioni, la sua violenza istituzionalizzata.
A metà novembre, proprio nei giorni in cui il procuratore Gresti intensifica i suoi attacchi contro
i tre e li irride pubblicamente parlando con i giornalisti, esce da San Vittore il documento siglato
"i detenuti del 2° raggio". È ora di fare un po' di chiarezza (...) - vi si legge, riferito ai tre -
Se ne
sono andati, hanno scelto di rapportarsi individualmente al potere, di costruire rapporti
privilegiati con i suoi rappresentanti, hanno scelto un'altra collettività, la collettività di chi si
riconosce nello stato di cose presenti, di chi giustifica la galera e il dominio dell'uomo
sull'uomo, hanno abbandonato la collettività di chi lotta per essere libero da ogni dominio. Sia
chiaro a tutti, il loro dopotutto non era un grande sciopero della fame, si è trattato in realtà di
una grande sceneggiata condotta all'insegna del proprio tornaconto personale con la maschera
della protesta collettiva. Altro che paragoni col carcere di Maze e con i militanti dell'Ira, di
schifosi opportunisti si tratta!!! (...) Hanno, a partire da questa loro pratica di rottura del corpo
collettivo, portato avanti un progetto politico che va denunciato e smascherato (...). Nulla hanno
a che fare con il movimento. Invitiamo tutta la stampa a pubblicare questo scritto (...). Analoga posizione
esprimevano negli stessi giorni alcuni brigatisti della colonna Walter Alasia,
allora sotto processo a Milano. Dall'aula del tribunale, bollavano anche loro i tre di schifoso
opportunismo, tradimento, ecc. definendoli "morti di fame" e annunciando che se non fossero
morti con il loro risibile sciopero della fame ci avrebbe pensato di sicuro qualcun'altro a farli
uscire dal carcere nella posizione che si meritano: orizzontali. Alla bestialità e all'intolleranza di quanti
si mascherano dietro la sigla "i detenuti del 2° raggio",
hanno prontamente risposto cinque detenuti in varie carceri, con una ferma lettera pubblicata su
Lotta Continua: Antonio Muscovich e Enrico Baglioni (Centro clinico di Pisa), Pietro Villa e
Giuseppe Muscianisi (Casa circondariale di Pisa), Gloria Pescarolo in Baglioni (Carcere
femminile di Avellino). È poco quello che possiamo dire, - affermano i cinque - ma
è tutto quello
che abbiamo: diamo tutto il nostro affetto e solidarietà ai nostri amici e fratelli Ciro, Giovanni e
Roberto che dalla "notte di San Bartolomeo" (il riferimento è al pestaggio del 22 settembre,
ndr)
stanno effettuando uno sciopero della fame; che con la complicità del ministero di Grazia e
Giustizia, la Procura della Repubblica di Milano e gli anonimi firmatari del documento che li
definisce "schifosi opportunisti" vengono condannati all'unanimità a morire. (...) Noi non
vogliamo dire se sia o no giusta la loro scelta: la accettiamo e la rispettiamo. Ma vogliamo
gridare a gran voce che devono vivere per tornare ad amare. E non permetteremo a nessuno di
infamare la loro figura e identità: né al Ministero e alla Procura della Repubblica che li
definisce pericolosi terroristi; né a chi si nasconde dietro a generiche e comode firme come "i
detenuti del 2° raggio", che ha il coraggio di dire che loro sono sempre stati sabotatori delle
lotte e la loro iniziativa non è nient'altro che uno sporco patteggiare la loro libertà con il
nemico. (...) A costoro rispondiamo semplicemente che oltre ad averci provocato disgusto nel
leggere il contenuto del documento intitolato "che se ne vadano", ci stanno anche sorgendo seri
dubbi sulla loro reale partecipazione al movimento ed alle lotte di San Vittore. A noi non
interessa dare delle definizioni o etichette al ciclo di lotte estive e al suo movimento (...). E allora
è ancor più schifoso, cinico, da sporco e vecchio politicante, avallare una condanna a morte su
tre uomini con cui si è diviso tutto, con cui si è mangiato e scherzato, con cui si è lottato e
-
perché no? - si sono avute anche divergenze. Quel "se ne vadano" o quel "sono degli schifosi
opportunisti", è una pugnalata alle spalle data da chi pensa, probabilmente, che il "comunismo"
debba per forza nascere da un bagno di sangue, da chi pensa che la solidarietà la si concede
solo dopo aver controllato la tessera di partito. Noi questa tessera non la chiediamo nè ce
l'abbiamo. Diamo tutta la nostra solidarietà a Ciro, Giovanni e Roberto perché li vogliamo con
noi vivi e liberi, perché sono nostri fratelli. Noi non avalliamo nessuna sentenza di morte, perché
siamo contro la pena di morte, e la nostra lotta è per la pace, la vita, l'amore, un mondo umano.
Voi del 2° raggio, per cosa lottate? Per cosa lottano, lo specificheranno loro. Come lottano, lo vediamo
tutti: con le armi della
calunnia, dell'insulto, dell'intolleranza, del cinismo, della legge del più forte. Non è certo un caso
che si trovino così sulle stesse posizioni degli stalinisti delle Brigate Rosse; che, come i brigatisti,
cerchino di eliminare con ogni mezzo qualsiasi forma differente di aggregazione e di lotta; che,
come i brigatisti, cerchino anche di "riscrivere" la storia a loro uso e consumo, negando
addirittura che i tre possano aver partecipato alle lotte in carcere. Per assicurarsi l'egemonia, tutti
i mezzi sono buoni: in questo senso, i brigatisti ed i loro "compagni di strada" utili idioti di
sempre (ivi compresi quelli che ammantano il loro violentismo di parole d'ordine ed immagini
"libertarie"), si confermano degni eredi della tradizione stalinista. Il loro disegno politico, evidentemente, va
ben oltre la calunnia contro questo o quell'altro
detenuto: al di là di differenti sfumature, il progetto carcerario dei brigatisti e dei loro alleati è
appunto quello dell'egemonia, al fine di ottenere - di fatto, almeno - la "rappresentatività"
dell'intero movimento di lotta delle carceri. L'intento è duplice: da una parte poter trattare da
posizioni di forza con il governo (il precedente della rivolta nel supercarcere di Trani è
emblematico), dall'altro saldare questo movimento delle carceri (o comunque quanto si muove al
loro interno) alla strategia "esterna" delle cosidette O.C.C. ("organizzazioni comuniste
combattenti"). In questa strategia si muovono oggi non solo i militanti delle Brigate Rosse, ma
anche quelle forze che anche con impostazioni differenti sono impegnate a far sopravvivere il
folle progetto lottarmatista. Tutti coloro, per intenderci, che considerano loro "referente" il
movimento della cosiddetta "guerriglia" e giudicano il successo della loro strategia dal "volume
di fuoco" realizzato, cioè dal numero di morti e feriti lasciati sui marciapiedi. È in questo
contesto che si esprime l'allucinante totalitarismo dei lottarmatisti; che vengono
calunniati quegli imputati che, accusati senza prove e proclamatisi innocenti, vanno al processo
per difendersi; che si sfrutta la naturale ripulsa per i "pentiti" bollando come tale chiunque non si
adegua al lugubre rituale processuale dei brigatisti; che, in parallelo ed a volte in connessione con
la tradizionale violenza mafiosa, viene esercitata quella "rossa" contro chi si oppone attivamente
alla brutalità e al totalitarismo dei brigatisti e dei loro emuli. Contro la strategia lottarmatista, contro
l'ideologia di morte che vi sta dietro, contro i loro
proclami di annientamento, contro la loro violenza sistematica speculare a quella delle istituzioni
repressive, contro tutto quanto di autoritario, disumano e militarista essi rappresentano, è
necessario continuare a fare la massima chiarezza.
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