Auto all'acqua
Si è fatto un gran parlare ultimamente della cosiddetta auto
"ad acqua", vista da molte parti come la soluzione ai problemi
ambientali creati dalla motorizzazione privata di massa, nonché
come strumento per rilanciare un'occupazione ormai in calo verticale.
Prima domanda: è vero che il motore ad acqua è ecologico? Se
si considera il problema ambientale solo dal punto di vista
dell'emissione di sostanze inquinanti nel punto più a valle
del processo produttivo, sicuramente lo è; ma questa è una visone
riduttiva dell'ecologia e, diciamolo pure, anche un pochino
occidentalocentrica. Se ci si comincia invece a chiedere quali
sono le implicazioni che una motorizzazione di massa "idrica"
comporta nelle modificazioni del ciclo dell'acqua, forse la
risposta a questa domanda potrebbe cambiare.
Ecco quindi la seconda domanda: da dove preleveremmo l'acqua
che dovrebbe servire ad alimentare i nostri motori? Se ciascun
automobilista potesse far rifornimento dal rubinetto di casa,
sprecando enormi quantità di acqua potabile, gli scompensi che
si creerebbero sarebbero di un'enormità tale da minacciare direttamente
il perpetuarsi della nostra civiltà; molto più probabilmente
l'acqua dovrà essere prima scissa in idrogeno ed ossigeno in
appositi impianti dopodiché l'idrogeno, debitamente inscatoIato
sotto pressione, verrebbe spedito ai distributori. Il problema
del reperimento delle fonti verrà sicuramente risolto andando
a prelevare l'acqua in posti dove non sono presenti grossi interessi
industriaIi o turistici: ve lo immaginate cosa direbbero gli
albergatori romagnoli se gli venisse prosciugato l'Adriatico?
Questo vuol dire andare a prosciugare falde o ad aumentare il
grado di salinità di mari (dato che il sale non serve nel processo
di dissociazione elettrolitica, bisogna lasciarlo dove si trova)
che si troveranno quasi sicuramente nel terzo mondo, per cui
si creeranno ancora più problemi alla grande massa di persone
che vivono in un'economia di sussistenza, con conseguente andamento
dei flussi migratori verso le nostre opulente nazioni. Bisogna
inoltre tenere presente che in qualunque processo di liberazione
di energia si ha un certo grado, maggiore o minore, di degradazione
della materia: in questo caso la combustione dell'idrogeno non
lascerà sicuramente intatte le riserve di questo elemento e
dell'acqua, suo composto principale, esattamente come succede
con il petrolio; ma in questo caso questo aspetto del problema
è complicato dal fatto che l'acqua ha possibili utilizzi alternativi
di gran lunga più indispensabili alla vita che non il suo concorrente
fossile, e per questo motivo una motorizzazione di massa idrica
è moIto più dannosa per l'ambiente che non quella tradizionale,
oltre ad essere socialmente molto più discriminante. Ci troviamo
allora di fronte all'ennesimo escamotage che permette al mondo
occidentale di eliminare un problema che si è creato da solo
(l'inquinamento delle città), caricandolo sulle spalle delle
nazioni povere.
Inoltre, sia l'elettrolisi sia il reperimento della materia
prima acqua sono processi molto più semplici della raffinazione
e della estrazione del petrolio; se è vero che le misure di
sicurezza da adottare per "addomesticare" l'idrogeno sotto pressione
richiederanno un grosso sforzo di inventiva, molto probabilmente
i posti di lavoro creati in questo campo saranno più che compensati
da quelli persi nel campo dell'estrazione e della raffinazione
del petrolio, nonché dal fatto che l'industria automobilistica,
per allestire i nuovi impianti di costruzione dei motori ad
idrogeno, sicuramente ricorrerà a ogni sorta di tecnologia labor-saving,
come è avvenuto ogni volta che ha rinnovato le proprie unità
produttive (si pensi che la produttività per addetto a Melfi
è più che doppia rispetto a quella di Mirafiori). Per creare
occupazione si potrebbe tentare di rilanciare l'istituzione
del taxi collettivo nelle grandi città: si creerebbe almeno
un posto di lavoro per ogni taxi, cioè quelIo del tassista,
mentre utilizzando l'auto privata bisogna costruire parecchie
decine di automobili all'anno per ottenere lo stesso risultato;
in questo modo tra ecologia e occupazione non esisterebbe più
conflitto; che si sposterebbe tra queste e i grossi interessi
industriali e finanziari, che si servono delle prime due solo
per aumentare i propri profitti.
Mi sembra che anche in questo caso il mito della tecnologia
che risolverà ogni problema l'abbia vinta, anche in ambienti
di sinistra (pensiamo a Grillo che nei suoi spettacoli faceva
fare l'aereosol al sindaco di Milano con lo scarico di un furgone
a idrogeno): ma quelli creati dalla motorizzazione privata di
massa sono disequilibri di talmente vasta portata che non verranno
risoIti da qualsiasi pur meraviglioso fuoco d'artificio tecnoscientifico,
ma solo da un lento e difficoltoso cambiamento sociale e culturale.
Oltre ai nuovi problemi che creerebbe, l'auto ad acqua non risolverebbe
gli innumerevoli altri che sono già presenti in abbondanza con
l'auto a benzina: i morti sulle strade, la cementificazione
del territorio, l'invivibiIità delle nostre città, i problemi
ambientali legati alla costruzione delle autovetture, lo spreco
di energia che è necessario bruciare per spostare un quintale
scarso di ciccia appollaiato su una tonnellata di plastica e
lamiera, a una velocità che il più delle volte è raggiungibile
tranquillamente in bicicletta, almeno in città, dove vengono
percorsi tra il 50 e il 70% dei chilometri macinati quotidianamente
dal nostro parco auto.
Enrico Bonfatti
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