rivista anarchica
anno 28 n.250
dicembre 1998 / gennaio 1999


Auto all'acqua

Si è fatto un gran parlare ultimamente della cosiddetta auto "ad acqua", vista da molte parti come la soluzione ai problemi ambientali creati dalla motorizzazione privata di massa, nonché come strumento per rilanciare un'occupazione ormai in calo verticale.
Prima domanda: è vero che il motore ad acqua è ecologico? Se si considera il problema ambientale solo dal punto di vista dell'emissione di sostanze inquinanti nel punto più a valle del processo produttivo, sicuramente lo è; ma questa è una visone riduttiva dell'ecologia e, diciamolo pure, anche un pochino occidentalocentrica. Se ci si comincia invece a chiedere quali sono le implicazioni che una motorizzazione di massa "idrica" comporta nelle modificazioni del ciclo dell'acqua, forse la risposta a questa domanda potrebbe cambiare.
Ecco quindi la seconda domanda: da dove preleveremmo l'acqua che dovrebbe servire ad alimentare i nostri motori? Se ciascun automobilista potesse far rifornimento dal rubinetto di casa, sprecando enormi quantità di acqua potabile, gli scompensi che si creerebbero sarebbero di un'enormità tale da minacciare direttamente il perpetuarsi della nostra civiltà; molto più probabilmente l'acqua dovrà essere prima scissa in idrogeno ed ossigeno in appositi impianti dopodiché l'idrogeno, debitamente inscatoIato sotto pressione, verrebbe spedito ai distributori. Il problema del reperimento delle fonti verrà sicuramente risolto andando a prelevare l'acqua in posti dove non sono presenti grossi interessi industriaIi o turistici: ve lo immaginate cosa direbbero gli albergatori romagnoli se gli venisse prosciugato l'Adriatico? Questo vuol dire andare a prosciugare falde o ad aumentare il grado di salinità di mari (dato che il sale non serve nel processo di dissociazione elettrolitica, bisogna lasciarlo dove si trova) che si troveranno quasi sicuramente nel terzo mondo, per cui si creeranno ancora più problemi alla grande massa di persone che vivono in un'economia di sussistenza, con conseguente andamento dei flussi migratori verso le nostre opulente nazioni. Bisogna inoltre tenere presente che in qualunque processo di liberazione di energia si ha un certo grado, maggiore o minore, di degradazione della materia: in questo caso la combustione dell'idrogeno non lascerà sicuramente intatte le riserve di questo elemento e dell'acqua, suo composto principale, esattamente come succede con il petrolio; ma in questo caso questo aspetto del problema è complicato dal fatto che l'acqua ha possibili utilizzi alternativi di gran lunga più indispensabili alla vita che non il suo concorrente fossile, e per questo motivo una motorizzazione di massa idrica è moIto più dannosa per l'ambiente che non quella tradizionale, oltre ad essere socialmente molto più discriminante. Ci troviamo allora di fronte all'ennesimo escamotage che permette al mondo occidentale di eliminare un problema che si è creato da solo (l'inquinamento delle città), caricandolo sulle spalle delle nazioni povere.
Inoltre, sia l'elettrolisi sia il reperimento della materia prima acqua sono processi molto più semplici della raffinazione e della estrazione del petrolio; se è vero che le misure di sicurezza da adottare per "addomesticare" l'idrogeno sotto pressione richiederanno un grosso sforzo di inventiva, molto probabilmente i posti di lavoro creati in questo campo saranno più che compensati da quelli persi nel campo dell'estrazione e della raffinazione del petrolio, nonché dal fatto che l'industria automobilistica, per allestire i nuovi impianti di costruzione dei motori ad idrogeno, sicuramente ricorrerà a ogni sorta di tecnologia labor-saving, come è avvenuto ogni volta che ha rinnovato le proprie unità produttive (si pensi che la produttività per addetto a Melfi è più che doppia rispetto a quella di Mirafiori). Per creare occupazione si potrebbe tentare di rilanciare l'istituzione del taxi collettivo nelle grandi città: si creerebbe almeno un posto di lavoro per ogni taxi, cioè quelIo del tassista, mentre utilizzando l'auto privata bisogna costruire parecchie decine di automobili all'anno per ottenere lo stesso risultato; in questo modo tra ecologia e occupazione non esisterebbe più conflitto; che si sposterebbe tra queste e i grossi interessi industriali e finanziari, che si servono delle prime due solo per aumentare i propri profitti.
Mi sembra che anche in questo caso il mito della tecnologia che risolverà ogni problema l'abbia vinta, anche in ambienti di sinistra (pensiamo a Grillo che nei suoi spettacoli faceva fare l'aereosol al sindaco di Milano con lo scarico di un furgone a idrogeno): ma quelli creati dalla motorizzazione privata di massa sono disequilibri di talmente vasta portata che non verranno risoIti da qualsiasi pur meraviglioso fuoco d'artificio tecnoscientifico, ma solo da un lento e difficoltoso cambiamento sociale e culturale. Oltre ai nuovi problemi che creerebbe, l'auto ad acqua non risolverebbe gli innumerevoli altri che sono già presenti in abbondanza con l'auto a benzina: i morti sulle strade, la cementificazione del territorio, l'invivibiIità delle nostre città, i problemi ambientali legati alla costruzione delle autovetture, lo spreco di energia che è necessario bruciare per spostare un quintale scarso di ciccia appollaiato su una tonnellata di plastica e lamiera, a una velocità che il più delle volte è raggiungibile tranquillamente in bicicletta, almeno in città, dove vengono percorsi tra il 50 e il 70% dei chilometri macinati quotidianamente dal nostro parco auto.

  Enrico Bonfatti