Comincia a far freddo e il ragazzino
straniero che, poveraccio, chiede le mille lire agli automobilisti
al semaforo fa sempre più pena. E' sporco, emaciato e indossa
soltanto un paio di pantalonacci stracciati e una vecchia camicia
jean che non lo protegge certo dal clima del nostro tardo autunno.
Qualche mese fa, in piena estate, si presentava, mezzo congestionato
dal caldo, avvolto in una specie di pesante pastrano militare,
ma non è il caso di chiedersi perché non se lo metta adesso.
E' abbastanza ovvio che non è stato lui a scegliere quel modo
di suscitare la nostra compassione. E' facile supporre che ci
sia qualcuno che lo ha fatto venire nel nostro paese, lo ha
collocato a quel semaforo e ne incamera, ogni sera, i miseri
guadagni.
E' probabile che il piccolo mendicante sia a tutti gli effetti,
un piccolo schiavo e chi lo sfrutta non si fa scrupolo a mandarlo
in giro mezzo nudo d'inverno e incappottato d'estate. Tanto
sa benissimo che non è facile che la contraddizione si noti.
Quel ragazzino, a differenza di altri compagni e compagne di
schiavitù che pure affollano, di notte e di giorno, le nostre
strade, non offre nulla, non promette né minaccia nulla: si
limita a suscitare compassione esibendo il proprio disagio e
quello del disagio altrui non è uno spettacolo piacevole. Gli
automobilisti e i passanti preferiscono non guardarlo e, se
proprio devono, si sforzano di dimenticarlo subito. In effetti,
se ogni tanto gli allungano mille lire, lo fanno per sentirsi
autorizzati a non vederlo e a non pensarci più. Figuriamoci
se stanno a fare dei paragoni tra come è vestito oggi e come
lo era quattro mesi fa.
Se provasse a ribellarsi
Lui, il piccolo mendicante, tuttavia ci vede benissimo. E chissà
cosa penserà di noi. Si renderà conto, naturalmente, di essere
finito in una regione e in una città ricca, anche se la ricchezza
non vi è distribuita con particolare equità e a lui, in particolare,
è concesso raccoglierne soltanto le briciole. Più difficile
è che si accorga di vivere in un paese retto da un governo che
afferma di credere nella solidarietà e nello sviluppo sociale:
un governo di sinistra, anzi, come mi sembra abbia scritto il
Times (e se lo ha scritto il Times sarà senz'altro
vero) il governo "più a sinistra" dell'intera Europa occidentale.
Lui di quel governo sa solo che non può contare sui suoi funzionari
e sui suoi servizi per farsi proteggere da quanti lo sfruttano:
se provasse a ribellarsi, a fuggire, a chiedere aiuto, il meglio
che gli potrebbe capitare sarebbe quello di venire rinchiuso
da qualche parte (ma in questi casi si preferisce dire "affidato
a una comunità", con la prospettiva di essere, presto o tardi,
rimpatriato e riconsegnato a chi lo ha già venduto una volta.
Lui è una vittima, ma è anche colpevole: colpevole di essere
tra di noi senza averne il "diritto". E sa che per chi si macchia
di questo reato non è previsto alcun perdono, per quanta compassione
egli possa suscitare.
Noi, naturalmente, siamo un po' più informati di lui. Sappiamo
che il nostro governo di sinistra di lui e dei suoi simili si
occupa moltissimo. Presidia le coste e i confini affinché non
ne arrivino altri; organizza "strutture" in cui rinchiudere,
in attesa di rimandarli indietro, quelli che riescono comunque
ad arrivare; manda i suoi ministri e le sue ministre a trattare
con i governi dei loro paesi affinché siano loro a trattenerli
in patria, con le buone o con le cattive; a tal fine offre persino
la collaborazione in trasferta delle nostre efficienti forze
di polizia. Non si preoccupa di accoglienza e di integrazione,
perché evidentemente ritiene che il nostro paese non abbia bisogno
di accogliere e integrare nessuno e che da fuori dei confini
(che non saranno più i "sacri confini della patria" della tradizione
ottocentesca, ma che, anche se oggi vengono presidiati in nome
di Schengen, non hanno perso un briciolo della loro sacralità)
non possano venire che complicazioni.
Sarà per questo che quella che viene pomposamente definita "legge
sull'immigrazione" ed entra in vigore proprio in questi giorni
prevede la concessione di un numero infimo di permessi di soggiorno
(trentaduemila all'anno, figuriamoci), ma solo a chi si trova
già nel nostro paese, e vi è, anzi, integrato, con un regolare
posto di lavoro e un domicilio sicuro (oltre che, naturalmente,
a una fedina penale immacolata). A integrare chi integrato non
è, a chi arriva armato soltanto della sua speranza, non sembra
pensare nessuno. Avendogli reso comunque illegale l'accesso,
possiamo considerarlo fuorilegge per definizione e trattarlo
come tale.
Fortezza
assediata
Eppure non dovrebbe essere difficile rendersi conto che una
società invecchiata e non precisamente dinamica come la nostra
ha un gran bisogno di forze nuove, e non soltanto perché ci
sono delle attività e dei lavori sgradevoli e faticosi che i
nostri cittadini non vogliono più sobbarcarsi. Accogliere i
ragazzini, in particolare, dovrebbero essere considerato un
prezioso investimento per il futuro. Un futuro in cui il rapporto
tra la fortezza assediata dei paesi ricchi e le moltitudini
degli esclusi sarà sempre più il problema dominante e quello
sulle cui proposte di soluzione si misurerà il livello di solidarietà
e di sviluppo sociale di ogni comunità, e quindi la possibilità,
per quel che importa, di definire "di sinistra" il suo governo.
Ma probabilmente non è il caso di chiedere di pensare al futuro
a un governo nato con l'appoggio determinante di chi ha come
unico, esclusivo progetto quello di restaurare il passato.
Carlo Oliva
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