rivista anarchica
anno 28 n.250
dicembre 1998 / gennaio 1999


Considerazioni al semaforo
di Carlo Oliva

A proposito di leggi sull' immigrazione, sacri confini, solidarietà, ecc.

 

Illustrazione di Natale Galli
Illustrazione di Natale Galli

 

 

Comincia a far freddo e il ragazzino straniero che, poveraccio, chiede le mille lire agli automobilisti al semaforo fa sempre più pena. E' sporco, emaciato e indossa soltanto un paio di pantalonacci stracciati e una vecchia camicia jean che non lo protegge certo dal clima del nostro tardo autunno. Qualche mese fa, in piena estate, si presentava, mezzo congestionato dal caldo, avvolto in una specie di pesante pastrano militare, ma non è il caso di chiedersi perché non se lo metta adesso. E' abbastanza ovvio che non è stato lui a scegliere quel modo di suscitare la nostra compassione. E' facile supporre che ci sia qualcuno che lo ha fatto venire nel nostro paese, lo ha collocato a quel semaforo e ne incamera, ogni sera, i miseri guadagni.
E' probabile che il piccolo mendicante sia a tutti gli effetti, un piccolo schiavo e chi lo sfrutta non si fa scrupolo a mandarlo in giro mezzo nudo d'inverno e incappottato d'estate. Tanto sa benissimo che non è facile che la contraddizione si noti. Quel ragazzino, a differenza di altri compagni e compagne di schiavitù che pure affollano, di notte e di giorno, le nostre strade, non offre nulla, non promette né minaccia nulla: si limita a suscitare compassione esibendo il proprio disagio e quello del disagio altrui non è uno spettacolo piacevole. Gli automobilisti e i passanti preferiscono non guardarlo e, se proprio devono, si sforzano di dimenticarlo subito. In effetti, se ogni tanto gli allungano mille lire, lo fanno per sentirsi autorizzati a non vederlo e a non pensarci più. Figuriamoci se stanno a fare dei paragoni tra come è vestito oggi e come lo era quattro mesi fa.

Se provasse a ribellarsi

Lui, il piccolo mendicante, tuttavia ci vede benissimo. E chissà cosa penserà di noi. Si renderà conto, naturalmente, di essere finito in una regione e in una città ricca, anche se la ricchezza non vi è distribuita con particolare equità e a lui, in particolare, è concesso raccoglierne soltanto le briciole. Più difficile è che si accorga di vivere in un paese retto da un governo che afferma di credere nella solidarietà e nello sviluppo sociale: un governo di sinistra, anzi, come mi sembra abbia scritto il Times (e se lo ha scritto il Times sarà senz'altro vero) il governo "più a sinistra" dell'intera Europa occidentale. Lui di quel governo sa solo che non può contare sui suoi funzionari e sui suoi servizi per farsi proteggere da quanti lo sfruttano: se provasse a ribellarsi, a fuggire, a chiedere aiuto, il meglio che gli potrebbe capitare sarebbe quello di venire rinchiuso da qualche parte (ma in questi casi si preferisce dire "affidato a una comunità", con la prospettiva di essere, presto o tardi, rimpatriato e riconsegnato a chi lo ha già venduto una volta. Lui è una vittima, ma è anche colpevole: colpevole di essere tra di noi senza averne il "diritto". E sa che per chi si macchia di questo reato non è previsto alcun perdono, per quanta compassione egli possa suscitare.
Noi, naturalmente, siamo un po' più informati di lui. Sappiamo che il nostro governo di sinistra di lui e dei suoi simili si occupa moltissimo. Presidia le coste e i confini affinché non ne arrivino altri; organizza "strutture" in cui rinchiudere, in attesa di rimandarli indietro, quelli che riescono comunque ad arrivare; manda i suoi ministri e le sue ministre a trattare con i governi dei loro paesi affinché siano loro a trattenerli in patria, con le buone o con le cattive; a tal fine offre persino la collaborazione in trasferta delle nostre efficienti forze di polizia. Non si preoccupa di accoglienza e di integrazione, perché evidentemente ritiene che il nostro paese non abbia bisogno di accogliere e integrare nessuno e che da fuori dei confini (che non saranno più i "sacri confini della patria" della tradizione ottocentesca, ma che, anche se oggi vengono presidiati in nome di Schengen, non hanno perso un briciolo della loro sacralità) non possano venire che complicazioni.
Sarà per questo che quella che viene pomposamente definita "legge sull'immigrazione" ed entra in vigore proprio in questi giorni prevede la concessione di un numero infimo di permessi di soggiorno (trentaduemila all'anno, figuriamoci), ma solo a chi si trova già nel nostro paese, e vi è, anzi, integrato, con un regolare posto di lavoro e un domicilio sicuro (oltre che, naturalmente, a una fedina penale immacolata). A integrare chi integrato non è, a chi arriva armato soltanto della sua speranza, non sembra pensare nessuno. Avendogli reso comunque illegale l'accesso, possiamo considerarlo fuorilegge per definizione e trattarlo come tale.

Fortezza assediata

Eppure non dovrebbe essere difficile rendersi conto che una società invecchiata e non precisamente dinamica come la nostra ha un gran bisogno di forze nuove, e non soltanto perché ci sono delle attività e dei lavori sgradevoli e faticosi che i nostri cittadini non vogliono più sobbarcarsi. Accogliere i ragazzini, in particolare, dovrebbero essere considerato un prezioso investimento per il futuro. Un futuro in cui il rapporto tra la fortezza assediata dei paesi ricchi e le moltitudini degli esclusi sarà sempre più il problema dominante e quello sulle cui proposte di soluzione si misurerà il livello di solidarietà e di sviluppo sociale di ogni comunità, e quindi la possibilità, per quel che importa, di definire "di sinistra" il suo governo.
Ma probabilmente non è il caso di chiedere di pensare al futuro a un governo nato con l'appoggio determinante di chi ha come unico, esclusivo progetto quello di restaurare il passato.

Carlo Oliva