L'iniziativa del giudice spagnolo Garzon
contro il generale Pinochet, il dittatore che per quasi vent'anni
ha stretto il Cile nella morsa di una dittatura feroce, ci riporta
d'un colpo indietro negli anni, ci riporta ad un periodo della
nostra storia che vide migliaia e migliaia di persone scendere
in piazza contro l'assassino il cui regime aveva trasformato
il Cile in un'enorme campo di concentramento. All'epoca ero
adolescente ed a malapena sapevo dove fosse il Cile, ma in poco
tempo mi divenne familiare: le tremende testimonianze degli
esuli, la cronaca terrificante degli omicidi, delle torture,
dei campi di concentramento. Le canzoni appassionate e dissacranti
di Victor Hara, il cantautore cileno barbaramente torturato
e ucciso dalla polizia di Pinochet, giravano in cassette autoprodotte
che passavano di mano in mano.
Il Cile, ed in generale quasi l'intero continente sudamericano
ci mostravano in tutta la sua ferocia il dispiegarsi della potenza
statunitense. Dopo poco alla dittatura di Pinochet in Cile sarebbe
seguita quella di Videla in Argentina: difficile pensarlo ma
il generale argentino si rivelò presto all'altezza del suo collega
cileno. Qui da noi la dittatura argentina non vide le grandi
manifestazioni di piazza della sinistra italiana, perché il
Partito Comunista Italiano, allora egemone, si guardò bene dallo
schierarsi nettamente contro Videla, le cui riserve granarie
erano indispensabili alla dittatura sovietica. Ma questa è un'altra
storia. Una storia in cui le responsabilità internazionali sono
ampie e ramificate e da cui il nostro bel paese non è certo
esente. Ancor oggi la magistratura italiana si mostra reticente
a processare i responsabili delle centinaia di cittadini italiani
trucidati durante il regime di Videla. Il pubblico ministero
romano Marini, conosciuto anche per la "fermezza" dimostrata
nel perseguire gli anarchici ed in generale la sinistra, si
è affrettato ad insabbiare l'inchiesta sui desaparecidos argentini
di origine italiana, massacrati dalla dittatura fascista di
Videla.
In Cile e Argentina come in Brasile, Uruguay, Paraguay, l'instaurarsi
di feroci regimi dittatoriali, sostenuti politicamente e militarmente
dagli Stati Uniti, garantì la cancellazione di ogni forma di
opposizione sociale.
I torturatori e gli assassini sudamericani erano addestrati
a Fort Benning, in Georgia, Stati Uniti d'America, dove allora,
ed oggi, poiché la scuola per ufficiali sudamericani è tuttora
attiva, uscivano i quadri di un'internazionale del terrore che
attraverso l'operazione Condor mirava all'eliminazione fisica
di tutti gli oppositori.
I governi europei non andarono oltre una riprovazione formale,
che non impedì loro di mantenere stabili e proficui rapporti
con quei regimi. Le anime belle della nostra sinistra non farebbero
male a ricordare, ogni qualvolta gli Stati Uniti, l'Europa,
l'ONU o la NATO si preparano a qualche operazione "umanitaria",
perché l'ingerenza appare giustificata dal perpetuarsi di violazioni
dei diritti umani come di volta in volta gli stessi orrori,
gli stessi massacri, le stesse torture, assumono un senso diverso
in relazione agli interessi in gioco e non, certo, per un qualche
imprescindibile precetto morale.
Chi in questi giorni si è affrettato a plaudire l'operato del
giudice Garzon, il "Di Pietro" spagnolo, farebbe bene a notare
che il bravo Garzon, non diversamente, se si va a ben vedere,
dal suo collega italiano, ha iniziato un procedimento contro
un uomo ormai inoffensivo, anziano e non più al potere ma, si
è ben guardato dal chiamare in giudizio il governo degli Stati
Uniti. Si è ben guardato, come non di rado accade, dal perseguire
oltre all'esecutore materiale anche i mandanti.
La denuncia di Urbano
Il governo italiano è intervenuto dopo la denuncia di un esule
cileno. Vicente Taquias Vergara, detto "Urbano", anarchico cileno
sfuggito alla morte dopo l'imprigionamento e la tortura, si
è fatto avanti, e, solertemente, il neoministro comunista di
Grazia e Giustizia ha sollecitato la magistratura a dar seguito
ad una denuncia, che, probabilmente, in termini strettamente
legali aveva ben poche chances. Un modo elegante per pulirsi
la coscienza e ravvivare la propria immagine di fronte al mai
troppo lodato "popolo della sinistra". Ma solo una colpevole
miopia politica può non vedere la valenza puramente simbolica
della presa di posizione del buon Diliberto, che, è forse bene
rammentarlo, fa parte di da una compagine governativa che annovera
tra i propri numi tutelari un tale Francesco Cossiga, di professione
ex ministro degli interni ed ex presidente della Repubblica
ma in arte ex gladiatore in nulla pentito. La storia di Gladio,
organizzazione armata, sorta per contrastare l'opposizione politica
di sinistra, è, come tutti ormai sanno, strettamente intrecciata
con quella degli episodi più oscuri dell'Italia repubblicana.
Difficile non pensare agli Stati Uniti che riabilitano dopo
mezzo secolo Sacco e Vanzetti ma si apprestano a mandare sulla
sedia elettrica Mumia Abu Jamal, che, come allora i due anarchici
italiani, non ha altra colpa che quella di essere un oppositore
politico.
L'atteggiamento odierno della democratica Europa non è comunque
significativamente diverso da quello passato: il vecchio ex
dittatore rappresenta un ingombrante fardello di cui liberarsi
al più presto, nonostante il moltiplicarsi a catena, da ogni
dove, delle denunce e delle richieste di estradizione.
Pinochet non è fonte di imbarazzo per il Cile, dove, non diversamente
dall'Argentina e dall'Uruguay, la transizione dalla dittatura
alla democrazia è avvenuta senza fare i conti con il passato.
In questi paesi torturatori ed assassini non solo non sono stati
perseguiti ma spesso continuano a ricoprire importanti incarichi
nell'amministrazione e nell'esercito.
L'ombra dell'assassino si proietta invece inquietante su quest'Europa
che sbandiera nobili principi ma non ha mai smesso di fare affari
con i tanti criminali della pasta di Pinochet. E' un'Europa
che al di fuori dei propri confini si è assunta da alcuni anni
il compito di affiancare gli Stati Uniti nel ruolo di gendarme
del mondo. Per restare nella nostra bell'Italia possiamo misurare
quanto valgano i principi di libertà e democrazia ripensando
alle nobili imprese dei nostri parà in Somalia, alla militarizzazione
dell'Alba-nia, paese trattato come una colonia, ai campi di
concentramento per immigrati clandestini.
Ne valeva la pena?
Forse in questi giorni qualcuno si sarà chiesto se valesse
la pena, dopo tanti anni, fare manifestazioni di piazza, presidi
di fronte ai consolati per sostenere l'incriminazione del vecchio
assassino cileno. Ebbene mi pare chiaro che l'aspetto giudiziario
della vicenda è probabilmente il meno rilevante, null'altro
che un pretesto per ricordare un passato tutt'altro che morto,
per dare dignità ai tanti uccisi, scomparsi, torturati, agli
esuli. Ma non solo. E' anche l'occasione per mettere ancora
una volta in chiaro che Augusto Pinochet e gli altri come lui,
senza nulla togliere alle responsabilità individuali di questi
grandi criminali, non sono anomalie temporanee, ma un cancro
endemico all'interno del cuore stesso dell'occidente "libero
e democratico", il lato oscuro che, quando sono in ballo gli
interessi delle grandi potenze, puntualmente riemerge. I governi
europei forse non oseranno portare alla sbarra e processare
per crimini contro l'umanità Pinochet neppure ora che è pensionato.
Ma alla fine di un secolo sanguinario, il secolo dei grandi
totalitarismi, non può che far bene alla vecchia Europa, agli
individui che la abitano, non sicuramente ai governi, ricordare
che la dittatura di Pinochet fu possibile solo grazie all'appoggio
dei paesi occidentali o, quantomeno, alla mancata opposizione
al suo regime. Nessun governo della "democratica" Europa pensò
di applicare sanzioni, di dichiarare l'embargo, di rompere le
relazioni diplomatiche. Intanto solo pochi mesi orsono Urbano,
l'esule cileno che ha denunciato Pinochet, dopo 23 anni di permanenza
nel nostro paese, si è visto negare la concessione della cittadinanza
italiana, perché il suo impegno politico e sociale in Italia
come in Cile risultava poco gradito alle autorità costituite.
Maria Matteo
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