rivista anarchica
anno 29 n.251
febbraio 1999


Mischiamoci non violenti!
di Dario Sabbadini

Un ex - obiettore totale anarchico va in Kosovo con altri membri della cooperativa Alekos.
Appunti e spunti da un conflitto allucinante.
Che deve essere fermato.

 

Mentre sto scrivendo i riflettori della stampa internazionale si sono di nuovo rivolti al Kosovo. "Oggi vi occupate di noi perché si spara!" diceva già mesi fa la gente del Kosovo. Ci sono dei morti, ci sono profughi che tentano di arrivare sulle coste italiane, c’è da chiacchierare sul bombardare con gli aerei NATO o sospirare su un nuovo possibile accordo diplomatico. Ma è amaro che 10 anni di lotta non violenta albanese non sia considerata, che le iniziative di pace come "I Care" cui abbiamo partecipato non siano viste, ed è tragico per la gente dover arrivare a considerare le armi, l’UCK (l’esercito di liberazione albanese), la guerra come l’unica via d’uscita. Ci abbiamo provato e ci proveremo, ad agire sulle cause, a prevenire, a conoscere direttamente con il contatto umano, a informare, a intervenire con il pacifismo attivo, con l’interposizione non violenta. L’azione di pace "I care" (mi importa) è stato questo; come già in Bosnia con "Mir Sada", siamo andati, insieme ad altri 220 non violenti, nella capitale Prishtina il 9 e 10 dicembre, in occasione del 50 anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, lì dove questi diritti non sono che un pezzo di carta, neanche degno di entrare in un giornale. Non solo un gesto simbolico, ma concreto, un modo di intendere l’ONU dei popoli, la società civile attiva, ciò che forse, ad di là delle impostazioni ideologiche, può rispondere allo strapotere degli interessi militari (e sempre economici), all’ONU degli Stati; una società civile si mobilita internazionalmente, mentre il potere economico e militare diventa globale e l’ONU degli Stati ne è schiavizzata.
Torniamo a terra, 220 non violenti italiani. Malgrado la mobilitazione sia internazionale solo gli italiani possono entrare in Serbia senza visto. Organizzati per sottogruppi, o gruppi di affinità, formati attraverso i training preparatori non violenti; noi 10 "cronopietti" milanesi (altri 5 si aggiungeranno a Bari), affini per amicizia e per assonanze libertarie, ci mischiamo agli altri gruppi di I Care a Bari il 6 dicembre. "Mischiamoci non violenti" diventa il nostro slogan, non solo messaggio verso l’esterno (qualcosa di più di convivenza), ma anche intento all’interno: gli organizzatori di I care sono infatti i Beati i costruttori di pace (già di Mir Sada), Pax Cristi e l’associazione Papa Giovanni XXIII (organizza il Progetto colomba, quello dei ragazzi che vanno ad abitare nei villaggi), insomma un ambiente cattolico, non usuale per noi, ma che ha dimostrato negli anni apertura, capacità sulla formazione, e determinazione su questo tipo di azioni.
Dopo una fiaccolata a Bari, il viaggio in traghetto e poi in pullman attraverso il Montenegro, arriviamo la sera dell’8 dicembre a Prishtina, dove ci sistemiamo in una casa (una nuova costruzione non terminata, offerta dagli albanesi) che la polizia serba non gradisce, tanto che ci impedisce di uscire e di prendere contatti con gli abitanti. Gli albanesi di Prishtina sanno del nostro arrivo e ci accolgono con calore e con speranza; verremo poi a sapere che quella casa era sede della facoltà clandestina albanese di medicina, per cui il giorno dopo veniamo spostati nel palazzetto dello sport, a fianco di un centro di profughi serbi delle kraijne.
Tutta la giornata del 9 viene dedicata all’incontro, divisi per gruppi di affinità, con tutte le realtà che rappresentano la società civile e le istituzioni della città, quindi uno specchio delle parti in causa. Con l’intenzione di assumere un posizione di ascolto, abbiamo quindi pacificamente invaso giornali, centri media, associazioni, entità politiche, religiose, di solidarietà e della cooperazione internazionale. Noi del gruppo Cronopios in particolare abbiamo incontrato i due centri media (Media Centar Pristina serbo e Kosova Information Center albanese), un giornale serbo (Jedinstvo) e infine una associazione artistico - culturale di ragazzi albanesi (post - pessimisti). La città aveva un’aria normale, ma tutti quanti abbiamo sentito crescere l’impressione di un muro invisibile, una separazione dentro la quale affluivano tutte le tensioni: il dialogo impossibile - gli albanesi vogliono l’indipendenza e accreditano l’UCK, i serbi dicono che non ci sono problemi salvo le bande di terroristi albanesi; in mezzo le associazioni di solidarietà che non sanno più come fare - nessun segno del movimento non violento albanese. Quando la sera dopo abbiamo fatto il giro dei pub albanesi e serbi, abbiamo scavalcato questo muro invisibile, passando dagli studenti albanesi, infervorati come dei carbonari, alla tensione (aggressività e paura) dei ragazzoni serbi.
Segni di un muro. Al giornale serbo, in un’atmosfera di regime (è l’organo di stampa ufficiale del governo serbo) ci traducevano frasi come: "la stampa estera dice solo il falso", "quando le grandi potenze smetteranno di appoggiare il terrorismo, noi faremo vedere come si trattano le minoranze".
Il presidente del KIC (agenzia di stampa del governo parallelo albanese) raccontava di aver partecipato al funerale della violenza e poi di aver visto la strage di Drenica; no, non ci sono divisioni tra albanesi violenti e non. Poi chiedeva aiuto all’Italia e all’Europa. "L’acquisto di Telecom delle linee telefoniche kosovare col governo Dini ha dato al governo serbo un mucchio di soldi ora usati per la repressione".
Il centro media serbo vuole un’immagine del Kosovo all’estero che attiri gli imprenditori, per cui "serve obiettivamente" i media della stampa internazionale: "dagli accordi il 90% delle notizie fresche è sui terroristi".
In questa atmosfera un respiro più umano e aperto è venuto sia dai post - pessimisti, ragazzi che si trovano per attività artistiche e sociali, sia dagli studenti incontrati il giorno dopo nell’università albanese, durante il simposio "Tutti i diritti umani per tutti". L’aula era piena e anche fuori c’era una grande voglia di parlarsi, specie da parte degli studenti più impegnati politicamente, membri dell’Unione studenti. Ragazzi in gamba, colti, senza nessuna prospettiva di lavoro, con una grande decisione all’indipendenza. Nel pomeriggio, per ricordare l’anniversario della carta dei diritti umani, abbiamo sfilato per la città in un corteo silenzioso, ostacolato e frazionato dalla polizia serba, mentre in una piazza del centro un buddhista (di I Care) pregava solo, dando un segnale di pace molto più forte.
Questa azione di pace è piena di limiti, lo sappiamo: limiti organizzativi, nella capacità di informare, nella capacità di coinvolgere le molte persone che sono disposte ad agire, limiti di incidenza. Che cosa sono 220 non violenti per due giorni a Prishtina in confronto a centinaia di migliaia di fuggiaschi albanesi, in confronto alle forze degli interessi economici e politici? Nulla. Eppure, come già in Bosnia, la nostra sensazione è di una grande potenzialità, persone di grande umanità e valore. Alcuni sono ancora là, ora, mentre sta per scoppiare la guerra, con il Progetto colomba, "corpo civile nonviolento di pace"; come in Chiapas, loro semplicemente vivono nei villaggi, favoriscono il dialogo umano, condividono le condizioni difficili, proteggono con la loro presenza, anche dopo le 17, quando l’ONU, gli OCSE, le ONG e gli aiuti vanno via, quando inizia la paura.
"Il mondo di oggi ha bisogno di persone che abbiano amore e lottino per la vita almeno con la stessa intensità con cui altri si battono per la distruzione e la morte." Gandhi

Dario Sabbadini
per il gruppo cronopios

Contattiamoci
Dario, Paolo, Matteo del gruppo "cronopios"
coop. Alekos, via Plana, 49 Milano tel. 02-39264592
e-mail: alekos@spinnet.it; www.spinnet.it/alekos/
in collaborazione con Gianna Nannini abbiamo realizzato un video (4’) su "I Care".
"I Care" e altre iniziative sul Kosovo: www.peacelink.it/care

 

 

 

 

Prevenire, intervenire
1) "entro primavera scoppierà una guerra" ci dicevano a Prishtina; già mentre scrivo il conflitto sta esplodendo, e diventa ancora più urgente EVITARE LA GUERRA, con tutte le mediazioni possibili, con la politica internazionale, con le azioni di pace come questa, con i media, con la presenza stabile delle persone.
2) in generale, come in Kosovo, occorre prevenire lo scontro invece che preoccuparsene dopo con la solidarietà, gli aiuti e la cooperazione. La vendita di armi e la ricostruzione dei territori che hanno avuto conflitti è un gigantesco business che occorre fermare.
3) creare sensibilità e partecipazione attorno al concetto di INTERPOSIZIONE NONVIOLENTA o di pacifismo attivo, (che non aspetta), è quello che troviamo sensato per evitare i conflitti. I popoli toccati dalla guerra conservano inevitabilmente divisioni, rancori, odio... e non c’è nessuna forma di cooperazione che può risolvere sentimenti così profondi.

 

In due righe il Kosovo

Il Kosovo è una regione della Jugoslavia, confinante con l’Albania, a grande maggioranza albanese. Su circa 2 milioni di abitanti, 9 su 10 sono albanesi, nella ex - Repubblica Federale di Jugoslavia il Kosovo era, come Provincia Autonoma, una delle unità costituenti ed ogni grado di istruzione era impartito in lingua albanese. Il governo della regione è attualmente completamente in mano ai serbi, che attribuiscono una grande importanza alla zona per motivi storici ed economici; agli albanesi è vietato studiare ed esprimersi nella propria lingua: i giornali, le case editrici, radio, TV sono stati chiusi e ci sono stati licenziamenti in massa di albanesi da ospedali, uffici pubblici, università. Nel 1992 dal Kosovo è partita l’escalation nazionalistica che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia ed alla guerra in Croazia e Bosnia.
Oggi, nonostante una forte risposta non violenta della popolazione albanese, la situazione sta precipitando per il tentativo del governo di Belgrado di risolvere militarmente il problema della richiesta di libertà degli albanesi e perché si stanno affacciando alla ribalta anche gruppi armati albanesi.
È importante ricordare che per la sua posizione il Kosovo è una zona nevralgica ed un conflitto minaccerebbe di coinvolgere Albania, Macedonia, Grecia, con conseguenze difficilmente immaginabili.

Numeri di una voragine

partealbanese:
• 90% popolazione di lingua, etnia e cultura albanese
• 40% della popolazione albanese fuggita
• 1827 persone uccise (serbi e albanesi) 1998
• 761 arrestati e scomparsi
• 1200 persone sotto processo
• 432 villaggi, 12.000 case distrutti
• 1 poliziotto ogni 70 persone (140 in Croazia, 290 in Ungheria)
• notizie: Kosova Information Center: www.kosova.com

parteserba:
• Il kosovo è una regione cuore della serbia
• 219 persone uccise (serbi e albanesi), tutti per mano dei terroristi
• il separatismo è un problema interno serbo
• i media stranieri dicono il falsounità Europea, e che gli interessi dei singoli paesi a dividersi il mercato dei Balcani portando avanti esclusivamente la propria politica di affari (che sembra trasparire dalla velocità con cui molti paesi si sono affrettati a riconoscere la R.F.Y. senza che il problema del Kossovo venisse prima risolto), siano per un momento messi a tacere, e predomini invece l’interesse collettivo ad una pace giusta ed alla prevenzione dei conflitti armati. E che questo porti a farli intervenire rapidamente ed in modo risolutivo in una situazione che merita il loro appoggio, e che essi non confermino l’opinione di molti albanesi che la comunità internazionale, e l’Europa in particolare, capisce solo il linguaggio delle armi (e, si potrebbe aggiungere, degli interessi economici) e non quello della pace e della nonviolenza.

 

“Il mondo di oggi
ha bisogno di persone
che abbiano amore e
lottino per la vita almeno con
la stessa intensità con cui altri
si battono per la distruzione
e la morte.”

Gandhi