Dovrei essere una persona di
media cultura, di mezza età, né carne né
pesce, come dicevano gli antichi, né donna né
uomo, né atea né credente... quindi diversa da
quel che sono (beh, più o meno), per poter affrontare
da ignava e senza patemi la lettura dell’ultima enciclica "Fides
et Ratio", promulgata dal Papa nel settembre scorso. Ecco,
son come tabula rasa, come una che ha appena assistito
a tremila puntate di beautiful, completamente ben disposta ai
buoni sentimenti ed ai cattivi,... così potrei giudicare
imparzialmente questo documento, che fa il sunto delle opinioni
dei vertici ecclesiastici cattolici sui rapporti tra fede e
ragione.
Voi direte (soprattutto dopo averne vista la mole - da pag.
137 a pag. 213 di Civiltà Cattolica): ma perché,
poverina, fare questo sforzo? non sai/sappiamo già tutto
dei dogmatismi della chiesa cattolica? A volte a me sembra che
questi siano sopravalutati, soprattutto spacciati come pensiero
filosofico ed etico. Non vi pare, ad esempio, che gli interventi
del card. Ersilio Tonini, quale allampanato opinionista, a tutti
i santi (pardon) dibattiti televisivi sui temi più svariati,
siano quanto mai deludenti e vaghi, di certo ripetitivi? Leggere
un’enciclica, cercando di capire che messaggio se ne può
trarre ad impatto (e non dai sunti pre - preparati), ci dà
la possibilità di verificare la lucidità filosofica
e teologica della Chiesa, per poi riprendere (confortati) l’analisi
delle strategie più varie che questa attua nella società
per creare/disfare alleanze ed avanzare in una ormai controversa
"evangelizzazione". Non dimentichiamo che oggi, a
causa dei mass media, le encicliche non son più preparate
solo ad hoc per il clero ("venerati fratelli nell’Episcopato",
inizia) ma vengono confezionate ad uso e consumo di chiunque
possa e voglia leggere. Perciò nella lettura sarà
meglio, piuttosto, usare una buona dose di... mala/fede, o meglio
di capacità di svelare come vengano costruiti certi problemi
per poi causare certe risposte, un atteggiamento che in filosofia,
e non solo, è considerato dei più biechi.
Tra
fede e ragione
Le encicliche, dunque, non sono il parto notturno
(si fa per dire) di un pontefice che le riceve in flebo dalla
Provvidenza per stenderle malferme sulla pregiata carta della
sua scrivania da letto. Sono il risultato della spremitura di
parecchie meningi (quante e quali non è dato sapere)
ecclesiastiche: immaginiamo diverse teste d’uovo, coronate da
gentil cappelletto, che, in lindi (puliti dalle suore) studioli
vaticani redigono in penombra questi documenti facendo la summa
di tutto il loro sapere e cercando di rispondere alle sollecitazioni
che pervengono ai vertici dalla base caotica e multiforme (il
gregge) e dai loro pastori (sacerdoti e vescovi).
Dall’anno 2000, anno che tutti sanno già che sta
arrivando (basta guardare le scadenze sulle scatolette)... giungono
grida, lamenti, dubbi e risate: e da duemila anni prima, anno
in cui si è fermata e a cui risale l’avventura intellettuale
di questi compilatori, arrivano le risposte.
Dobbiamo pensare che sia urgente in questo momento, parlare
dei rapporti tra fede e ragione, perché ogni enciclica
risponde alla impellenza di pianificare certi problemi, anche
molto "concreti", in cui la Chiesa è coinvolta:
pensiamo ad esempio alla scocciatura di dover diffondere un’enciclica,
"Quanta cura", (1741) per proibire i traffici di elemosine,
o ai giri di parole necessari a presentare in maniera casta
la "Mirari Vos" (1832) in cui si proibiva la libertà
di coscienza e di stampa, e così via, sino ad esempio
alle gravi preoccupazioni teologiche che potevano ispirare la
"Gravissimo Officio" (1906) in cui la Chiesa si dispera
per il suo destino in Francia (con la legislazione repubblicana)...
Attualmente, l’ottimismo che aveva introdotto un papa polacco
al momento giusto, e l’esultanza per la caduta dei regimi dell’ateismo
di stato, hanno lasciato il posto ad una stizza ed a una depressione
notevole visto che la gente si ostina a non voler essere tutta
cattolica, anzi, molti tra i più giovani sono convinti
che dio sia un misto di varie divinità correnti, o non
credono affatto.
Dal primo punto (p. 1), circa i rapporti tra fede e ragione,
si conclude che la "fede" è quella particolare
capacità di credere alla verità di alcune risposte,
quelle date dalla chiesa circa il senso della vita ed il perché
"della presenza del male". Ma questi due interrogativi
che l’enciclica definisce "universali" (escludendo
quindi a priori ogni tipo di inclinazione e cultura che non
riconosca ad esempio il bisogno di dare un "senso"
alla vita), hanno già una risposta in varie religioni
(si citano en passant, come a dare un tocco pittoresco,
anche i Veda), però la Chiesa si definisce colei che
"nel Mistero Pasquale ha ricevuto in dono la verità
ultima sulla vita dell’uomo" (p. 2). Chiunque inizi a leggere
questa enciclica può capire fin da subito quindi che
si sta facendo una rassegna di domande - pretesto... sulle quali
però non è ammessa altra risposta che quella della
Chiesa. e qui chiudiamo la lettura ed andiamo a fare una bella
passeggiata invernale, vi va?
Per chi volesse insistere, l’imposizione della verità
contenuta nel "mistero pasquale" è per inciso
la convinzione che un dio, nei panni di Cristo, sia venuto sulla
terra per farsi crocifiggere a nostra discolpa (in quanto peccatori:...
il peccato esiste prima di dio) e, diciamo così in vena
sadomasochistica, dimostrandoci il suo amore; questo dio avrebbe
poi lasciato alla Chiesa carta bianca per "evangelizzarci",
cioè inculcarci insegnamenti fatti derivare dalla storia
(più o meno riscritta) della sua vita.
Per
trovare giusto riposo
Beh, questo riassuntino ben magro, diciamo pure
questa crocifissione, sorvola con la sua presenza tutta l’enciclica,
è il refrain di risposta che viene dato dopo ogni considerazione.
ad esempio, domanda: "a cosa dovrebbe servire la filosofia
se fosse una brava ragazza?", ed il refrain risponde: "a
comunicare la verità del Vangelo..;" (p. 5). Domanda:
"perché oggi siamo dominati dalla tecnologia ed
‘in balìa dell’arbitrio’?", risposta: "perché
non ascoltiamo la fede (cattolica) che trascende ogni ragione".
L’arbitrio qui nominato è naturalmente il pluralismo,
che svaluta le opinioni, le fedi, le certezze, dando dignità
a tutte e quindi preminenza a nessuna. (p. 6). La Chiesa, invece,
"forte della competenza che le deriva dall’essere depositaria
della Rivelazione..." (p. 6) può aiutare tutti (offre
un servizio segnaletico) a trovare la giusta strada, al termine
della quale ci si siede "per trovare giusto riposo".
Qui, senza nemmeno sfruttare a dovere tutti i punti deboli che
il pensiero filosofico moderno (spesso "debole") le
offre, la Chiesa imbonitrice è solo interessata a presentare
un moderno caos, un pan/demonio di idee nelle quali a suo dire
la gente si agiterebbe perduta. Ed ecco che arriva la conversione:
se sei per strada ed hai bucato, eccoti la fede di scorta; quanti
sbruffoni ed arrampicatori ne fanno uso per dare un senso al
proprio squallore! (questo l’ho scritto io, non la chiesa).
Se sei stanca ed hai i piedi gonfi, con tutto quel camminare
con gli anfibi nel postmoderno, o coi sandali tra scomodi fachiri
(la chiesa chiama così gli yogi): ecco una bella lapide
su cui sedersi e riposare! ops, dimenticavo: è la lapide
alla memoria della tua ricerca filosofica. Perché si
trattava sì di "riposo", ma eterno. Se arrivi
alla fede, pensare ti serve d’ora in poi, secondo la Chiesa,
solo per capire le letture dei suoi "Padri".
Con brevi passaggi sulla Rivelazione (p. 11) e sulla Storia
e la Libertà, l’enciclica ci annuncia infatti che la
libertà serve solo a fare ciò che il dio dei cattolici
suggerisce, e che il compimento dei tempi è già
scritto (manca solo che giunga il "Regno"). Ma è
veramente interessante vedere l’iter attraverso cui (cap.
II) si giungerà a prescrivere i Padri della Chiesa come
risoluzione a tutti gli interrogativi della filosofia (cap.
IV, p. 43): quali antibiotici (si fanno dalle muffe, no?) contro
queste epidemie di buffi e strambi filosofi. Pensatori contagiosi,
che ci rendono "stolti", e "in questa stoltezza
è insita una minaccia per la vita"(p. 18), per la
vita della Chiesa, dico io, per la vita in generale e per il
feto in particolare, dicono loro.
Già il "popolo eletto" (di Israele) aveva
capito "che la ragione deve rispettare alcune regole di
fondo per poter esprimere al meglio la propria natura".
Mah! Anche qui, dopo la tirata contro i filosofi cattivi, si
inizia a fare una storia della filosofia scambiando la "ragione"
con " a chi devo dare ragione?". In sostanza si afferma
che già i bigottissimi eletti sapevano che se affermavano
di non credere, erano carenti in quanto a conoscenza. Nel senso
che più cose dici di credere, e di conoscere, e meno
carente sei. Pensate a quanto conosce il Papa, che ha viaggiato
in tutto il mondo, crede nel dio più grande che c’è,
e sa pure i segreti di Fatima! Certo, avere un Dio in cui credere,
che è più forte di tutti (babbo), fa bene al morale,
lo sapevano anche i patriarchi d’Israele, ma questo cosa c’entra
con la ragione e la filosofia? Ben poco, a sentire anche l’affermazione
successiva (p. 31) per cui, in ogni caso, bisogna credere sulla
base di una tradizione: "l’uomo nasce e cresce in una famiglia
e crede in molte cose tramandategli", insomma, vive di
credenza, e se crede nel tv color, perché non dovrebbe
credere in dio anche se non sa bene come funziona?
Da un lato, quindi, si prefigura il mondo dell’intelletto
e della scienza, spesso spietato e privo di moralità,
nel quale però si usano/si crede anche a cose che non
si sanno spiegare, e dall’altro, per bilanciare, si presenta
il mondo dei buoni sentimenti e della fede, che indirizza ad
un buon uso della scienza ed egualmente "abbisogna"
di fiducia e di abbandono ai ritrovati ed alle scoperte (dogmi)
della chiesa. "Nel credere ci si affida alle conoscenze
acquisite da altre persone" (p. 32). È quindi suggeribile
affidarsi al sapere di altri ed al loro consiglio, come nella
confessione; la chiesa si offre certo come struttura che aliena
la coscienza e lenisce i sensi di colpa, in cambio di obbedienza.
L’enciclica giunge poi ad un parossismo (detto anche "la
corrida") ricorrendo ai martiri, in ultima risorsa, come
testimoni della fede: se sono morti per la fede, la fede dovrà
pur valere. Questa, oltre ad essere definita come la proposizione
del "ho tanti santi nella manica", è anche
una affermazione dimentica, ahimè, di tanti che la Chiesa
ha giustiziato, senza per questo "credere" poi alla
libertà di pensiero.
Tant’è vero che, alla fine del III capitolo, l’enciclica
fa un breve discorsetto sulla scienza e cita... Galileo! "Galileo
ha dichiarato esplicitamente che le verità, di fede e
di scienza, non possono mai contrariarsi" (nota 29, p.
34), certo, lo ha dichiarato sotto gentile pena di morte da
parte del clero. Che dire di questi scienziati tanto corteggiati
(e minacciati) dalla chiesa? Anch’essi, secondo la chiesa, cercano
la verità a seguito di una intuizione (una fede?) e quindi
possono pure uniformarsi alla gran armonia divina, poiché
"ciò che è vero, dev’essere vero per tutti
e per sempre". Il noto biologo O. Wilson, che di recente,
dopo il suo "Sociobiologia", ha dato alle stampe
"Consilience" (Concordanza), non sembra vedere
proprio il dio cattolico all’orizzonte di questa sua ricerca
di concordanza tra tutti i saperi scientifici; chissà,
magari invecchiando lo scorgerà. Anche se è difficile
per uno scienziato scordare Galileo, o l’enciclica "Humani
generis" (1950) nella quale si condannava senza riserve
l’evoluzionismo.
A
proposito di Lamiere
Ma torniamo alla fede ed alla ragione, ed alla
storia della filosofia fatta dall’enciclica: dopo aver citato
il popolo d’Israele, si tirano in ballo (o nell’arena) i cristiani
i quali, nonostante le critiche pagane, innovarono i tempi abbattendo
le barriere sociali, razziali e sessuali. Questa sì che
è una bella faccia di... pardon, questa sì che
è una bella affermazione nell’anno in cui Wojtyla ha
ribadito l’esclusione delle donne dal sacerdozio! E poi, naturalmente,
a proposito di barriere, sessuali ed antibiotiche, si passa
ai Padri della Chiesa che non limitarono la loro opera "alla
sola trasposizione delle verità di fede in categorie
filosofiche" ma furono i veri, gli unici filosofi. (p.
41); tant’è vero che in questo compendio di storia della
filosofia, che immaginiamo adottata nelle scuole private cattoliche,
si balza direttamente dal Medio Evo all’ottocento! Nell’ottocento
alcuni idealisti (non nominati) provarono a trasporre in strutture
dialettiche la "Rivelazione", ma non riuscirono un
granché ed anzi, altri vi contrapposero un umanesimo
ateo dal quale "si è formata la base di progetti
... sfociati in sistemi totalitari traumatici per l’umanità"
(p. 46).
I sistemi totalitari nefasti, notate bene, sono quelli atei,
non quello che la chiesa tuttora costituisce, resistendo ad
ogni attacco del tempo e ad ogni contestazione (vedi il recente
movimento "noi siamo chiesa" che chiede la democratizzazione
delle strutture di gestione della chiesa). Non solo: i "traumi"
all’umanità sono inflitti da sporchi senzadio, questa
è la versione della Storia che dà la chiesa cattolica,
ancora in procinto di lavarsi le mani dall’inquisizione e dal
nazismo. "una è la verità benché le
sue espressioni portino l’impronta della storia" (p. 50).
Quante volte anche questo ritornello, in questa enciclica che
è un capolavoro d’immobilismo.
La filosofia del dottore Angelico (Tommaso d’Aquino, 1221/1274),
viene celebrata come portentosa e salvifica, raccomandata da
tutti i Papi contro le influenze, e persino animatrice del Concilio
vaticano II. Il Magistero della Chiesa si fonda sui Padri, e
la filosofia deve essere l’ancella della teologia (p. 76). Uno
strumento, che va ben conosciuto per ben manipolarlo, anche
con opportune censure che l’enciclica si vanta di aver operato:
dalla scomunica al fideismo (1840), quella al razionalismo (1857),
contro l’ontologismo (1862), contro l’ateismo (1937) anche contro
l’esistenzialismo e lo storicismo (1950)... e, a proposito di
ancelle, contro la teologia della liberazione (Congregazione
per la dottrina della fede, 1984).
Che i preti debbano studiare filosofia sì, ma facciano
attenzione alle mine/bolle papali di cui è costellato
il sentiero: unica meta, la fede: "la rivendicazione di
una autosufficienza del pensiero si rivela illegittima: rifiutare
gli apporti di verità derivanti (sic) dalla rivelazione
divina significa infatti precludersi l’accesso a una più
profonda conoscenza della verità, a danno della stessa
filosofia" (p. 75). Dunque, tutti i popoli, con le loro
"verità" di religione e/o filosofia, di costumi
e usanze, vanno inculturati ed evangelizzati, per il loro bene
naturalmente, estrapolando materiale adatto a rinfrescare di
sangue giovane la" fede". Si capiscono così
molto bene le esortazioni alla Teologia della Liberazione a
non farsi "inglobare" da altre culture.
Tradizione
e folclore
Dunque, ciò a cui si vuole tendere, con questi sforzi
dialettici proprio sterili nella loro ripetitività, è
"a una visione unitaria e organica del sapere", utile
ai globalizzatori, ricca di fermenti di tradizione e folclore
solo se ammessi e provati dal Papa (ve lo ricordate con le piume
da indiano d’America? ops, scusate). Per tale visione la razionalità
è mero strumento e viene accusata appena pretende di
scegliere in base, ad esempio, al sentire della collettività:
(p. 89) senza tener conto dei "fondamenti immutabili".
Chi vuole modellare le scelte "dal basso" non segue
la "verità". (p. 97). Nichilisti e non credenti
sono coloro che hanno causato del male all’umanità: "la
terribile esperienza del male che ha segnato la nostra epoca".
sigh.
Non resta che arrendersi a questa tiritera e invocare la
"sede della sapienza"; la quale, secondo l’enciclica,
giunta alla frutta, è "la vergine che fu chiamata
ad offrire tutta la sua femminilità affinché il
Verbo di Dio potesse prendere carne e farsi uno di noi"
(p. 108). Perché mi viene la nausea, ho letto troppo,
sarà quel ‘prendere carne’, sarà questo finale
al femminile che non mi convince? Fatemelo dire senza ragionare,
senza teologia, credenze e comò, andando ad intuito,
con le parole di una vecchia sporcacciona (nichilista?) che
ha visto la seconda guerra mondiale (barellista), e chiacchierava
tutti giorni con Picasso (cubista): "C’è troppa
patrificazione adesso e non c’è dubbio che i padri sono
deprimenti. Oggi sono tutti padri... e ce ne sono sempre tanti
altri pronti ad esserlo." (G. Stein, Autobiografia di tutti).
Francesca (Dada) Knorr
Una sentenza importante
Il 28 settembre 1998 la corte di Appello
di Ancona ha posto fine ad una vicenda iniziata il 24
agosto 1991 per iniziativa di alcuni zelanti e timorosi
cattolici e dal vescovo di Fano, Fossombrone e Cagli che
denunciavano gli organizzatori del Meeting Anticlericale,
assumendo a pretesto due manifesti realizzati utilizzando
delle caricature del disegnatore Vauro. La Corte doveva
pronunciarsi su una pesante condanna ad 8 mesi di reclusione
e al pagamento delle spese processuali di Francesca Palazzi
Arduini e Federico Sora, con sospensione condizionale
della pena, emessa dal Tribunale di Fano per vilipendio
al pontefice (art. 278, Codice Penale). Gli imputati erano
invece stati assolti dall’accusa di aver offeso il sentimento
religioso cattolico dei querelanti (art. 402 Codice Penale)
perché l’interrogatorio dei testi aveva dimostrato
che costoro non avevano direttamente visto i manifesti
incriminati e non avevano quindi potuto offendersi !
Una condanna così grave in primo grado non
si comprende se non si tiene conto della regia occulta
del processo da parte della Curia fanese che aveva cercato
in questo modo di impedire lo svolgimento del Meeting,
colpevole ai suoi occhi di avere prodotto dibattito, socialità
e cultura attorno ai temi dell’anticlericalismo, della
laicità e della libertà dalle religioni.
A offendere non erano certamente né i manifesti
né le vignette ma un appuntamento importante per
la sinistra che permetteva di discutere queste problematiche
secondo una visione, un’etica e una morale anarchica dei
problemi. Spaventava e spaventa la Chiesa cattolica la
capacità di contrapporsi sul piano dei valori,
prospettando una visione positiva dei rapporti umani fatta
di socialità, solidarietà, rifiuto della
superstizione, delle gerarchia e di quel monarca assoluto
che è per sua stessa ammissione il Pontefice di
Roma. Lo scandalo nato a Fano non stava nel manifesto
scurrile, nella caricatura forzata ma nella capacità
del Meeting di relazionarsi anche con i credenti su temi
quali il femminismo e i diritti delle donne, la bioetica,
la guerra e la pace, il fanatismo religioso, lo sfruttamento
dei colonizzatori nei confronti dei popoli del terzo e
quarto mondo in nome e attraverso una religione fatta
di oppressione e violenza degli spiriti e dei corpi.
Di fronte all’attacco delle gerarchie ecclesiastiche
a nulla era valso il dibattimento che aveva dimostrato
l’inconsistenza delle accuse, anche attraverso l’escussione
dei testi: dall’interrogatorio degli stessi querelanti
era emersa la strumentalità dell’accusa e, malgrado
ciò, la Corte aveva accolto almeno in parte la
loro accusa. Nonostante il fatto che ambedue gli imputati
avessero negato ogni addebito personale, tanto che Sora
aveva fatto notare di essersi occupato esclusivamente
della cucina. Il Tribunale, insomma, non aveva tenuto
conto che la responsabilità penale è personale
ma condannando i compagni, aveva compiuto una scelta di
campo, emanando una sentenza evidentemente politica.
L’appello tra mobilitazione e "difesa tecnica"
L’esame degli atti processuali del giudizio
di primo grado rendevano evidente la necessità
di una difesa in appello che contrastasse alla radice
le ragioni dell’accusa, tanto più che il Pubblico
Ministero sembrava intenzionato, come poi ha fatto, a
chiedere la conferma della sentenza di primo grado.
Un’assoluzione era necessaria non solo nell’interesse
evidente dei compagni condannati ma per ribadire ed affermare
il diritto di tutti a trattare i temi dell’anticlericalismo
e della propaganda antireligiosa e rivendicare agli anarchici
lo spazio politico per svolgere la loro azione. In questo
come in molti altri casi, la difesa dei diritti di alcuni
compagni volgeva a favore della tutela della libertà
di tutti.
Tuttavia, preso atto dell’accanimento della Curia
vescovile fanese e consapevoli del crescente potere clericale
nel paese era del tutto evidente che la generosa difesa
dell’Avvocato Sorcinelli di Fano non poteva bastare se
si voleva sottrarre i compagni alla condanna. Occorreva
una voce accademicamente autorevole, certamente valida
tecnicamente, professionalmente ben collocata in ambito
accademico per far sì che il verdetto venisse pronunciato
dal collegio giudicante nella consapevolezza che il comportamento
adottato sarebbe stato reso noto e una manifesta parzialità
dei giudici avrebbe menato scandalo anche agli occhi dei
buoni borghesi.
Defilatisi dall’offrire il loro aiuto i vari Comitati
di giuristi laici pur operanti nel nostro Paese alcuni
compagni ricevevano la disponibilità dell’Avvocato
Giovanni Flora, Professore Ordinario di Diritto Penale
all’Università di Firenze, che trovava il modo,
durante un dibattimento che si caratterizzava per la immediata
richiesta del Pubblico Ministero di confermare la sentenza
di primo grado e quindi la condanna dei nostri compagni,
di illustrare alla Corte i motivi di improcedibilità
nei confronti degli imputati.
Era avvenuto, infatti, che nella fretta di processarli
e condannarli il Tribunale di primo grado aveva omesso
di chiedere l’autorizzazione per procedere contro i nostri
compagni al Ministero di Grazia e Giustizia. Infatti il
Trattato del Laterano, equiparando la figura del Pontefice
a quella del Capo dello Stato italiano, richiede l’osservanza
delle medesime procedure in caso di vilipendio. Questo
perché il politico "vilipeso" potrebbe
non gradire il processo in quanto potrebbe accadere che
il dibattimento costituisca un’occasione per coloro che
vengono processati per ribadire le loro idee e farne propaganda,
a tutto "danno dell’offeso". In assenza della
richiesta di tale autorizzazione la Corte di Appello non
poteva che considerare assorbente tale motivo e dichiarare
il non luogo a procedere e quindi assolti gli imputati.
Già l’arringa del difensore era stata l’occasione
per ribadire il diritto di critica, la libertà
di espressione, la libertà di propaganda anticlericale,
e di questo la Corte ha mostrato di tenere conto.
Contro ogni curia le nostre ragioni
La vicenda ci dice che l’anticlericalismo
degli anarchici, dei laici, dei non credenti è
carico di valori che non vanno solo difesi in nome della
libertà di pensiero, ma affermati in ogni occasione.
Ben vengano perciò appuntamenti ed incontri nazionali
come i Meeting, i dibattiti, le manifestazioni, ma bisogna
concretamente impegnarsi ogni giorno per denunciare l’invadenza
clericale, attaccando i comitati d’affari insediati nelle
curie vescovili, come la vicenda del Vescovo di Napoli
dimostra.
Bisogna ricordare a tutti che quella cattolica è
ancora la Chiesa di Stato, che essa vive per lo Stato
e dello Stato dal quale riceve con differenti motivazioni
ben 4.000 miliardi l’anno, ai quali si aggiunge l’immensa
voragine aperta con il finanziamento alle scuole private
confessionali.
Queste cose vanno dette ricordando che è diritto
di tutti farne propaganda, denunciare il peso degli stipendi
per i ministri di culto, per i professori di religione,
per i cappellani nelle carceri e negli ospedali, i finanziamenti
per la costruzione di edifici di culto, ecc. Bisogna rilanciare
la campagna contro il Giubileo e denunciare le spese fatte
utilizzando i soldi dei cittadini per attivare l’ignobile
mercato intorno alla vendita della salvezza dell’anima.
L’assoluzione dei compagni di Fano dimostra che è
possibile difendersi, ma è certamente meglio non
aspettare i processi e attaccare noi, con tutte le iniziative
che saremo capaci di mettere in campo.
Abbiamo le carte in regola più di ogni altro
per condurre la lotta per la libertà di pensiero
che caratterizza da sempre l’anarchismo come uno dei suoi
valori fondanti
Gianni Cimbalo
|
|