rivista anarchica
anno 29 n.251
febbraio 1999



diario a cura di Felice Accame

campioni di
disordinazione sociale

 

Premessa. Il Vero, da lungi, è il valore per eccellenza. È la contropartita linguistica del Reale. Chi dimostra il Vero detiene il sapere e, conseguentemente, come minimo, serve il potere. La filosofia lo fa derivare da un impossibile confronto fra l’ordo idearum e l’ordo rerum. Così si demanda alla Natura o a qualche suo demiurgo privilegiato, la responsabilità di chi percepisce e di chi racconta. Rinunciando alla filosofia - e all’illusorio fondamento di cui fornirebbe il sapere -, si potrebbe considerare il vero come il risultato di un confronto tra i risultati di due serie di operazioni: quando risulta una differenza, invece, parliamo di falso. Negare il valore di verità - dire "non è vero" -, a volte, può essere salutare, può far aprire gli occhi a chi sonnecchia nel conformismo; ma guai a pensare che la soluzione dei nostri problemi stia semplicemente nel dire "è falso". La rivoluzione sociale può avvenire solo a patto di fare a meno delle categorie in uso nel mondo che va rovesciato. Dunque, è alla coppia del vero e del falso valorizzati che occorre saper rinunciare.
Ciò premesso, posso snocciolare qualche caso esemplare.
Nel 1972, in vista delle elezioni americane, il Wall Street Journal pubblicò un’intera pagina di pubblicità pagata dal "Comitato per la rielezione di Richard Nixon". Avrebbe dovuto essere abbellita da un contorno di bandierine americane, ma qualcuno provvide ad alternare le bandierine con piccole svastiche. Qualcuno che, evidentemente, aveva idee chiare su Nixon e sull’America e che, il giorno dopo, a quanto spiegò la direzione del giornale, scoperto e individuato in tipografia, venne licenziato.
Un altro caso è quello della vigilia di Natale del 1996 a Udine. Alcuni negozi del centro cittadino non poterono aprire, perché qualcuno - qualcuno che aveva le idee chiare sulla funzione mercantile delle feste religiose - aveva versato colla al silicone nelle serrature.
Sono casi contro i quali una società ben organizzata si protegge - con norme per governare i contratti di lavoro e con la polizia.

 

Un punto in alto

Appendere invece un biglietto, per esempio, ad un ramo di un albero in un parco o in un luogo poco frequentato della città - un biglietto su cui è scritto: "Chiudi gli occhi e immagina di vedere un quadrato di colore giallo limone/ il quadrato è ghiacciato/ al centro ha una rosa/ questa rosa è rosso fuoco/ profuma intensamente/ da essa esce un vermetto/ un vermetto lilla/ con la testa di una papera/ Ora alza le mani in alto/ e chiudi bene la bocca che stiamo per rapinarti" - appenderlo, in fin dei conti, dovrebbe esser del tutto legittimo e nessuno dovrebbe importunare chi avesse avuto la simpatica idea di appenderlo. Una dichiarazione poetica di rapina è una cosa, e tutt’altra cosa è una rapina e, forse, tutt’altra cosa è anche una rapina previa dichiarazione poetica.
Anche se ci mettiamo d’accordo in tre o quattro a fermarci per la strada, fissare un punto in alto, sul caseggiato di fronte, e ogni tanto indicare con la mano, non dovrebbe farci incorrere nei rigori della legge. Lassù non succede alcunché e i passanti saranno indotti a fermarsi e a guardare anch’essi - secondo un modello evolutivo epidemiologico -, magari chiedendo cosa sta succedendo, ma lo spostamento dell’attenzione altrui non è ancora un reato.
Un altro modo più incisivo di invadere il pensiero altrui è quello di avvicinarsi ad un’automobile parcheggiata e, sveltamente, infilare sotto il parabrezza un bigliettino di scuse. Ci si scusa con il proprietario per aver urtato la sua auto e gli si lascia anche il numero di telefono per gli eventuali danni. Il fatto che l’auto sia perfettamente integra creerà un bel tipo di problema al proprietario. L’ordine delle cose gli apparirà d’improvviso rovesciato e, per qualche minuto o qualche ora, vivrà con preoccupazione lo spaesamento della novità. C’è una Verità ormai abituale che viene disattesa.
Sono tutti esempi che ho tratto da Non è vero, un bel libro di Edoardo De Falchi edito da Odradek. È un libro dedicato alla disordinazione sociale, ovvero a quel che ciascuno di noi può fare per indurre il proprio prossimo ad una riconsiderazione critica delle norme implicite e della relative segnaletiche che governano la nostra vita associata. Si tratta di proporre un momento di consapevolezza in alternativa all’automatismo demente con cui eseguiamo il nostro spartito nel ripetitivo palinsesto della vita quotidiana. Nella maggior parte dei casi non si tratta neppure di mettere a rischio il posto di lavoro o di commettere reati, eppure si tratta di gesti coraggiosi. Coraggiosi perché mettono in crisi le minutaglie scontate della viltà sociale di tutti i giorni - farsi largo tra la folla obbediente e dire che "non è vero".
Città, ragazza al volante, coda terrificante, traffico pressoché bloccato. Abbiamo imparato ad accettare supinamente questo scandalo quotidiano. Al semaforo. Extracomunitario propone lavata di vetri e fregandosene del rifiuto della ragazza lava lo stesso. Dietro suonano ripetutamente il clacson. Abbiamo anche imparato ad accettare supinamente che alle ragazze al volante si possa suonare e risuonare clacson di rimproveri rimanendo impuniti. Il clacson diventa più violento se alla ragazza si aggiunge l’extracomunitario. Due oggetti di violenza libera e, in più, apparentemente in combutta fra loro (anzi: agli occhi del maschilista, perennemente in combutta fra loro). A questo punto la ragazza spegne il motore dell’auto e scende. Il suonatore di clacson urla e bestemmia rimanendo al sicuro nel suo tabernacolo. Arriva in compenso un altro, che non ha capito. Dice: "signorina, le si è fermata l’auto, dia qui le chiavi che ci penso io". Il presupposto del maschio è tuttora quello dell’inettitudine della femmina. Lei gli dice: "no, guardi, non è la macchina che non funziona, a me i colpi di clacson fanno male e, a questo punto, non funziono più io".
Anche un episodio come questo può stare fra i necessari prolegomeni della critica al sistema di valori.

Felice Accame

 

P.S. Non è vero è un libro utile non solo per le tesi che sostiene, ma anche per alcune sue strane pagine conclusive. Provvede il lettore, infatti, di adesivi perché - come un "piccolo chimico" della vita sociale - promuova le sue personali disordinazioni sul posto di lavoro, per la strada, al supermercato o in altri luoghi pubblici dell’anonimato collettivo. C’è l’adesivo che dice semplicemente "Vergogna", c’è quello che dice "Questa affissione è vietata ai sensi dell’art. 663 C.P.", oppure "Non è vero". A me personalmente piacciono "Premere con forza qui" e "Fuori servizio": l’ideale per bancomat e per apparecchi telefonici.

 

È uscito il n. 78 di Germinal ("giornale anarchico e libertario di Trieste, Friuli, Veneto e..."). In questo numero: Ricordando Marina Padovese * Torino: fuori dallo spettacolo * Forza nuova nel Veneto * Il razzismo della "Padania" * Contro le basi militari * Notizie da Aviano 2000 * La "insumision" in Spagna * Il ‘68 nel cinema e alla biennale * Il Messcio di Magòn * Lotte ecologiche in navarra * Turchia: un regime genocida * Ex-Jugoslavia * Notizie locali, recensioni e... * L’inserto irregolare.

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