"La cultura europea ha bisogno
di quella latinoamericana; ne subisce il fascino e l’influenza
forse perché i Latinoamericani non hanno ancora perso
la capacità di raccontare", così spiega in
sintesi almeno parte dell’interesse e del successo della letteratura
latinoamericana, Luis Sepulveda inaugurando il XIII Festival
del Cinema Latino Americano, al quale lo scrittore cileno ha
partecipato come presidente della giuria.
La presenza di Sepulveda, che da alcuni anni è molto
conosciuto e apprezzato anche in Italia, non ha avuto solo il
senso di richiamare - giustamente - l’attenzione su una manifestazione
che presenta una cinematografia straordinaria sia dal punto
di vista quantitativo che qualitativo; gemellando il Festival
del Cinema Latino Americano al Salone del Libro Iberoamericano,
che si tiene nella città spagnola di Gijun e di cui Sepulveda
è stato il creatore, si è dimostrata la volontà
di coordinare le iniziative sull’America Latina in Europa in
un unico progetto di approfondimento delle tematiche e di presentazione
delle molteplici voci e espressioni della cultura latinoamericana
al di là degli stereotipi e delle mode del momento.
Il Festival del Cinema Latino Americano, che negli ultimi
otto anni si svolge a Trieste e che è organizzato dall’Associazione
per la Promozione della Cultura Latino Americana in Italia (APCLAI)
che ha sede a Venezia, si sta confermando come la più
significativa manifestazione europea su quanto l’America Latina
elabora, progetta, realizza e propone con le immagini; da quest’anno
si sta sviluppando la possibilità di presentare almeno
parte del materiale filmico anche in altre città d’Italia,
come Milano, Roma, Torino, Verona e in Liguria. Grazie agli
sforzi che permettono ogni anno questo festival, il cinema dell’America
Latina sta guadagnando spazio; per la seconda volta, anche quest’anno
è stato presente al Mifed di Milano, vale a dire uno
dei più importanti mercati dell’audiovisivo.
Il Festival si articola in diverse sezioni; ci sono pellicole
in concorso, una "Sezione Informativa", gli "Eventi
Speciali", rassegne a tema (su un autore, documenti di
storia del cinema di un paese, retrospettive, documentari, cortometraggi);
uno spazio a parte è dedicato alla produzione in video,
divisa anche questa in diverse sezioni che vanno dal documentario
(come la sezione "Amerindia", viaggio in fotogrammi
nel variegato mondo etnico e popolare del continente) alle esperienze
più sperimentali dei giovani "film makers"
(come gli argentini Pablo Milstein e Javier Rubel, autori del
documentario "Malajunta" nel 1996, una riflessione
dei giovani di oggi su quello che è stata la dittatura
a trent’anni dal golpe militare, o Pablo Reyero che ha vinto
il 1° Premio nell’edizione del ‘97 con il documentario "Darsena
Sur"), ai filmati sui progetti di cooperazione delle Organizzazioni
Non Governative, alle testimonianze audiovisive dei latinoamericani
che vivono negli U.S.A., ai serial televisivi, ai video dedicati
alla letteratura e alla musica.
Il Festival non è solo l’occasione per il pubblico
italiano di conoscere un cinema poco noto; anche a un latinoamericano
questa manifestazione offre l’opportunità di vedere ciò
che creano in campo cinematografico i vari paesi, vicini geograficamente
e culturalmente, eppure resi lontani dalla mancanza di scambio.
Solo il cinema di Hollywood non conosce problemi di distribuzione.
Tessera
sindacale
In questi anni, in occasione del Festival sono
stati presenti i grandi maestri, e non solo con le loro opere,
a cominciare da Fernando Birri, considerato il padre del nuovo
cinema latinoamericano, di cui è stata presentata l’intera
filmografia nell’edizione del 1992 e da allora presente ogni
anno come presidente della manifestazione.
Birri, nato a Santa Fe in Argentina nel 1925, diplomato
al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma (è stato
assistente tra gli altri di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini)
è l’autore della prima inchiesta di argomento sociale
filmata in America Latina: il documentario "Tire dié".
Alla fine degli anni Cinquanta lancia il suo manifesto "Per
un cinema nazionale, realista, critico e popolare", che
è il primo atto del nuovo cinema latinoamericano. L’attività
cinematografica di Birri negli anni spazia e percorre anche
le linee più sperimentali, come nel caso di "Org"(
il cui protagonista è uno stralunato Terence Hill, smessi
per l’occasione i panni del cow boy): è il periodo del
cinema "cosmico, delirante e lumpen". Fernando Birri,
che è anche poeta, pittore, teorico e docente, creatore
del "Laboratorio Ambulante di Poetica Cinematografica"
svoltosi in Venezuela, e poi a Roma, Bilbao, Città del
Messico, Managua, Bogotà, Luanda, Maputo, Stoccolma,
Goteborg, Buenos Aires, è autore di sceneggiature scritte
insieme a Garcìa Màrquez e a Eduardo Galeano.
Ospite nel 1996 in occasione della proiezione del suo film:
"La naciòn clandestina" del’89, il boliviano
Jorge Sanjinés è uno dei più importanti
autori cinematografici del continente sudamericano. Famoso per
aver introdotto la lingua quechua in un lungometraggio d’autore,
nel film "Yamar Malku"("Sangue di condor")
del 1969, che forse qualcuno avrà visto in qualche cineclub
negli anni ‘70, Sanjinés ha dedicato la sua ricerca cinematografica
alle comunità indios dell’altopiano andino, che, dopo
un lungo lavoro all’interno delle comunità da parte del
regista e dei suoi collaboratori, hanno potuto esprimere in
prima persona i loro problemi di identità, raccontare
le ingiustizie subite, rivendicare i loro diritti e difendere
la loro storia, nelle forme proprie della loro cultura attraverso
il mezzo cinematografico.
Nell’edizione del ‘96 una sezione del Festival ha presentato
l’intera produzione cinematografica del cubano Tomàs
Gutiérrez Alea, fra i registi più prestigiosi
del suo paese, scomparso nel ‘95, che l’Italia ha conosciuto
almeno con i suoi due ultimi film: "Fragole e cioccolato"
e "Guantanamera", arrivati anche nelle nostre sale.
Gutiérrez Alea, che nel 1960 ha firmato il primo
lungometraggio del cinema cubano, "Historias de la revoluciòn"
che celebrava la liberazione dal dominio nordamericano, ha firmato
successivamente una serie di opere nelle quali ha saputo ironizzare
su certi aspetti della Cuba castrista usando la leggerezza della
commedia e costruendo situazioni esilaranti (certo aiutato dalla
bravura degli attori cubani); in proposito basta ricordare "La
muerte de un buròcrata" del 1966, in cui un operaio
modello viene seppellito insieme alla sua tessera sindacale
e la vedova perde così il diritto alla pensione. Dopo
una lunga serie di peripezie burocratiche il documento sarà
recuperato solo dopo la morte dell’impiegato che impediva la
riapertura della bara.
L’unica
occasione
Oltre a Cuba, anche il Brasile può vantare una tradizione
cinematografica che permette una produzione assai variegata
e notevole dal punto di vista qualitativo. Nelle due ultime
edizioni è stato dedicato uno spazio al cortometraggio
brasiliano, e brasiliano è il film che quest’anno ha
vinto il premio per la Miglior Regia: "Policarpo Quaresma,
eroe del Brasile" di Paulo Thiago, così come il
film giudicato migliore dell’edizione del’97 è stato
"Um ceu do estrelas" della giovane regista di San
Paolo, Tata Amaral, autrice di un film di grande forza, di riuscito
coinvolgimento emotivo grazie alla sceneggiatura, alla regia
e all’interpretazione dei due giovani attori, anch’essi meritatamente
premiati.
Di questo Festival colpisce anche il fatto che i suoi protagonisti
non sono solo i grandi maestri; buona parte dei lungometraggi
presentati sono opere prime e numerosi sono gli autori sulla
trentina, come nel caso appena ricordato di Tata Amaral, ma
è giusto fare ancora qualche nome di giovane autore di
talento, come l’argentino Alejandro Agresti e il cileno Andrés
Wood, autore di "Historias de fùtbol" premiato
come il Miglior film dell’ultima edizione.
Sarebbe doveroso citare molti altri autori, parlare di molti
altri film e di esperienze in campo cinematografico in altri
paesi dell’America Latina conosciute grazie a questo Festival,
che, se è vero che ha bisogno di crescere e migliorarsi
dal punto di vista organizzativo, deve anche essere riconosciuto
e difeso perché rappresenta l’unica occasione per conoscere
il cinema dell’altra America. Ogni anno a metà ottobre
al Teatro Miela di Trieste.
Fernanda Hrelia
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