E’ trascorso qualche mese da quando
("A" 247: Buccinasco, per esempio) da queste
pagine raccontavamo le sorti di un esperimento eretico: il Progetto
"Volere la luna". "Eretico" perché
in tempi di accentramento selvaggio dei servizi proponeva un
approccio a misura della comunità, una relazione diretta
con il territorio. I risultati ottenuti in questi sei anni di
lavoro d’altronde non sono stati messi in discussione. Ma i
tempi vedono prevalere una logica altra, una ragion di stato
parallela alla considerazione dei bisogni: il Centro ha chiuso
lo scorso 19 dicembre.
La versione ufficiale fornita per il congedo dei nove consulenti
che costituivano l’ossatura del progetto si avvale di un’interpretazione
rigorosa di una recente normativa per la riorganizzazione del
settore pubblico: la legge Bassanini. A prescindere dai bizantinismi
che innervano il linguaggio burocratico nazionale, ciò
che ci è stato dato di capire è: "Dato che
l’operare troppo a lungo per la stessa Amministrazione potrebbe
configurarsi come rapporto continuativo, quindi di dipendenza,
per tutela dello stesso, tutti a casa". In realtà,
passione tradizionale di certo ceto politico sembra essere coltivare
in serra il cavillo a fini propri, definiti "bene comune".
Ristrutturazione, della ristrutturazione, della riforma,
delle USSL, divenute Asl. Tengo a precisare che le seguenti
sono considerazioni profane; per quanti sforzi si siano effettuati,
le politiche sociosanitarie ci sono rimaste estranee. Ciò
che risulta evidente è la frequenza delle rivoluzioni
burocratico-organizzative, sia dei cosiddetti "accorpamenti".
Da tempo le aziende - ma può un azienda, per sua natura
finalizzata al profitto, occuparsi di integrazione, diritto
alla salute, disagio? - sono divenute realtà ipertrofiche,
articolazioni di una holding del sociale di portata nazionale.
In buona sostanza, i servizi tendono ad allontanarsi dalle comunità
e dai bisogni cui dovrebbero rispondere. E non si tratta, a
mio avviso, di una reale "politica del risparmio".
Soldi e finanziamenti sono disponibili, ma giungono a chiazze
e con la logica degli eventi atmosferici in Bangladesh: siccità
per mesi, a seguire, nubifragio.
Se il servizio si allontana, anche fisicamente, dal suo
referente; se "l’assistito" si trova a compiere un
viaggio di 50 chilometri per un certificato o farsi visitare,
la responsabilità non è mai dell’ente, pardon,
dell’Azienda. Le patetiche code dei "Pellegrini del metadone"
alla mattina fanno parte del paesaggio urbano e struggono il
cuore a giornalisti e funzionari, ma tant’è, questo è
il migliore degli interventi possibili. E se la sede del Servizio
Tossicodipendenze si sposta di dieci chilometri e il tossico-lavoratore
- pare impossibile esista perché la categoria sfugge
alle statistiche ufficiali - che quasi mai possiede patente
e auto, deve accollarsi un’ora il più di pubblico trasporto,
il fatto "non compete a noi". Ci rimane il telefono,
e in questo senso i settori da qualche tempo ci hanno beneficiati
di graziose vocine, accompagnate da altrettanto ameni sottofondi
musicali: "Gli operatori sono momentaneamente impegnati...".
Il radicale nulla
L’eresia contro cui si scaglia l’anatema è
proporre una "umanizzazione del servizio", che si
spogli dei panni dello slogan aziendale per divenire relazione.
Da questo punto di vista, chiamare una bambina abusata "cliente"
risulta aberrante, conferma di una logica simil-efficientista
che dell’umanesimo è antitesi. Ricordare fuori dalle
campagne elettorali e dalle conferenze dotte che il referente
e mandatario del servizio sono un’unica persona, il cittadino,
diviene "sgradevole". Gli interessi economici e d’immagine
sono enormi; le carriere possibili e i relativi compensi spesso
esorbitanti.
Ma la gente, portatori d’acqua alle casse pubbliche, è,
e si dice, giustamente incazzata. Tuttavia la generale indignazione
viene puntualmente cavalcata da un Masaniello televisivo, poi
deputato, poi promotore di una nuova riforma. Gli umori politici
oscillano tra la radicale sinistra, il radicale centro, la destra
estrema lotta-al-sistema, quanto il radicale nulla. Non si riesce
a individuare un senso, un’origine, e la sindrome dello sfascio
finisce per alimentare la logica imperante del "Tanto mi
faccio i cazzi miei". "I politici partono bene, dicono
tante belle parole, ma poi pensano solo a questi" e ti
fanno il segno dei soldi: pollice e indice della mano destra
strofinati tra loro con moto regolare e evocativo.
I politici. Il nostro progetto nella sua breve storia ha
assistito a un discreto ricambio negli amministratori. Più
frequente in tempi di "Prima repubblica", scandito
dalle elezioni comunali poi. Significativo il fatto che il suo
reale avvio sia avvenuto grazie all’intervento di un’autorità
extrapolitica. Nel 1994 infatti, a seguito dello sviluppo delle
inchieste sul malcostume locale, veniva esautorata la precedente
Giunta e incaricato un Commissario straordinario. Questi, dopo
attento esame della situazione, si rendeva conto che l’intervento
sociale risultava pesantemente sbilanciato a svantaggio della
fascia più critica: i giovani. Buccinasco era ed è
la conferma di quanto da più decenni la mafia non sia
una realtà meridionale. La convergenza di interessi politici,
economici e clientelari rendeva fertile il terreno locale per
la crescita delle organizzazioni criminali. Da qui, l’urgenza
di attivare interventi capaci di contrastare la forza di attrazione
dei clan e le campagne di arruolamento delle rispettive formazioni.
La domanda da porre agli arroganti populisti, fautori di
nuove barriere nazionali e infinite invettive contro il "terrone
oppressore" è, a mio avviso: "È così
diversa la responsabilità dell’imprenditore, del finanziere
che al grido. I soldi sono soldi’, cambia di segno al denaro
mafioso?". Il pedagogista deve considerare che in un caso
l’addestramento al male si subisce dalla prima infanzia, mentre
l’imprenditore sceglie. In un senso si uccide, si estorce, si
promuove il consumo di droga come fenomeno di massa. Nell’altro
si stringono alleanze, si corrompe, si alimenta un sistema economico
parallelo senza il quale Cosa nostra sarebbe ancora una stortura
del mondo contadino siciliano.
Ragion di stato e ragione economica
In quello stesso ’94 s’installava la nuova Amministrazione.
A differenza delle precedenti, questa si collocava a destra,
dato che, nell’imminenza della vittoria spingeva alcuni politici
locali a repentina abiura ideologica. Il mutamento portò
una reale ventata di novità; si percepì una volontà
di chiarezza, sicuramente venata di autoritarismo, ma autentica.
Premesse che permettevano al progetto di approfondire la propria
"ereticità" in termini metodologici e di svilupparsi
ulteriormente. Ma premesse che dovevano ben presto ridimensionarsi
nel confronto con la Ragion di stato e la Ragione economica.
Da un lato il progredire dei processi di accentramento a livello
sovrazonale dei servizi faceva apparire la nostra anomalia sempre
più acuta. Dall’altro un nascente business immobiliare
- la previsione sono 10.000 nuovi insediamenti nei prossimi
5 -10 anni - rendeva inattuale la nostra attività di
prevenzione sui versanti caldi. Primo tra questi, e nonostante
i covi dei sequestri Casella e Sgarella e gli arresti eccellenti
fossero avvenuti a Buccinasco, il tema della ’ndrangheta.
La cura dell’Amministrazione agli aspetti urbanistici divenne
a quel punto massima: oasi e parchi ecologici, laghi cittadini,
imponenti ristrutturazioni e materiali di prima qualità.
I prezzi delle case continuarono a lievitare. Ma come vendere
a 4.000.000 al m2, quando il comune viene additato come zona
"ad alto rischio"?
A complicare la situazione venne la notizia dell’avvenuta
approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, Dipartimento
affari sociali, di un progetto di prevenzione presentato nel
1995. Il ’98 fu per noi l’anno della "Cultura dell’Autonomia".
L’intervento cercava di sviluppare la metodologia e i risultati
conseguiti dall’équipe "Volere la luna", cui
ora si affiancava. Elemento caratterizzante, rivolgersi alla
comunità nel suo complesso nella convinzione che un organismo
sociale responsabilizzato, rappresenti la risorsa fondamentale.
Uscire dalla sindrome della delega poteva significare avviare
processi di presa di coscienza e favorire la produzione di adeguati
anticorpi sociali. Dal "Ci deve pensare lo stato - fintanto
non tocca direttamente la mia famiglia" al "Vediamo
qui, ora e in funzione delle nostre possibilità cosa
fare". Negli anni precedenti erano state sviluppate tre
reti, finalizzate ad approfondire l’approccio di territorio:
imprese, agenzie socio-educative, associazioni e oratori. In
particolare quest’ultima intendeva promuovere il relativo modello
in contrapposizione con l’aggregazione omertosa centrata sul
capo carismatico.
Un altro problema fondamentale riguardava il livello d’intervento.
Si individuava la dipendenza quale sintomo, la cui origine era
da ricercare in termini sociali, culturali e affettivi. "La
cultura dell’Autonomia" intendeva scuotere la comunità,
ma anche declinare il tema fondamentale sulle tre articolazioni
osservate sul piano locale: cocaina - regina della tradizione
stupefacente, "nuove droghe", ’ndrine. Nostra convinzione,
che ogni organismo sociale possegga caratteri propri e in continua
evoluzione. Osservazione che in un’ottica libertaria parrà
scontata, ma che nel mondo del pubblico servizio condensa una
forma mentis aliena. Con frequenza esasperante i progetti
risultano fotocopie di interventi concepiti in altro tempo,
in altro luogo e su di un’altra tipologia di utenza.
Il nostro spaccato sociale evidenziava due filoni principali:
la comunità di origine calabrese giunta a partire dagli
anni ’50 - edilizia popolare - e le isole residenziali frutto
dell’esodo dalla metropoli della medio-alta borghesia negli
anni ’70 e ’80. Sia l’una che l’altra, ma particolarmente la
prima, mostravano caratteri evolutivi rispetto alle comunità
di origine, e rendevano visibili processi di contaminazione.
Ci si rese conto che se sulle aggregazioni, ad esempio le ’ndrine
pastorizie, esistevano studi e ricerche, il campo attuale appariva
pressoché vergine. Da ciò l’esigenza di incaricare
un sociologo per sviluppare una indagine specifica.
"L’Autonomia" assunse connotazione di ricerca-intervento,
dove i risultati dell’attività sul campo e dell’indagine
andavano reciprocamente integrandosi. I moduli potevano avvalersi
di un ventaglio di strumenti sufficientemente ampio per fugare
i sospetti di accademicità. Si riteneva importante limitare
l’impatto frontale della conferenza al minimo indispensabile,
privilegiando veicoli più ludico-artistici. L’intervento
degli esperti veniva assimilato nella forma seminariale e bilanciato
dalle attività creative: musica, teatro, laboratori manuali,
cineforum e, soprattutto, feste di piazza. Riguardo a quest’ultime,
si sottolineava il valore dell’evento partecipato, attività
e stand con il coinvolgimento del pubblico, rispetto alla manifestazione
centrata sulla figura della star.
Un fiorire di attività, poi...
Una modificazione, anche lieve, a livello di atteggiamento
poteva avvenire solo mediante un coinvolgimento diretto delle
persone. Processo anche più evidente nei confronti dei
ragazzi che costituivano il soggetto del nostro intervento.
Le scuole medie e superiori divenivano luogo di iniziative volte
a suscitare interesse e a essere sviluppate nei laboratori pomeridiani
e nelle manifestazioni pubbliche. Il fuoco veniva parallelamente
a porsi sugli ambiti di aggregazione strutturata, quanto su
quelli spontanei. Nostri operatori andavano a operare a livello
di oratorio, di associazione, quanto nei bar più o meno
malfamati di quartiere, nei parchi e nelle strade. La più
grande soddisfazione, nel condurre ragazzi dediti a compiere
viaggi chimici, a stupirsi della loro capacità di "sballare"
utilizzando la danza, la musica, l’espressione corporea.
Gli ultimi mesi videro un fiorire di attività: la
realizzazione di due cortometraggi - di cui uno realizzato da
registi professionisti -, concerti, mostre, spettacoli teatrali.
Parallelamente si concludevano i momenti rivolti agli adulti
e che avevano insegnanti e genitori quali interlocutori privilegiati.
Momenti più orientati alla sensibilizzazione a alla informazione
avevano già coinvolto operatori di comunità, oratori
e associazioni, forze dell’ordine e imprese. La ricerca del
sociologo doveva a sua volta esitare in una pubblicazione, che
avrebbe anche raccolto le sintesi dei singoli moduli.
Il percorso prevedeva infine quattro serate pubbliche con
il coinvolgimento di esperti e studiosi a livello nazionale.
Si distinguevano in particolare le prime due, volte ad affrontare
in forma di tavola rotonda le problematiche legate al sistema
del narcotraffico su scala regionale e su scala locale. Una
terza iniziativa sviluppava il tema del rapporto tra comunità
di recupero e territorio; l’ultima doveva ospitare la presentazione
del saggio.
Risultato: a quindici giorni dalle serate la Giunta ne decideva
unilateralmente la sospensione di tre su quattro. La pubblicazione
veniva soppressa e i nove consulenti "Volere la luna"
licenziati.
Massimo Annibale Rossi
leggere la mafia
Sul ruolo assunto da Milano nel sistema del narcotraffico,
e più specificamente nel riciclaggio di denaro
sporco, cfr. PORTANOVA M. ROSSI G. STEFANONI F., Mafia
a Milano, Ed. Riuniti, Roma, 1996. Sulla realtà
di Buccinasco: COLAPRICO P. FAZZO L., Manager calibro
9, Garzanti, Milano, 1995
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