Obbrobrio giuridico
Pino Cacucci a colloquio con il regista Enzo Monteleone
"Il libro autobiografico di Horst Fantazzini, Ormai
è fatta, l’ho trovato su una bancarella di fondi
di magazzino, quelli da "tutto a mille lire", confuso
tra mucchi di gialli consumati da chissà quante mani...
Mi ha attirato la copertina, con quella terribile foto di lui
crivellato di pallottole. Poi l’ho letto, e ho pensato al film
Quel pomeriggio di un giorno da cani. È una storia
straordinaria, che fa parte degli anni settanta pur senza appartenere
ai grandi eventi tragici di quel periodo. Ne ho parlato con
il produttore Piccioli, che si è subito lasciato contagiare
dal mio entusiasmo. Ci siamo messi in cerca di Horst, immaginando
fosse un tranquillo pensionato, magari con tanti nipotini, considerando
gli anni che erano trascorsi... E invece, siamo dovuti andare
a trovarlo in carcere, per parlargli del mio progetto..."
Enzo Monteleone, già sceneggiatore di vari film tra
i quali il premio Oscar Mediterraneo di Gabriele Salvatores,
conferma il curioso destino secondo cui le bancarelle dell’usato
costituiscono una preziosa fonte di ispirazione per i registi:
basti pensare all’esempio più eclatante, quando Sergio
Leone trovò una vecchia e sdrucita copia del romanzo
autobiografico di Harry Grey, Mano armata, e decise di
trarne C’era una volta in America.
"Con Horst si è instaurata una collaborazione
stretta, siamo andati a trovarlo in carcere, ci siamo scritti
varie volte, poi lo ha conosciuto anche Stefano Accorsi, l’attore
che lo impersona, e che si è gettato anima e corpo nell’impresa,
davvero con un impegno generoso... Gli abbiamo fatto leggere
la sceneggiatura, se ne è discusso, finché non
mi ha dato il suo totale assenso, e... via con le riprese, un
lavoro non facile perché occorreva ricreare un’atmosfera
e un ambiente che, a soli venticinque anni di distanza, sembra
riguardare un’altra epoca. Oggi un evento del genere verrebbe
totalmente vampirizzato dalle televisioni, Emilio Fede ci farebbe
una diretta non-stop.... Ma il particolare più singolare
è che ho anche rintracciato i due secondini presi in
ostaggio in quel drammatico giorno del 23 luglio 1973, e...
pensavo fossero finiti a fare chissà cosa, e invece stanno
ancora lì: fanno lo stesso mestiere, uno è diventato
persino sindacalista delle guardie carcerarie, la loro carriera
non ha subito, almeno per diversi anni, alcun avanzamento, perché
secondo la logica dello stato si sono fatti catturare, non hanno
reagito, insomma, sono stati gli unici a non ricevere encomi
e promozioni."
Il caso di Horst Fantazzini è talmente assurdo da
risultare pressoché unico: è in carcere dal 1968,
trentun anni scontati (a parte qualche brevissimo periodo di
"fuga") senza aver mai ucciso nessuno, preda di una
magistratura vendicativa e cieca che non ha mai voluto riconoscere
la cosiddetta "continuità del reato"; in pratica,
a ogni tentativo di evasione o per qualsiasi protesta carceraria
gli hanno inflitto decine di anni per volta, e la sua fine pena
è prevista per il 2016 (per giunta deve ancora affrontare
un processo per "banda armata": come potesse essere
"armata", la sua inesistente banda, non si sa, visto
che è da sempre in galera). 2016: considerando che ha
appena compiuto sessant’anni...
E la pervicacia dell’istituzione gli ha addirittura negato
il permesso di assistere alla prima del film, neanche potesse
scappare dai cessi del cinema. Una vergogna nazionale che sarebbe
ora di sollevare davanti a quella parte di opinione pubblica
ancora immune al giustizialismo imbarbarito.
Horst era diventato famoso come "il rapinatore gentile":
usava pistole giocattolo, chiedeva scusa agli impiegati, mandava
mazzi di fiori alle cassiere più emotive, desisteva se
trovava qualcuno disposto a rischiare la pelle per i soldi di
un banchiere, si allontanava più spesso in autobus che
in macchina. Suo padre era Libero Fantazzini, figura leggendaria
dell’anarchismo bolognese. Conservo un ricordo indelebile di
Libero e della sua compagna Maria: negli anni settanta, partecipavano
alle infuocate assemblee al Cassero di Porta Santo Stefano,
ripartendosene sulla celebre Simca Mille, dopo aver dato l’ennesimo
insegnamento di vita ai giovincelli come noi, con interventi
decisi, appassionati, frutto di una lunga esistenza dedicata
totalmente all’ideale. A mezza voce, mi narravano delle sue
imprese nella resistenza, quando era il terrore dei fascisti
nel quartiere della Bolognina, senza aver aspettato la guerra
e gli ordini alleati, ma cominciando a combattere fin dal 1921.
Poi l’esilio clandestino in Germania, l’avvento del nazismo
e tutto che ricominciò da capo: lo scontro a fuoco con
una squadra della Gestapo, l’ennesima fuga, con Horst bambino
e l’Europa devastata. Quindi, il dopoguerra: ma un torturatore
non può pretendere di farla franca perché dieci
minuti prima qualcuno ha firmato un pezzo di carta pacificatore.
Non per Libero Fantazzini. Che ricominciò a stanare assassini
camuffati da onesti commercianti. Gettata la camicia nera per
il doppiopetto, non riuscivano a ingannare la memoria di Libero.
E chissà chi fu, quel fantomatico "uomo dal mantello
nero" che alla Bolognina arrivava in bicicletta, estraeva
il mitra, sparava e ripartiva pedalando. Poco importa, stabilirne
l’identità. Gli uomini liberi non si vantano di esserlo.
Comunque, Libero venne arrestato nel ’48 e si fece un anno di
galera. Non avrebbe mai conosciuto un solo giorno di vita che
non fosse da militante anarchico, fino al 1985, quando ci ha
lasciati tutti un po’ più tristi, e ancora oggi, passando
davanti al Cassero di Porta Santo Stefano, mi sembra di sentirlo
sempre, quel suo vocione basso e dal tono indignato, ma capace
pure di un’infinita gentilezza. Maria lo ha seguito l’anno dopo.
Nel film di Monteleone è Francesco Guccini a interpretare
un "cammeo" nei panni di Libero. Compare per pochi
minuti, redarguendo al telefono il figlio intrappolato con i
due ostaggi: "Rapinare banche è di per sé
giusto, ma i soldi vanno dati alla causa, ai lavoratori, mica
come fai te, che sei diventato un bandito... L’anarchia è
un’altra cosa". Ma Libero non lo rinnegò mai, quel
suo figlio scapestrato, anzi: ne parlava il meno possibile,
però nella voce aveva sempre un amore irreprimibile.
Horst ferì due guardie, per fortuna non gravemente,
e alla fine della giornata si prese una pallottola in faccia,
una in petto, altre alle gambe e al braccio, una macelleria
tale che ammazzarono persino il cane lupo che gli saltò
addosso, medaglia alla memoria (e non sapevo che le dessero
pure agli animali). Una tempra incredibile, perché si
salvò a dispetto dei cecchini e dei medici più
scettici. Il film narra principalmente questo, la cronaca di
quel 23 luglio 1973, e lo fa con qualità rarissime nel
cinema nostrano: dignitosamente, con onestà, senza epopea
né smania di giudicare. E la seconda parte avvince, commuove,
indigna. Stefano Accorsi, poi, si conferma come uno dei migliori
attori del panorama attuale, dopo le prove in Jack Frusciante
e soprattutto in Radiofreccia.
Il resto, cioè la vita di Horst, è una sequela
di ribellioni, tentativi di evasione, lotte per il riconoscimento
dei diritti fondamentali del detenuto. Tutto questo pagato caro,
carissimo, con una sorta di "ultraergastolo" dopo
la mancata esecuzione di fronte al plotone di tiratori più
o meno scelti.
Monteleone aggiunge: "Horst è una persona a
dir poco interessante, parlare con lui è stata un’esperienza
notevole, che lascia il segno... Te ne accorgi dallo sguardo,
che sei di fronte a un uomo dall’intelligenza sveglia, capace
di ironia e arguzia, fermo e determinato non appena sfiori l’argomento
della pena: "Io non ho nulla di cui pentirmi, ho fatto
più di trent’anni dentro, caso mai è lo stato
a dovermi chiedere scusa...".
Lo stato non chiede scusa a nessuno. Sta a noi chiedere
la fine di questo obbrobrio giuridico. E con la stessa fermezza
e determinazione con cui Libero si batteva senza tregua contro
ogni forma di sopruso. È il modo migliore per onorarne
la memoria.
Pino Cacucci
Con un po’
di fantasia
Patrizia Diamante a colloquio con il produttore Gianfranco
Piccioli
Gianfranco Piccioli, romano, 55 anni, molto garbato, faccia
aperta, simpatica e cordiale. È un produttore atipico,
nel senso che nel desolante o quasi panorama della cinematografia
italiana punta a fare film di qualità. E come persona,
mi sembra abbastanza fuori di testa da crederci per davvero.
Dopo Tutti giù per terra! di Davide Ferrario con
Valerio Mastandrea (film delizioso e molto premiato all’estero)
una grande scommessa. Un’impresa non da poco e non facile -
tanti anni fa il primo progetto, con l’attore Volontè
nella parte di Horst, rimase solo una firma su un foglio - realizzare
questo film sul mio compagno Horst Fantazzini, liberamente tratto
dal racconto autobiografico Ormai è fatta! edito
nel 1973 da Bertani (l’edizione di allora fu curata da Franca
Rame) e non ancora ripubblicato. Un’impresa che ha condiviso
con Enzo Monteleone, regista alla sua seconda esperienza dopo
La vera storia di Antonio H. e già sceneggiatore
di Mediterraneo. Gianfranco ha incontrato Horst diverse
volte nel carcere di San Michele, Alessandria. A differenza
di me lo raggiunge in aereo e forse viene trattato con un tantino
in più di rispetto, mentre io sono costretta a prendere
scassatissimi treni all’alba con lo zaino pieno di cotolette
e in quanto al rispetto, come per ogni sfortunato visitatore:
a seconda dei turni e a discrezione degli agenti, ma altre differenze
sostanzialmente non ci sono: a monte c’è la stessa passione,
lo stesso impegno, per realizzare i propri desideri. Hanno incominciato
una fitta corrispondenza, sono diventati amici, mi dice scherzando
che sono quasi fidanzati, e non vorrei che si allargasse oltre...
Parliamo di cinema, di libertà, dell’ampio spazio
e risalto dato dalla stampa e dalla critica a questo film, delle
interpretazioni di Stefano Accorsi (Horst), Emilio Solfrizzi
e Giovanni Esposito (le due guardie sequestrate), Francesco
Guccini (Libero), Alessandro Haber (Avvocato Leone), Fabrizia
Sacchi (ex-moglie di Horst), Antonio Catania (Magistrato di
sorveglianza), Antonio Petrocelli (Direttore del carcere), Paolo
Graziosi (Colonnello dei carabinieri)... Gianfranco è
appassionato, mi dice che ha lavorato con un cast meraviglioso,
tutti molto preparati e provenienti da esperienze teatrali come
Fabrizia Sacchi con "questo volto particolare, che ricorda
vagamente Romi Schneider", oltretutto Stefano che è
meno "facile" di carattere di quanto non appaia sullo
schermo, ha accettato la parte con un grandissimo entusiasmo.
Stefano è bolognese, è dolce, ha dei lineamenti
morbidi come Horst - perdonami Stefano, ma l’originale era ancora
più bello - , ha 28 anni, proviene dal teatro ma si è
fatto conoscere con la pubblicità di un gelato tanto
da faticare non poco per scrollarsi di dosso il nomignolo di
"ragazzo Maxibon", in passato ha interpretato interessanti
ruoli nei film Jack Frusciante e Radio Freccia
e al momento di registrare questa intervista si trova in Portogallo
per girare Capitani d’aprile, un film sulla rivoluzione
dei garofani.
Io vorrei che tu ti presentassi...
E come no, mi presento, Gianfranco Piccioli, nato il 26 febbraio
1944, praticamente in modo irrecuperabile malato di cinema,
dedico tutto a questo e lo antepongo a tutto, il cinema, la
mia unica attività... Per raccontare un aneddoto simpatico,
se dovessi fare le analisi del sangue, credo che troverebbero
tracce di sangue nella celluloide... Mi piace cercare storie
e raccontarle... In passato di film ne ho prodotti circa 40-45,
quelli a cui sono più affezionato i film di Sergio Citti
in particolare Casotto (1977), il film di Costantin Costa-Gravas
Chiaro di donna (1979)... un po’ tutti i film di Francesco
Nuti fino al film Donne con le gonne (1991) me li sono
portati avanti io.
Com’è nata l’idea di un film su Horst ?
L’idea di un film su Horst nasce sempre cercando storie, nasce
con la lettura di questo suo libro pubblicato da Bertani nel
75 con un titolo ironico bellissimo Ormai è fatta!,
e trovato casualmente su una bancarella dell’usato e ho detto
ma guarda, a parte l’eleganza, il modo, il linguaggio, il tono
ironico con cui Horst raccontava tutta la vicenda di quella
giornata, era l’analisi di questa giornata particolare il pretesto
per rievocare anche nelle sfumature, le circostanze dell’episodio
nel contesto della vita carceraria, del sistema carcerario...
ma tutto raccontato con grande eleganza... ma poi mi sono chiesto
ma nel tempo - perché di anni ne sono passati tanti -
chissà dove sarà, che fine avrà fatto,
poi attraverso varie ricerche riesco ad individuare il carcere
di Alessandria, mi metto in contatto con alcune persone, nel
frattempo incontro Pralina Diamante che è la sua compagna,
comincio ad apprendere da lei determinati risvolti della vicenda
ma molto importanti, rintraccio l’avvocato Leone che a suo tempo
si occupò del caso, e nel tempo anche altre persone,
trovando in tutti loro una partecipazione veramente straordinaria...
parlo insieme con il regista, giro per l’Italia a rintracciare
anche quei personaggi che hanno avuto a che fare con tutta la
vicenda, ne viene fuori tantissimo materiale e molto affascinante
e soprattutto che ricalca l’anima vera di Horst... c’è
voluto quasi un anno prima di ottenere il permesso per incontrarlo,
eppure non era certamente un orco una specie di diavolo terrificante
qualcosa veramente di aberrante, ma una persona sensibilissima
anche tenera in alcune cose pure nelle sue asperità nelle
sue ombre nei suoi contrasti, proprio perché fragile,
ma un uomo a cui trent’anni di detenzione non avevano tolto
proprio nulla, la sua dignità era integra il suo carattere
era forte...
Quali difficoltà avete incontrato a realizzare il
film ?
Devo dire che questo film è stato abbastanza faticoso
un po’ come tutti i film in genere, forse questo lo è
stato un po’ di più perché la caratteristica del
film risiedeva nel trovare il luogo cioè l’ubicazione,
il carcere e questo non era assolutamente facile, ritornare
nel carcere di Fossano non era assolutamente possibile anche
per l’ambiente che peraltro si è modificato negli anni
e che quindi si sarebbe dovuto riadattare... abbiamo girato
un po’ dappertutto, e cercavamo quel luogo che togliesse un
po’ quell’aspetto cupo che ha solitamente l’edificio carcerario,
anche perché se fai un film devi presentare le cose in
un certo modo per cercare di attrarre un minimo d’attenzione,
che era lo scopo principale del film... fino a che trovammo
il carcere di Saluzzo che era stato abbandonato da cinque o
sei anni, e lì abbiamo avuto inizialmente parecchi ostacoli
da parte delle istituzioni, poi finalmente ci consegnarono le
chiavi. Abbiamo comunque dovuto lavorarci molto, perché
quando l’abbiamo aperto era in condizioni terribili, proprio
mal messo, fatiscente...
Stefano Accorsi nei panni di Horst Fantazzini
Horst ha approvato tutta la sceneggiatura ?
Ci sono state diverse versioni nella sceneggiatura, e anche
molto faticose, noi avevamo di fronte talmente tanto materiale
che si rischiava anche di perdersi, il problema era di riuscire
a condensare tutto nello spazio di 90 minuti... Una prima versione
comprendeva anche alcuni episodi della sua infanzia, Horst si
è commosso nel leggere le varie versioni, che sempre
gli mandavo anche per provocarlo, per indurlo a farmi delle
osservazioni... tutto questo è servito per arrivare alla
stesura chiamiamola così finale, in cui sacrificando
moltissimo del materiale che avevamo in visione la scelta finale
si è orientata verso uno schema alla Un pomeriggio
di un giorno da cani, film straordinario con Al Pacino...
Nel film secondo me manca un po’ l’umanità degli
altri carcerati, cioè tranne la figura di Calimero non
affiorano altre storie, di conflitti ma anche di vera solidarietà,
mentre nel libro si legge di questa solidarietà che c’era
anche fra detenuti comuni e che sfocerà nelle rivolte...
Sì è vero, ma è stato purtroppo necessario
il sacrificio di tanto di quel materiale, perché nel
momento in cui abbiamo articolato il racconto su quella giornata
in cui Horst si chiuse in quella stanza coi due ostaggi, andando
su quella strada non c’era più modo, cioè il racconto
parte da quelle famose 8 e 15 del mattino e finisce alle 21
di sera... e tutta la giornata si trascorre dentro quella stanza,
mentre nel libro invece mentre si racconta di quella giornata,
apre tante finestre. Cinematograficamente non c’era proprio
la possibilità, ne sarebbe uscito un film di tre ore
e questo tu capisci era proprio impensabile.
Sul set di Ormai è fatta!
I carabinieri ci passano malino, mentre il direttore del
carcere sembra quasi un filosofo, uno un po’ fuori di testa,
invece secondo me le responsabilità sono comuni, poi
nel carcere l’hanno di nuovo massacrato nel ‘78.
Sì, anche questo è vero, certo. Ma il fatto è
questo... che nel libro di Horst un po’ tutti i personaggi sono
da mettere in discussione, per i loro atteggiamenti... abbiamo
cercato ovviamente una forma un pochino più romanzata,
avevamo la necessità come sempre di dire vabbé
non facciamo il solito discorso anche se poi era la verità,
che c’è soltanto un buono e tutti gli altri sono cattivi...
fra una massa di gente come tutti quelli che si sono accerchiati
intorno a lui quel giorno, dove Horst stesso racconta addirittura
il delirio della folla, che era a favore dei tutori dell’ordine...
abbiamo cercato invece di toccare il tema con un po’ di fantasia
e con falso buonismo, spostando anche nel potere la diatriba
di dire... di mettere anche lì il buono e il cattivo,
facendo vedere i contrasti che c’erano fra di loro, lasciando
ad Horst l’unico ruolo di buono, in qualche modo di vittima
designata... e lì abbiamo addolcito qualche personaggio,
abbiamo preso anche qualche licenza in realtà, mentre
per come Horst la racconta è molto più cruda.
Il cinema ha spesso attinto dalle storie d’Anarchia, ti
cito alcuni titoli che conoscerai sicuramente Sacco e Vanzetti,
La Banda Bonnot, La Colonia Cecilia (questo un
po’ meno conosciuto ma piuttosto bello), Terra e Libertà,
ecc. ma Ormai è fatta! come mi hai detto si ispira
a Un pomeriggio di un giorno da cani, con un finale alla
Sam Peckimpah... è la fine dei grandi ideali, quelli
che propugnava l’anarchico Libero ?
No, assolutamente. Tu mi stai citando dei titoli che mi hanno
particolarmente emozionato, in modo particolare Terra e Libertà,
sono dei film di grandi contenuti di grandi valori, e il problema
sì, purtroppo può esserci questo rischio che non
è della fine di un certo tipo di ideali, che a me adesso
ti giuro che mi sfuggono certe cose non è che mi identifico,
sto attraversando un periodo più personale che generale...
c’è una grande confusione, vedo molta confusione intorno,
e sto perdendo gli orientamenti sto perdendo i confini di determinate
cose... dei titoli che tu hai citato il primo Sacco e Vanzetti
è un film che è stato realizzato se vuoi di maniera,
come potrebbe sembrare Ormai è fatta!, ma mentre
in quel momento c’era più coscienza sociale, molto più
sensibile più attenta a quel genere di cinema diciamo
impegnato, erano gli anni in cui c’erano i Rosi, i Petri, gli
autori che avevano un forte impegno sociale... oggi purtroppo
siamo in un appiattimento culturale che è preoccupante,
in cui gli argomenti rischiano addirittura di passare inosservati,
questa è la cosa che più mi angoscia, non so sei
hai notato ma siamo alla terza settimana di una guerra terrificante,
sconvolgente, e già si sta perdendo l’interesse... questa
è una cosa veramente pazzesca !
Cosa significa distribuire Ormai è fatta!
in un circuito saturo di porcherie commerciali ?
Significa un tentativo di scuotere, di verificare, di vedere,
semmai può esserci ancora un cosiddetto risveglio verso
determinate cose, sono le cosiddette sfide, io purtroppo ho
questa malattia... se facessi questo mestiere solo per un fatto
economico, certamente non avrei mai pensato di fare un film
come Ormai è fatta!
A Horst il magistrato di sorveglianza di Alessandria, dott.
Andrea Del Nevo, ha negato il permesso di assistere alla prima
del film. Eppure, su assicurazione del direttore del carcere
(addirittura scortato dalle guardie), c’erano sufficienti garanzie
perché non scappasse. Secondo te, perché tutto
questo accanimento ?
Che ti devo dire? Le regole? Vogliamo chiamarle tali? Io non
conosco nemmeno questo magistrato, non so nemmeno che faccia
abbia... forse temendo che scappasse come nel ‘90 ha avuto paura
di farci brutte figure, non ha capito la ricerca disperata di
libertà che Horst Fantazzini sta rincorrendo da trent’anni,
avendo comunque peraltro già scontato trent’anni senza
essersi macchiato di delitti... se queste sono le regole mi
fanno paura... io ritengo meraviglioso il biglietto che Horst
ha mandato al Cinema Romano di Torino, dove abbiamo fatto la
presentazione del film, e che io ho letto al pubblico e c’è
stato un applauso favoloso... è venuto giù il
cinema ! Era un biglietto scritto con la solita eleganza di
Horst, senza particolare polemica gratuita, stizzita, anzi,
ma non un messaggio di rassegnazione... dedicando questo pensiero
(indiano) meraviglioso al magistrato: cioè che prima
di giudicare un uomo, devi avere almeno percorso 5.000 miglia
con i suoi mocassini.
***
Al momento di "chiudere" questo scritto, forse
un po’ irritato da una petizione in corso - ma con un tono cordiale
- mi telefona il direttore del carcere, dott. Pietro Buffa,
che pure riconoscendo a Horst "un comportamento assolutamente
ineccepibile" giustamente (ma dal suo punto di vista) non
vuole mettersi in contrasto con il dott. Del Nevo, per darmi
assicurazione che il film Horst lo vedrà dentro il carcere,
su videocassetta a cura della Hera International Film.
***
Il Comitato per la Liberazione di Horst Fantazzini dopo
la sua prima uscita "ufficiale" il 26 aprile in un
cinema di Alessandria ("ringraziamo le forze dell’ordine
accorse in massa a vederci", come dice John Belushi) ha
in cantiere una serie di iniziative itineranti per sensibilizzare
l’opinione pubblica, coinvolgendo nel nostro progetto le persone
che hanno lavorato attorno al film e altre, soprattutto gente
di spettacolo e artiste artisti (Pablo Echaurren disegna il
logo del comitato). Ma appoggerà Horst anche da un punto
di vista legale, a tal proposito il suo avvocato Luca Petrucci
ci ha garantito la sua presenza. Chi volesse mettersi in contatto
con noi per richiedere la rassegna stampa, per regalarci la
sua presenza, per organizzare delle cene di sottoscrizione e
per un sostegno economico: 055 - 411237.
Patrizia "Pralina" Diamante
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