Mary Wollstonecraft Shelley pubblicò
Frankenstein o il Prometeo moderno nel 1818, senza firmarlo,
legandolo invece al proprio nome soltanto nel 1831, in una edizione
rinnovata.
Il romanzo narra le angosciose vicissitudini di Victor Frankenstein,
il quale affascinato dalle opere di Cornelio Agrippa, Alberto
Magno e Paracelso - tutto preso dalla filosofia naturale e dalle
novità della chimica - decide di costruire un essere
perfetto mettendo assieme organo su organo quel po’ di frattaglie
che riesce a trafugare nei cimiteri. Come è noto, la
creatura che ne scaturisce non troverà motivo alcuno
per gioire di esser stata creata e al dottor Frankenstein mal
gliene incoglierà. Al punto che, nella fortunata reiterazione
della sua vicenda - sotto forma di film, fumetti e mercanzia
varia -, perderà perfino il proprio nome che, nella memoria
popolare, gli verrà espropriato ed assegnato al mostro
da lui imbastito.
Questa passione per trasformarci tutti in piccoli chimici
della vita altrui ci è rimasta addosso e se ne vedono
i segni in certe nostre espressioni pubbliche un po’ speciali.
Come quando ci decidiamo al grande passo di comporre un annuncio
economico avente per oggetto la virtuale persona cara che andiamo
cercando.
Un annuncio economico funziona sempre da selettore. Basta
una parola per indurre qualcuno a rispondere e qualcun altro
a lasciar perdere. Comporlo, dunque, è un’arte delicata.
Quello su cui voglio soffermarmi io - non in quanto eventuale
destinatario, ma in quanto analista dell’animo umano e delle
patologie indottegli dal sociale truccato in cui siamo costretti
a vivere - è strutturato secondo quattro fasi narrative
ben distinte - come i quattro capitoletti di un romanzo ben
congegnato secondo quel modello di scatole cinesi che ben caratterizza,
peraltro, anche il Frankenstein.
L’incipit è riservato all’apoftegma filosofico
che, come un’accetta taglia in due tronconi, presumibilmente
disuguali, l’umanità intera cui l’annuncio è destinato.
Vorrebbe agire al livello dei massimi sistemi e dice: "Il
limite per me è l’esatto contrario di quello che pensa
la massa: accontentarsi". È dunque con una premessa
consimile che può passare alla seconda fase, che è
quella fase di necessità esposta al doppio taglio della
categorizzazione: da un lato, caratterizza chi fa l’annuncio
e, dall’altro, seleziona ulteriormente il suo destinatario tramite
le parole stesse usate per la caratterizzazione di chi fa l’annuncio:
"Pretenzioso 35enne desidera conoscere ragazza". I
fori del setaccio si fanno sempre più piccoli: buona
parte dell’umanità può già smettere di
leggere - non è per lei.
Chi resiste, invece, è colei che si considera "ragazza",
che crede di poter essere interessata a conoscere un trentacinquenne
pretenzioso che, ritenendosi molto diverso dalla gran parte
degli altri esseri umani, non si "accontenta". Resiste
e passa alla terza fase, quella dei caratteri - fisici, psichici
e mentali - che, in un ordine che non si può considerare
mai del tutto casuale, sono: "intelligente, realmente carina,
intuitiva, sexy, giovane, non problematica, elegante, maliziosa,
sportiva, simpatica, cerebrale, seria ed al contempo un po’
pazza, mente aperta, consapevole e ricettiva". Eccetto
le metaforizzazioni affettuose degli insulti, c’è praticamente
l’intero campionario della positività moderna riversato
senza preoccuparsi gran che delle ridondanze - perché
che una "ragazza" non sia "giovane", o che
una "sexy" non sia affatto almeno "carina",
è difficile - né della coerenza - perché
avere intelligenza, cervello, mente aperta e consapevolezza
e non esser problematica è ancora più difficile:
la scema, lobotomizzata, ottusa e dimentica di sé può
essere "sexy", come nei film degli anni Cinquanta,
ma è difficile che si faccia dei problemi.
Chi ha superato questo selettivissimo esame e chi si sente,
dunque, in possesso di tutti questi requisiti può coraggiosamente
passare all’ultima fase - quella in cui i caratteri vengono
annessi ai comportamenti.
Il pretenzioso trentacinquenne cerca, infatti, una "amante
della cultura, fine settimana in divertente relax, gustosi pranzetti,
mercatini di provincia, librerie, cinema d’Essai (con
la E maiuscola), negozi di dischi, calze velate, mostre di pittura,
musica live, scarpe di foggia varia, buon vino, corrispondenza,
luci crepuscolari, pizza di forno a legna" e, infine, "multimedialità".
Mentre il povero dr. Frankenstein, insomma, si accontentava
dei pezzi fisici che passava il convento, qui il mostro è
ricavato da un abile montaggio di elementi mentali, psichici
e fisici che, più che da cadaveri vari dissepolti frettolosamente
nei cimiteri, provengono dagli scarti metabolici della digestione
sociale delle ideologie.
Riceverà molte risposte? Due, forse, sarebbero già
troppe per le sue pretese selettive, ma, presumibilmente sì,
ne riceverà, perché le parole come contrassegni
di identificazione, come si sa, valgono pochino - meno dei fatti.
Lui stesso, tuttavia, dovrà accoglierle con qualche scetticismo
e, alla fine, ne sarà scontento. Prima o poi si renderà
conto di un piccolo particolare che attualmente sembra sfuggirgli:
che l’insieme dei caratteri da lui descritti - ammesso e non
concesso che stiano assieme - implica anche, fra i comportamenti,
quello di farsi le proprie conoscenze da sé - magari
in libreria, o ad un mercatino di provincia - e non rispondere
agli annunci economici di quel tipo. E di leggerli solamente
per sorriderne.
Felice Accame
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