La Rosa de foc
A colloquio con la ricercatrice
storica Dolors Marin sulle radici anarchiche di Barcellona.
Abbiamo incontrato Dolors Marin, ricercatrice
storica attiva nel movimento libertario di Barcellona. Il suo
lavoro più corposo è la tesi dottorale Dalla
libertà di conoscere alla conoscenza della libertà:
l’acquisizione della cultura nella tradizione libertaria catalana
durante la dittatura di Primo de Rivera e la Seconda Repubblica
spagnola.
Perché Barcellona veniva chiamata la "Rosa de
foc"?
La chiamavano così i rivoluzionari di tutta Europa perché
aveva fama di essere città anarchica: alla fine del secolo
scorso ci furono una serie notevole di attentati anarchici,
poi negli anni ‘20 gli scontri armati fra le organizzazioni
padronali ed il sindacato della CNT. Ha sempre avuto tradizione
di città portuale, rivoluzionaria, con idee innovatrici,
soprattutto per il modo di essere della sua gente.
Come nacque e si sviluppò il movimento operaio e
l’organizzazione sindacale?
Una delle prime città a subire un processo di industrializzazione
nello stato spagnolo, la qual cosa dà luogo a germi di
malcontento e quindi ai primi tentativi di organizzazione operaia.
Già nel 1834 gli operai avevano bruciato i conventi della
città, si era diffuso l’anticlericalismo, si erano diffusi
la massoneria ed il desiderio di emancipazione e di libertà.
Grandi settori del proletariato catalano erano partecipi delle
idee del Socialismo utopico. Nel quartiere della Barceloneta,
ad esempio, c’era un nucleo di seguaci di Cabet, che poi andranno
in America a fondare la loro Icaria, ed era gente di ogni tipo:
medici, bottai, piccoli artigiani, pescatori. Da qui si sviluppò
successivamente il sindacalismo organizzato. Quando arrivano
Fanelli ed i delegati della I Internazionale trovano un terreno
fertile per le loro idee. Le prime riunioni degli anarchici
sono da subito molto partecipate, anche se non ci sarà
una forte organizzazione fino all’avvento di Solidaridad
Obrera, poi Confederaciòn Nacional del Trabajo
(CNT).
Barcellona 1936
Come nacque e si organizzò la rete di scuole razionaliste
e di atenei libertari?
Uno sviluppo molto lento. Ferrer y Guardia apre la sua prima
scuola a Barcellona nel 1901. Viene dalla Francia con l’idea
di creare nuove scuole per i bambini visto che lo stato non
si era mai preoccupato dell’istruzione obbligatoria: i figli
della classe proletaria non vanno a scuola o ci vanno per pochissimi
anni, le poche scuole che esistono sono in mano alla classe
religiosa del paese. Pensano di creare una scuola per i figli
dei lavoratori, dove bambini e bambine stiano insieme, una scuola
all’aria aperta dove si faccia ginnastica, ma soprattutto, ed
è la cosa più dirompente, una scuola laica, dove
si insegna il darwinismo e non i miti della creazione. Sorgono
alcune scuole razionaliste negli anni ‘10 ma si diffonderanno
soprattutto assieme allo sviluppo della CNT. Quando c’era un
sindacato che poteva pagare un maestro razionalista si prendeva
in affitto un locale dove alla mattina andavano ad istruirsi
i figli dei lavoratori e la sera i lavoratori stessi. Queste
scuole duravano fintantoché c’era il denaro del sindacato,
o fino a che non venivano proibite. In quasi tutti i paesi della
Catalogna c’era una scuola razionalista: è stato come
creare nidi di anarchici un po’ ovunque. Un sacco di gente ricorda
ancor oggi che i suoi genitori o i suoi nonni erano stati in
queste scuole. A Barcellona, durante la dittatura di Primo de
Rivera (1923-1930) possiamo dire che ce n’era una per ogni quartiere,
anche durante la clandestinità. In genere la scuola non
si trovava nello stesso edificio dove si trovava il sindacato,
ma normalmente, una volta affittato il locale, era la gente
dei sindacati che provvedeva a ristrutturarli.
L’Ateneo era una struttura diversa. Si trattava di un luogo
in cui la gente andava per discutere, per incontrarsi. Normalmente
l’Ateneo era aperto di sera. Molti nascono nel periodo finale
della dittatura di Primo de Rivera, nel 1926-27, ed il loro
numero aumenta durante la Repubblica, quando diventano legali.
Alcuni si chiamano Atenei libertari, altri Atenei razionalisti,
Atenei eclettici, perché a volte non volevano essere
associati direttamente al sindacato in quanto erano molto più
plurali: fori di discussione e di incontro, soprattutto fra
giovani. Non c’erano solo atenei anarchici ma anche di altre
formazioni politiche, come le Case del popolo socialiste.
Possiamo dire che all’incirca in ogni quartiere ci fosse
quindi una scuola razionalista, un ateneo ed una sede sindacale...
Sì, anche se sedi sindacali non ce ne saranno fino al
1931, quando verrà legalizzata la CNT. Anche le scuole
e gli atenei erano comunque sempre sul filo dell’illegalità.
L’importanza degli Atenei è il loro essere all’avanguardia
a livello culturale: si fanno dibattiti sul controllo delle
nascite, ci sono proiezioni cinematografiche di reportage etnografici
su altri popoli, si svolgono dibattiti di tipo scientifico,
sul vegetarianismo, corsi di francese, di esperanto, di disegno,
ed hanno molto successo: sono innovatori, rivoluzionari. È
qualcosa che non ha niente a che vedere con la cultura borghese
che in quest’epoca sta "investendo" in valori molto
diversi. Una delle cose più importanti è vedere
che questa classe politica in incubazione, che sarà poi
quella che scenderà in strada il 19 luglio 1936, è
una classe politica che esce dal proletariato e con una mentalità
molto tollerante in un’Europa che sta incamminandosi verso i
fascismi. Sono persone delicate, apprendono dalla diversità
perché la sostengono, sono "armonici", molto
simili in questo agli uomini del socialismo utopista di Fourier.
Incontriamo gruppi anarchici che si dedicano al teatro di Ibsen,
al naturismo, al nudismo, ma tutti agiscono assieme quando c’è
qualcosa che li minaccia.
Barcellona 1936
Questo processo di autorganizzazione popolare ha tanto successo
anche perché va a colmare un vuoto di iniziativa delle
istituzioni?
Sì, loro sanno che stanno occupando questo spazio. Sostengono
un processo di autoformazione: dicono che solo conoscendo te
stesso, formandoti, puoi essere critico con chi, come lo stato,
non ti sta dando niente. Penso che questo processo sia ciò
che darà loro la forza il 19 luglio. C’è addirittura
il progetto di creare un’università popolare, la "Federazione
di coscienze libere".
Uno di loro mi disse: "Quando ci mettevamo insieme
in tre anarchici facevamo una rivista": hanno una vera
passione per la parola scritta, che è ciò che
era stato negato loro da sempre.
Nel 1931 si sviluppa un grande sciopero degli affitti: come
viene organizzato?
Il problema che attanagliava Barcellona come anche altre città
industriali era la speculazione sui terreni. La gente vive molto
male, in case piccole: per la maggior parte si tratta di immigrati
che non hanno potere acquisitivo per pagare alti affitti o per
accedere all’acquisto della proprietà, quindi la speculazione
cresce. Sin dai primi congressi anarcosindacalisti si discute
del diritto alla casa, e ci si comincia ad organizzare partendo
dal Sindacato della costruzione della CNT. Vengono indetti scioperi
degli affitti e con l’azione diretta si cerca di impedire che
la gente venga sfrattata dalle case, oppure si aiuta la gente
a rioccupare le case da cui viene sgomberata. Durante la guerra
civile in alcuni municipi verrà stabilito l’affitto unico
per tutti e la requisizione delle case di proprietari che ne
abbiano più di due o tre.
Quali sono le trasformazioni urbane della Barcellona del
1936?
Già da parecchi anni si era venuta sviluppando una sorta
di "città anarchica" all’interno della stessa
città. Una struttura di gruppi di affinità anarchici
che sono attivi in ogni quartiere, una struttura sindacale,
scuole, atenei, luoghi di riunione come anche i bar o i teatri.
Nel momento del golpe di Franco la gente scende spontaneamente
in strada; una spontaneità che non è però
incosciente, visto che tutta questa gente scende in strada per
occupare le caserme ritrovandosi e partendo dalle proprie scuole
e dai propri atenei. Le persone erano già abituate ad
agire: i periodi di clandestinità erano più lunghi
di quelli di legalità, quindi sapevano tutti ciò
che dovevano fare, ed in più stavano difendendo qualcosa
per cui avevano lottato per anni. Sono organizzati, ed è
un intero tessuto sociale che li appoggia mentre lottano per
difenderlo. Quasi senza armi sconfiggono un esercito organizzato,
uomini e donne insieme. Una delle prime cose che si fanno è
liberare i prigionieri dalle carceri e cominciare ad organizzare
una città rivoluzionaria. Nei piccoli municipi di tutta
la cintura esterna di Barcellona i libertari arrivano al potere
reale, a volte senza volerlo, ed è lì che vedono
la possibilità di trasformarli in "municipi anarchici".
Promuovono la scolarizzazione, stabiliscono il salario unico,
promuovono una campagna sulla sanità: vengono requisite
le case dei ricchi e vi si installano cliniche, viene promossa
la legge sull’aborto. Anche se è una città in
guerra, la stanno trasformando per tutti i cittadini. Poi ci
sono le collettivizzazioni: i padroni erano fuggiti dalla città
oppure erano in vacanza, ed è quindi la popolazione che
si fa carico direttamente della gestione delle fabbriche. Alcune
fabbriche vengono convertite per la produzione di guerra. I
grandi hotel e ristoranti come il Ritz vengono trasformati in
mense popolari, e mense popolari si trovano in tutti i quartieri,
anche per fare fronte al problema degli sfollati. Vengono promosse
transazioni con cooperative o collettività agrarie in
cui si scambiano prodotti della città con i frutti della
campagna. Ci sono addirittura luoghi dove viene abolito il denaro.
Si modifica la toponomastica. Come spiega bene Orwell, tutti
gli atteggiamenti servili risultano aboliti e le persone si
dirigono le une alle altre come compagno.
Un fattore importante di cui non si parla spesso è
che con le collettivizzazioni non si sta inventando niente di
nuovo: era dall’inizio del secolo che gli anarchici avevano
tentato di creare cooperative. Quando decidono di gestire direttamente
le fabbriche, alcuni di loro hanno già un’esperienza
in questo senso, in seguito ai processi di autoformazione non
erano solo operai manuali, ma nelle imprese c’erano anche quadri
intermedi libertari, ed è quindi più semplice
collettivizzare queste fabbriche.
Dal 19 luglio, con la scomparsa del controllo municipale,
è tutto un fiorire di iniziative di questo tipo.
Barcellona 1936
Il congresso di Saragozza del maggio 1936 prospetta l’organizzazione
della società postrivoluzionaria come federazione di
municipi liberi. C’era un idea su come doveva essere il municipio
libero nei quartieri di città come Barcellona?
No: le collettivizzazioni si sviluppano spontaneamente senza
controllo. La stessa organizzazione anarchica si è atomizzata
molto: alcuni sono andati al fronte... Credo che non si siano
posti realmente il problema di cosa avrebbe potuto succedere
in grandi città come Barcellona, che rimane comunque
una specie di eccezione: dove realmente funziona bene il comunismo
libertario è nei paesi, nelle piccole località,
dove la gente si conosce. La città è più
impersonale.
In tutto ciò qual è stato il ruolo delle donne?
La donna svolge da sempre un ruolo importante nel movimento
libertario. Le donne, anche se non facevano direttamente parte
dei gruppi di affinità, hanno sempre appoggiato i propri
compagni nelle lotte, e a volte sono le grandi dimenticate,
ingiustamente, da parte dello stesso movimento. Il movimento
libertario in quell’epoca era la realtà che più
agiva a favore della donna, soprattutto per quanto riguarda
il tema della sessualità: si preoccupò come nessun
altro movimento proletario del controllo della natalità,
della conoscenza del proprio corpo, per il diritto della donna
alla parità rispetto all’uomo. Per le donne l’attività
clandestina è più difficile - ma ci sono sindacati,
come quello tessile, in cui quasi tutte sono donne - quindi
sono più attive nelle scuole razionaliste, come maestre
o alunne, e soprattutto negli atenei. Vi entrano spesso per
mano degli uomini, in quanto sorelle o madri di militanti, ma
quando entrano prendono parte attivamente alla vita degli atenei.
Negli anni ‘30 le vedremo già più emancipate:
parlano in pubblico, scrivono... il movimento libertario le
lascia scrivere e loro si azzardano a pubblicare nelle riviste
libertarie: questo è molto importante perché fino
ad allora nessuna poteva pubblicare. Donne che scrivono poesia
saranno a fianco del movimento libertario proprio perché
è un canale per poter pubblicare ed esprimersi liberamente.
Le donne poi vanno al fronte, e questo dimostra realmente
che si sentivano a loro agio, che non c’era differenza di ruoli
fra uomini e donne.
Barcellona 1936
Puoi dirmi qualcosa sui movimenti urbani sotto il franchismo?
Dopo il ‘39 mancava la metà della popolazione, che è
ormai morta, in esilio o deve subire il carcere e la repressione
franchista, durissima. Nonostante ciò la gente continua
a resistere: cadono molti comitati clandestini della CNT che
tentavano di riorganizzarsi. Questo perché esisteva un
substrato libertario notevole: il movimento libertario si era
radicato molto profondamente in tutta la cintura industriale
di Barcellona. Sotto il franchismo tutti hanno un genitore o
un nonno anarchico, e anche gente che poi sarà attiva
nelle Comisiones Obreras mi ha raccontato che i primi
libri che legge gli vengono prestati da vecchi anarchici che
hanno ancora enormi biblioteche conservate in appartamenti dove
la polizia non era mai arrivata. Una cosa importante fu la lunga
lotta del maquis: "Quico" Sabaté, "Caracremada"...
una lotta dura e solitaria che per molti anni, fino al 1963,
fu un po’ la speranza della gente che stava qui, un po’ come
i "banditi gentiluomini". Erano aiutati, la gente
di "dentro" collaborava con loro fino a che non cadevano
assassinati dalla polizia, che faticò molto per eliminarli.
Non a caso questi guerriglieri agivano proprio a Barcellona.
La CNT ha comunque una grossa difficoltà a riorganizzarsi:
i militanti sono sparsi per il mondo, anni di contrasti fra
la CNT dell’esilio e quella interna non permettono che il movimento
libertario torni ad essere ciò che era stato, ed inoltre
sono cambiate parecchio anche le condizioni sociali.
Negli anni della transizione, gli anni ‘70, ci sono molti
giovani che si avvicinano al movimento libertario: si tenta
di creare una scuola diversa da quella franchista, dove tra
l’altro insegnare il catalano allora proibito; c’è inoltre
l’idea di creare nuovamente atenei in tutti i quartieri. La
maggior parte di questa gente finirà per perdere fiducia,
anche a causa della repressione: alcuni entrano in formazioni
politiche più strutturate credendo che stando all’interno
del potere lo possano sovvertire, mentre in realtà si
integrano. I nuovi politici promuovono un processo di istituzionalizzazione
e si verifica quindi un forte calo di partecipazione attiva.
C’è stato comunque un lungo periodo in cui la realtà
degli atenei funzionò magnificamente.
All’inizio degli anni ‘70 si formano le asociaciones
de vecinos, che sono presenti soprattutto nei quartieri
popolari con forte immigrazione, quelli periferici. Qui però
l’anarchismo non si radicò: non abbiamo saputo in quel
momento lavorare realmente nelle associazioni di vecinos,
che oggi vanno a destra. Il movimento vecinal si sviluppò
anche grazie a vecchi anarchici, che aiutarono per esempio a
redigere gli statuti. Dopo il franchismo c’era bisogno di gente
che sapesse organizzare rivendicazioni, e qui sì che
ebbero un ruolo i vecchi anarchici: erano persone che avevano
sempre lavorato con gli avvocati e avevano conoscenze per le
lotte. Le associazioni di vecinos prendevano in affitto
locali dove la gente si riuniva. Mancavano scuole, zone verdi,
fognature, e promuovevano lotte per i servizi, organizzavano
campagne di alfabetizzazione per gli adulti, mobilitazioni per
l’amnistia ai prigionieri politici od in favore dei primi obiettori
di coscienza, ed infine l’appoggio alle lotte operaie nelle
grandi fabbriche come la SEAT, con grandi mobilitazioni di piazza.
A quel tempo, dal ‘73 al ‘78, sono più importanti le
associazioni di vecinos che gli stessi partiti. C’erano
anche occupazioni di case popolari da parte di immigrati poveri
che erano difese dal resto dei vecinos: alcune sono durate
anni.
Esiste una linea che unisce questa "città nella
città" dalla Rosa de foc fino ad oggi?
Penso di sì, perché esiste una memoria storica
della città rivoluzionaria: generalmente dove c’è
stata una barricata nel 1835 ce n’è stata un’altra nel
1909, un’altra nel ‘32/’33 e un’altra nel 1936. Penso che esista
una continuità, soprattutto di un certo spirito antiautoritario
nelle classi lavoratrici. La struttura dei quartieri fa pensare
ad una città non centralizzata: Barcellona è formata
da piccoli municipi che nei secoli XIV e XV erano indipendenti.
Ancora oggi ci sono i Comuni di Gracia, Hostafrancs... Fino
al 1927 ci furono annessioni di paesi da parte di Barcellona,
annessioni che incontrarono tra l’altro molte resistenze: c’erano
manifestazioni di vecinos che non volevano fare parte
della "grande città". Non è mai stata
una città con un centro visibile: non c’è mai
stata un’aristocrazia o una corte, ma sono sempre state al potere
classi liberali ed inoltre con la presenza di un movimento operaio
radicale, che quasi sempre proveniva dall’immigrazione. Un movimento
operaio "mal digerito", non immediatamente assimilato
nella struttura della città: si tratta di una dialettica
continua. Gli okupas sono l’ultima espressione di tutto
ciò: poche città in Europa hanno tante occupazioni
come Barcellona. La differenza è che oggi le occupazioni
sono di giovani e non di famiglie. Gli okupas si portano
dentro la stessa idea antiautoritaria: sono contrari agli spazi
che la città offre loro attraverso il Comune perché
vogliono crearsi i propri. Come gli anarchici di inizio secolo
stanno elaborando un discorso proprio, critico e autoformato.
L’anarchismo non è un’opzione politica ma una maniera
di vivere antiautoritaria che comprende ogni aspetto della vita.
Gli okupas di oggi stanno facendo lo stesso percorso
di vita, sono autodidatti a modo loro ma come nei primi anni
del secolo: è una ricerca costante per essere se stessi.
In più questi okupas sono accolti con simpatia
dalla gente di Barcellona o dalle loro stesse famiglie, proprio
perché esiste questo passato antiautoritario.
a cura di Meritxell Bacardit
e Andrea Dilemmi
1. La "Rosa di fuoco"
2. Edilizia
3. Sindacato comunista
4. Associazioni di "vicini", che riuniscono gli abitanti
di una via o di un quartiere
Barcellona 1936
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