Un virus si diffonde per la città
Intervista a quattro giovani, attivi nel
movimento delle occupazioni.
I compagni che abbiamo intervistato
sono da tempo attivi nel movimento delle occupazioni di Barcellona.
Le loro risposte, dateci in tempi e spazi diversi, vanno insieme
a formare un’intervista virtualmente collettiva. Ci dispiace
di non aver potuto inserire, per motivi di tempo, anche delle
voci femminili.
Come descriveresti il movimento Okupa ad un osservatore
esterno che non conosca nulla di Barcellona?
MARC: Più che il movimento Okupa posso descrivere
le occupazioni in sé: si tratta di spazi abbandonati
alla speculazione che vengono "presi" collettivamente
affinché funzionino in maniera assembleare, autogestita,
libera da condizionamenti, in modo diverso da ciò che
ci trasmette normalmente la società in cui viviamo: l’atmosfera
che ci circonda fa sembrare impossibile l’autorganizzarsi per
progetti collettivi. Una delle caratteristiche è sicuramente
l’eterogeneità, per questo mi è difficile parlare
di movimento: non esiste un manuale del "come si devono
fare le cose in tutte le occupazioni".
JESUS: C’è un po’ di tutto: case occupate come abitazione,
centri sociali, altre occupazioni che hanno solo la funzione
di diffondere il messaggio, come le occupazioni nel centro di
edifici simbolici abbandonati, che riuniscono gente di tutti
i quartieri.
CARLOS: L’occupazione nasce a partire dalle necessità
di chi ha bisogno di un luogo non solo per viverci ma anche
per riunirsi con altre persone ed organizzare attività.
TXIMMI: Per prima cosa direi che non è un movimento
ma una rete di lotte. Un movimento deve avere come minimo un
obiettivo ed il movimento Okupa non ce l’ha, anche se
apparentemente sembra che sia la lotta per la casa. Il movimento
Okupa è la più forte rete di lotte della
sinistra radicale che esiste a Barcellona. Di quelle che si
inscrivono nei nuovi movimenti sociali, senza una militanza
intesa come sacrificio, senza una gerarchia: nessuna delle persone
che vi appartengono condivide il concetto di avanguardia rivoluzionaria,
si tratta di movimenti orizzontali. L’occupazione di case è
il nesso ed in più uno strumento di lotta perché
è lì dove più si è visto che si
può "far male" al Potere.
Quante case, Ateneos, Centri Sociali sono attualmente
occupate a Barcellona?
TXIMMI: Circa 200, per quello che riguarda le occupazioni politiche.
Ci sono molte più occupazioni "non politiche",
come quelle delle famiglie gitane. Uno studio informativo del
Comune parla di 100, ma io penso siano molte di più,
perché ci sono molte occupazioni non rivendicate pubblicamente
che possono essere considerate "politiche" in quanto
sono messe in atto da persone che potrebbero vivere in case
in affitto, lavorare, guadagnare. Sono occupazioni per motivi
ideologici più che per motivi pratici: una scelta di
vita. Chiaramente il Comune conta solo quelle che "mettono
la bandiera".
Come mai questo grande sviluppo delle occupazioni negli
ultimi due o tre anni?
TXIMMI: Possiamo dividere grossolanamente la sinistra radicale
a Barcellona in tre settori: comunismo, indipendentismo, anarchismo/libertarismo.
Negli anni ’80 il comunismo subisce un gran colpo con la
caduta del muro di Berlino, anche per quello che riguarda maoisti
e trotzkisti.
Gli indipendentisti subiscono un forte colpo nel 1992 quando
quel fascista di Garzón arresta più di quaranta
dei militanti più attivi per prevenire azioni durante
le Olimpiadi.
Il movimento libertario e autonomo ha due importanti centri
di aggregazione: il referendum contro la NATO dell’86 (che,
nonostante venga perso a livello statale, viene vinto in Catalogna),
da qui nasce un movimento antimilitarista molto forte; e poi
la solidarietà con l’America Latina, specialmente con
i Sandinisti ed il Nicaragua.
La solidarietà con i Sandinisti perde forza con la
loro incorporazione al potere. La lotta per la insumisión1
ha due componenti che la ostacolano: il fatto che si tratta
di un movimento di disobbedienza civile individuale - mentre
l’occupazione è un elemento di disobbedienza collettiva
- ed infine il fatto che lo stato utilizza per combatterlo sia
la repressione che l’integrazione. L’integrazione è rappresentata
dalla Legge sull’Obiezione di coscienza, che ha rotto il movimento
antimilitarista in due (ci sono obiettori di coscienza che accettano
il servizio civile sostitutivo mentre altri continuano la lotta
per l’insumisión), poi dal passaggio dalla giurisdizione
militare a quella civile, la semilibertà automatica,
ecc.
Il movimento Okupa, che in Catalogna parte nel 1984
con la prima occupazione nel quartiere di Gracia, è
solo una fra le lotte degli anni ’80, una lotta un po’ marginale.
Nel 1996 il Potere commette un errore molto grave: nel Nuovo
Codice Penale, che in teoria cerca di ricorrere alla via penale
come ultima ratio, include per la prima volta nella storia l’occupazione
come reato penale. Questo, a mio modo di vedere, è un
grande aiuto per il movimento Okupa: è come se
il Potere dicesse: "a partire da oggi in cui vi considero
delinquenti potete colpirmi sul serio". Da questo momento
inizia il boom delle occupazioni: da quando vengono criminalizzate.
Comincia con grandi sgomberi che hanno una forte ripercussione
mediatica, come quello del Cinema Princesa.
JESUS: Una serie di collettivi che stavano occupando case
nei quartieri hanno funzionato come punto di incontro per tutte
le altre persone che si sono messe in testa di occupare. Se
non ci fosse stata questa base, il solo boom mediatico, che
ha funto da detonatore, non sarebbe stato sufficiente.
CARLOS: é da tre o quattro anni che le occupazioni
sono uscite dalla formula chiusa, ghetto. Si è lavorato
molto per estenderle con lo slogan "Okupa tu també"2
e per farne non solo uno spazio per svilupparvi altre tematiche
ma una tematica in sé: occupare come primo atto di disobbedienza
rispetto al sistema, al conformismo, alla repressione del ’92.
Quali sono le principali attività che si sviluppano
spazi occupati?
TXIMMI: Aprire il bar e fare concerti; questo è anche
il principale problema. Si fanno comunque moltissime altre cose
e gli spazi sono serviti come punto di incontro e di conoscenza
reciproca, come rete: se oggi più o meno tutta la sinistra
radicale di Barcellona si conosce è grazie alle occupazioni,
alla condivisione di spazi comuni anche se sono solo il bar
o le feste. L’attività principale dei Centri sociali
occupati è in realtà esistere: è questo
ciò che fa male al Potere e che ha permesso la formazione
di nuovi collettivi, il tentativo di dare vita a reti di controinformazione,
il coordinamento di lotte settoriali. La cosa più importante
che mi viene in mente per il lavoro che ha significato è
stato il Secondo Incontro per l’Umanità e contro il Neoliberismo.
JESUS: Le attività sono le più varie e dipendono
sia dalle possibilità fisiche dello spazio che dalle
decisioni dell’assemblea: alla Lokeria prevalgono i laboratori,
ce n’è uno quasi ogni giorno; alla Hamsa ci sono
concerti tutti i fine settimana perché c’è un
capannone molto ampio; poi ci sono dibattiti... la continuità
e la frequenza varia a seconda dei centri.
CARLOS: La prima necessità di molti collettivi è
una sala per potersi riunire, soprattutto per i posti che desiderano
aprirsi e fare in modo che sempre nuova gente partecipi alle
attività. C’è il desiderio di socializzare le
conoscenze di ognuno in tutti i campi. Sono spazi in cui questo
scambio è possibile senza che ci sia qualcuno che insegni
ed altri che imparino.
Come vengono organizzate le attività e come si gestisce
lo spazio occupato?
TXIMMI: Ci sono molte differenze fra i centri sociali ma anche
elementi comuni, come l’assemblea, che definisce assolutamente
tutto ciò che abbia a che fare con il Centro stesso.
Il Centro di solito si riserva l’apertura del bar in alcuni
giorni e con il ricavato fa fronte alle spese per la manutenzione
mentre il resto dei giorni sono a disposizione per l’autogestione
di altri collettivi. I prezzi, come anche l’eventuale entrata
a pagamento per concerti, si decidono in assemblea. Normalmente
nessuno riceve un reddito dall’attività del Centro sociale,
tranne il caso di piccole attività autogestite come delle
mense popolari, oppure una cooperativa di service per
concerti, ma sotto il controllo dell’assemblea. Non conosco
alcun caso di gente che riceva dei soldi per stare al banco
del bar o all’entrata di un concerto: non se ne parla nemmeno
di fare dei Centri sociali una realtà commerciale. L’unica
eccezione riguarda le droghe: sono una forma di commercio che
prescinde dall’assemblea e che si giova della protezione del
Centro sociale in quanto luogo libero da polizia. Il fatto che
alcune persone guadagnino sulla droga è un problema che
si sta discutendo attualmente, perché nega l’autogestione.
è di assolutamente diverso dallo spendere delle ore di
lavoro per far da mangiare in una mensa: con le droghe è
pura intermediazione, non c’è del lavoro.
Esistono forme di coordinamento fra le occupazioni in città?
Le differenze costituiscono un arricchimento oppure un ostacolo
insormontabile?
TXIMMI: Esistono ovviamente spazi per il coordinamento, di
tipo informale: siccome ci conosciamo tutti, se oggi c’è
uno sgombero domani ci chiamiamo, se c’è un dibattito
in breve ti arriva la notizia, ecc. Poi, formalmente, esiste
la Asamblea de Okupas, ma non è uno spazio reale
per scambiarsi idee e dibattere ed alcuni non vi si sentono
a loro agio. L’Asamblea de Okupas è utile per
questioni concrete, è un coordinamento per dare risposte
rapide ed agili. Normalmente l’Asamblea riunisce più
o meno tutti i Centri sociali. Ha un andamento ciclico: ci sono
volte in cui si trovano molte persone ed altre in cui ci vanno
in pochi. Una delle cose più interessanti che ha partorito
il movimento sono l’Info Usurpa ed il Contrainfos3
: gli spazi di controinformazione sono entrati in rete,
stanno lavorando assieme, e sta funzionando alla perfezione,
i bollettini murali arrivano in ogni Centro sociale tutti i
Martedì. Ci sono molte differenze, e potenzialmente questo
rappresenta una bomba ad orologeria. Abbiamo la fortuna di trovarci
di fronte ad un potere imbecille e fintantoché ci colpirà
ci manterremo uniti. Le differenze non sono tanto in senso ideologico
ma soprattutto per quello che riguarda la forma di agire, e
questo si nota. Ve ne sono anche per quanto riguarda la stessa
concezione dell’occupazione: si va dai "postmoderni"
dell’Oficina 2004, ai "garantisti" della Lokeria,
agli anarchici e libertari di molte case di Gracia, a
gente che viene da tradizioni trotzkiste come nelle case di
Sants, a indipendentisti e comunisti nello stile Jarrai4
come le case della PUA5 , fino a gente che viene
dalla tradizione del movimento associativo di educazione non
formale, come nel caso di Can Kadena. Sono maniere diverse
di intendere le cose che vengono dalla formazione anteriore
degli occupanti. Queste differenze sono un fattore importantissimo
di arricchimento, a parte qualche eccezione.
CARLOS: La relazione di amicizia, di conoscenza reciproca
fra le varie persone dei centri sociali è molto forte
ed è questa la base del flusso di comunicazione fra le
case.
JESUS: Le differenze che esistono non sono differenze che
escludono, non creano incomunicabilità fra le persone
dei diversi centri o quartieri.
MARC: C’è abbastanza rispetto per le scelte di ognuno.
Che tipo di relazione esiste fra le occupazioni e la città?
CARLOS: È difficile rispondere perché le situazioni
variano molto. I nostri vicini, soprattutto quelli che abitano
accanto al Centro sociale, e fra di loro particolarmente gli
anziani, ci odiano per i concerti del fine settimana. Quelli
che vivono nelle strade vicine e che vedono tutte le attività
che facciamo pensano invece: "Ostia! Che gente in gamba".
MARC: La gente che più utilizza i Centri sociali
sono i giovani del quartiere, sia per la prossimità geografica
che per le relazioni reciproche che spesso esistevano anche
prima dell’occupazione. Per ciò che riguarda gli adulti
la relazione varia da quartiere a quartiere e spesso non supera
il saluto o lo scambio di poche parole.
TXIMMI: La relazione con la società funziona come
la teoria della "spirale del silenzio": l’occupazione
ha meno sostegno di ciò che crede la stessa società
ma, siccome sembra che di sostegno ve ne sia molto, sempre più
gente sostiene. Fintantoché un movimento crea maggiore
simpatia, continua a crearne di più; quando si trova
a crearne di meno, meno gente si azzarda ad esprimere in pubblico
che è a suo favore. L’occupazione, grazie ai mass-media,
dà la sensazione di avere un supporto praticamente unanime.
In realtà la gente che è contraria non si sta
esprimendo pubblicamente, per questo abbiamo un effetto di questo
tipo. Se lo pensiamo a freddo, è abbastanza difficile
che la gente appoggi l’occupazione in una società tradizionale
e conservatrice come la nostra in cui la famiglia è il
gruppo d’appoggio per eccellenza e la proprietà privata
è importantissima: qui solo il 15% delle case sono in
affitto ed il 75% di proprietà, mentre in Germania siamo
al 50%.
Altro discorso è quello dei vicini: normalmente coloro
che abitano vicino ad un’occupazione sono a favore (a parte
forse quelli più contigui, per il rumore). La gente ha
un’immagine preconcetta degli Okupas ma quando li vede
di persona spesso cambia di opinione e simpatizza con l’occupazione.
In diverse occasioni l’appoggio dei vicini è stato utile:
dal procurare cibo e mobili ai casi di sgomberi in cui la gente
esce sui balconi a gridare contro la polizia. Questa relazione
è frutto indubbiamente dello sforzo e del lavoro degli
stessi occupanti per convincere i vicini che "questi ragazzi
fanno qualcosa per il quartiere". La Hamsa l’estate
scorsa ha organizzato un "casale estivo per bambini"
con attività gratuite diurne per i bambini del quartiere
i cui genitori lavoravano durante l’estate; poi si fanno continue
denunce pubbliche sulla mancanza di piazze, fontane e spazi
verdi, ed infine c’è il tema scandaloso della speculazione
edilizia: 79.000 case vuote, la gente non ne può più
dei prezzi degli affitti, che negli ultimi anni - con il boom
speculativo dei giochi olimpici - sono saliti del 500%. A Sants
inoltre c’è una fanzine di quartiere ed un’Assemblea
dei giovani del quartiere, che va oltre i soli occupanti e tenta
di riunire tutti coloro che si muovono.
Ovviamente ci sono case di pies negros6
che hanno la gente assolutamente contro, ma anche quelle come
Kan Cadena, in cui il natale scorso hanno fatto marmellate
e sono andati a regalarle alla gente del mercato dove vanno
normalmente a "riciclare"7 .
Le Asociaciones de vecinos sono una cosa a parte.
C’è stata una trasformazione sostanziale di queste associazioni:
erano comuniste negli anni ’80, ma il Partito socialista e Iniciativa8
le hanno "ribaltate" sottraendo loro le persone più
attive, i dirigenti, che poi ora sono quelli che stanno governando.
La complicità di molte Asociaciones de vecinos con
la politica municipale ha fatto sì che molta gente se
ne sia andata, e adesso si stanno spostando a destra. Nelle
Asociaciones de vecinos attuali c’è molta reticenza
nei confronti del movimento Okupa. Altra cosa è
la "cupola" che è rimasta: la Federazione delle
Asociaciones de vecinos ha da sempre appoggiato il movimento
Okupa, anche se non vogliono discutere il problema di
fondo, l’autogestione, ma lo trattano dal punto di vista del
diritto alla casa ed al lavoro.
JESUS: La relazione con i mezzi di comunicazione varia molto
da spazio a spazio: c’è gente che ha deciso di giocare
ad utilizzarne la parte che risulta vantaggiosa, soprattutto
in situazioni di forte repressione, con qualche risultato, mentre
altre case se ne sono fregate completamente.
TXIMMI: Non siamo mai riusciti a separaci dai mezzi di comunicazione:
scrivono merda ma abbiamo bisogno che scrivano. Non considero
mai positivo aggredirli; purtroppo non siamo stati capaci di
creare un’opzione controinformativa sufficiente per non averne
bisogno. Ci sono buoni giornalisti che tentano di far passare
più che possono cose interessanti ma le redazioni li
censurano finendo per convertire il tutto in spettacolo o criminalizzazione
aperta; nel nostro paese, tranne Egin che è stato
chiuso d’autorità, non esiste nessun quotidiano "decente".
Qual è il rapporto fra le occupazioni e la struttura
della città?
TXIMMI: Sono molto concentrate, nonostante ciò che possa
apparire: l’area metropolitana è molto grande e ci sono
in realtà pochi quartieri che hanno occupazioni. La struttura
dei quartieri di Barcellona è di classe: ci sono quartieri
di servizi (il centro), quartieri di piccolo commercio come
Gracia o quartieri operai come Nou Barris. Non
ci sono occupazioni nei quartieri più ricchi. L’altra
questione che influisce è la tradizione associativa del
quartiere: Sants, San Andreu, Gracia ne
hanno di storicamente importanti e sono i tre nuclei più
ricchi di occupazioni. Ci sono eccezioni: Nou Barris
è un quartiere operaio con una forte tradizione associativa
ma non vi sono occupazioni. Qui probabilmente la politica municipale
per i giovani - secondo parametri istituzionali - è stata
particolarmente azzeccata. Per lungo tempo la maggior parte
delle occupazioni si sono concentrate a Gracia, perché
lì c’era il più forte movimento libertario. Dalle
altre parti è quando nasce un’occupazione, quando un
nucleo di gente decide di fare il primo passo, che il movimento
comincia ad estendersi in tutto il quartiere, con altre occupazioni
a catena. Per questo credo che vi sia molta concentrazione.
I giovani dei quartieri dove non ci sono occupazioni o hanno
la forza di farne una o preferiscono spostarsi in quartieri
dove ce ne sono già, per non rimanere isolati. Nel centro
non vi sono occupazioni non perché manchi movimento ma
perché il potere non le ha permesse: sono state tutte
sgomberate.
Pensi che la tradizione anarchica della città abbia
influito nella diffusione del movimento Okupa?
TXIMMI: Direi di sì, e non solo per quello. La Catalogna,
con Barcellona come punto di riferimento, è la zona di
tutto lo stato con maggior movimento associativo e cultura della
partecipazione, e credo che questo abbia qualcosa a che vedere
con il radicamento storico del movimento libertario. L’anarchismo
è un immaginario molto diffuso fra gli occupanti di case.
MARC: Credo non molto, almeno a livello personale. Conosco
poco la tradizione anarchica della città, ma questo non
vuol dire che ciò valga per tutti.
CARLOS: Io invece credo di sì, anche se non so se
si possa definire come tradizione anarchica. Certo, c’è
la tradizione anarchica del ’36, ma anche tutta la tradizione
libertaria degli anni ’70 e ’80. C’è stata anche l’influenza
dell’insumisión e del movimento zapatista, ma
tutto ciò più come riferimento per la resistenza,
la disobbedienza al sistema, più che come corpo di norme
che la gente debba seguire come fosse il manuale del buon anarchico.
L’esistenza dei Centri Sociali può fare molto male
al Potere ma può fargli anche molto piacere, se il luogo
che hai si converte nel ghetto dove trovarsi soddisfatti di
ciò che si ha...
TXIMMI: Io sono per la non depenalizzazione dell’occupazione,
perché finché ci sarà illegalità
dovremo per forza trasferire alla società il problema,
non potremo rimanere fra di noi con i nostri spazi piacevoli
e tranquilli: poiché ci sono aggressioni dobbiamo rispondere,
e queste aggressioni si diffondono a livello mediatico, quindi
la tua lotta viene conosciuta dal resto della società.
Vedo un pericolo nella legalizzazione, perché la cosa
importante è rompere il consenso. Se c’è un consenso
a favore dei Centri sociali occupati da parte del Potere e della
società in generale è cattivo segno: bisogna sempre
creare contraddizioni, ed il fatto di esistere è una
contraddizione. Nel momento in cui c’è uno sgombero,
oltre alla spettacolarità delle cariche della polizia
o al fatto di uscire per tre giorni in prima pagina, l’importante
è che poi un sacco di scuole cercano qualcuno per un
dibattito sull’occupazione, i centri civici lo stesso, nell’università
si vuol parlare di occupazione, perfino gli scout parlano di
occupazione... questo è il momento in cui c’è
la capacità da parte del movimento Okupa di trasferire
direttamente alla società i motivi fondamentali del perché
si sta lottando. È triste pensare che questo accade in
occasione degli sgomberi: ovviamente non sto facendo un’analisi
normativa: "come dovrebbe essere, come sarebbe bello che
fosse", ma una descrittiva.
Qual è la situazione della repressione?
MARC: Per il nuovo codice penale l’occupazione è un
reato che comporta dai 3 ai 6 mesi di carcere. Anche se i conti
non gli tornano, perché invece di diminuire c’è
stato un aumento delle occupazioni, gli sgomberi non si sono
fermati, anche se condanne clamorose finora non ce ne sono state.
CARLOS: Arrestare gente negli sgomberi provoca loro ancora
più problemi, perché ci sono altre manifestazioni.
Inoltre molti giudici stanno assolvendo occupanti di case perché
considerano incostituzionale questo articolo del codice penale.
A livello politico infine si parla molto di possibili patti,
sostenendo che questo è un problema sociale, che si rendono
conto di come sia difficile per i giovani accedere ad una casa,
oppure apprezzando l’occupazione in senso "educativo",
per le attività che vi si svolgono, come una controcultura
che bisogna permettere. é una maniera sottile di reprimere
assimilando.
MARC: Ad ogni modo quello che non smettono di fare è
criminalizzare tutto ciò che si muove attorno alle occupazioni:
anche se non le attaccano direttamente di fronte all’opinione
pubblica poi però arrestano la gente nelle manifestazioni
e sostengono, con il classico modulo, che sono bravi ragazzi
dietro cui si nascondono mani occulte che li dirigono con finalità
violente, magari evocando il fantasma dell’ETA.
CARLOS: Vi è poi una repressione quotidiana delle
persone che frequentano posti occupati: gli agenti in borghese
ci pedinano, ci minacciano, ci arrestano e abbiamo anche casi
di torture. Si sta mettendo in pratica il piano Policia 2000
secondo i parametri della "tolleranza zero" di New
York, aumentando la visibilità della polizia nelle strade.
Nel 2002 i Mossos d’Escuadra9 saranno definitivamente
incorporati nelle funzioni di polizia per la città di
Barcellona, senza che la Polizia nazionale se ne vada fino al
2005. Questo significa che per tre anni ci saranno qui 2 corpi
di polizia funzionanti a pieno ritmo con tutto ciò che
comporta, visto che in mezzo ci sarà, nel 2004, il famoso
Forum della cultura. Questo significherà repressione
per ogni tipo di dissidenza, non solo per l’occupazione.
Alcuni dossier delle istituzioni catalane e municipali sembrano
protendere, accanto alla repressione, per tentativi di dialogo
sul modello di altri stati europei. Come pensate reagirà
il movimento? Vi sono state molte iniziative degli stessi occupanti
per la "depenalizzazione dell’occupazione". Cosa significa
questa campagna?
CARLOS: Credo che ognuno reagirà a suo modo, sapendo
che ci sono dei limiti minimi sui quali siamo tutti d’accordo.
In realtà, nonostante le differenze, questi tentativi
di dialogo non stanno influendo sulla dinamica della lotta.
MARC: C’è stata ovviamente discussione sul tema e
si è coscienti del fatto che sia un pericolo da non sottovalutare
perché sono politiche già applicate in altri paesi
e che hanno "funzionato". Tutti hanno sotto gli occhi
il fatto che da una parte il Comune offre accordi mentre dall’altra
colpisce ed inoltre esiste una sfiducia istintiva e spontanea
rispetto alle istituzioni e alle loro proposte.
TXIMMI: Ho partecipato personalmente ad alcuni di questi
tentativi di dialogo: non credo al loro dialogo. Il Potere,
nello stato spagnolo, è assolutamente segmentato: i comuni
hanno molta poca capacità normativa e forza. Come interlocutori
non sono validi: non posso offrire niente al Comune perché
loro non hanno niente da offrirmi, non possono negoziare una
soluzione. Lo fanno per ripulirsi la faccia; solo in pochi casi
c’è volontà reale, ma incapacità pratica.
La strada della repressione la conoscono perfettamente perché
hanno represso per quaranta anni ma in quella dell’integrazione
non si sono sforzati molto. Se il Potere avesse più immaginazione
di quella che ha saremmo fottuti, perché credo che il
movimento Okupa arriverebbe ad un accordo, almeno in
parte, e quindi si dividerebbe: come in Italia, in Germania,
in Olanda, ovunque. Non siamo migliori.
CARLOS: Con la depenalizzazione non si vuole che l’occupazione
diventi legale, perché non vogliamo funzionare a partire
da ciò che loro considerano o meno legale. Si vuole che
non venga criminalizzato il fatto di occupare uno spazio abbandonato.
In questo senso trovo positiva la campagna: se avesse successo
vorrà dire che potremo fare un po’ ciò che vorremo.
MARC: Concorre anche a diffondere l’idea che è possibile
organizzarsi in modo diverso, e serve inoltre a spingere associazioni
e partiti che spendono tante buone parole sull’occupazione a
prendere posizioni concrete, visto che sono loro che hanno dato
l’assenso al nuovo codice penale.
TXIMMI: Il movimento Okupa non ha una testa pensante,
ne ha infinite, quindi per ogni persona la "depenalizzazione"
può avere un significato differente. C’è chi senza
analizzare bene la ripercussione che possa avere lancia la parola
d’ordine e la vuole ottenere. C’è chi la lancia come
pura demagogia per combattere la demagogia del Potere. Io sono
contrario perché equivale a perdere uno strumento.
Come commenteresti la definizione di occupazione come forma
di disobbedienza civile?
TXIMMI: L’occupazione è un movimento di disobbedienza
civile collettiva, e questo è molto importante. Una delle
cose più preoccupanti è che lo Stato sta oltrepassando
la sua frontiera e si sta convertendo in società civile,
oppure sta facendo sì che la società civile si
converta in Stato, soprattutto attraverso la creazione di consenso.
Il consenso viene generato adattando a sé il discorso
che porta avanti la società civile e facendo in modo
che la società civile assuma il discorso dello Stato.
Tutto ciò è molto pericoloso perché se
c’è consenso non c’è contraddizione, e se non
c’è contraddizione non c’è trasformazione. Condizione
preliminare per ogni lotta è il riuscire a rompere il
consenso, ma per rompere il consenso la prima cosa da fare è
tornare a separare lo Stato dalla società, marcare di
nuovo la linea. La disobbedienza civile in questo periodo ha
come obiettivo quello di colpire lo Stato per marcare questa
linea. Se non facciamo questo sforzo di separazione sarà
tutto molto più difficile perché non solo bisognerà
combattere il Potere, ma anche la società che si mette
dalla parte del Potere perché è già Potere.
Qui da noi i giochi olimpici riuscirono a far sì che
una gran parte della cittadinanza si identificasse con il Potere
per un progetto di città, ad esempio attraverso il volontariato
come forma di partecipazione democratica. La disobbedienza civile
nell’occupazione sta assolvendo alla funzione di rompere il
consenso. La legalizzazione delle case invece toglie quest’arma,
toglie la capacità di marcare la linea.
a cura di Meritxell Bacardit
e Andrea Dilemmi
1. Nonsottomissione: il rifiuto del servizio
militare e di quello civile
2. Occupa anche tu
3. Vedi scheda a lato
4. I gruppi giovanili del Movimento di liberazione nazionale
basco, in cui si trova l’ETA
5. Plataforma per la Unitat d’Acció, di ispirazione
catalanista rivoluzionaria
6. I nostri "punkabbestia"
7. Cioè a farsi dare i resti delle verdure non vendute:
una pratica comune e diffusa
8. Unione di partiti di sinistra, fra cui il PSUC, il partito
comunista.
9. Polizia autonoma catalana
SPAZI
OCCUPATI
(selezione)
CSOA
Les Naus
c/Alegre de dalt, 52
[Metro linea 4, Joanic]
Kasa
de la Muntanya
Av. Josep Muntanya, 33
[Metro linea 3, Lesseps]
www.biosys.net/okupa
Ex caserma, è l’occupazione più longeva
di Barcellona: 10 anni
CSO
El Palomar
Gran de Sant Andreu, 1
[Metro linea 1, Fabra i Puig]
Can
Mireia
c/Mireia, 4 (Trinitat V.)
[Metro linea 1, Trinitat Vella]
CSO
Can Vies
c/Jocs Florals, 42
[Metro linee 1/5, Plaça Sants]
...accolse con bengala e fuochi artificiali (alle 8.00
di mattina!) la colonna di oltre 1000 partecipanti al
II Incontro intercontinentale per l’umanità e contro
il neoliberismo dell’agosto 1998, provenienti da Madrid.
CSO
L’Hamsa
c/Miguel Bleach, 14 (Sants)
[Metro linea 1, Hostafrancs]
È attualmente la più grande occupazione
di Barcellona, e una delle più frequentate.
CSO
La Lokeria
Plaça Espanyola (L’Hospitalet)
[Metro linea 1, Torrasa]
Can
Pascual
Camì de Can Balasch
Les Planes (Collserola)
www.cascall.org/canpascual/
Singolare ed interessante esempio di occupazione rurale
sulle colline circostanti la metropoli, fornisce di pane
biologico parte degli altri spazi occupati della città.
CSOA
Oficina 2004
www.geocities.com/Baja/Canyon/1683/
Centro sociale in esilio virtuale dopo lo sgombero immediatamente
seguito all’occupazione, nel pieno centro cittadino, il
21 marzo ‘98. L’occupazione voleva essere una prima risposta
al prossimo "Forum mondiale della cultura Barcellona
2004", già ribattezzato il "Forumculo
2004".
SPAZI
AUTOGESTITI
El
Lokal
c/La Cera, 1/bis (Raval)
[Metro linea 3, Liceu]
Fornita libreria alternativa, sede di una distribuzione
autogestita e di collettivi fra cui il Col.lectiu de
solidaritat amb la rebel.liò zapatista.
Espai
Obert
c/Blasco de Garay, 2
[Metro linea 3, Poble Sec]
Sede di varie attività autogestite (Ateneu llibertari
Poble Sec, Col.lectiu La Canalla per attività
con bambini, Sociedad Gastronomica "Civet")
ed iniziative editoriali come l’agenda anarchica e la
rivista Polemica.
Ateneu
llibertari @ Gràcia
c/Perill, 52 (Gràcia)
[Metro linea 4, Verdaguer]
Ateneu
llibertari del Xino
c/Robadors, 25 (Raval)
[Metro linea 3, Liceu]
Bar
Cuatro pasos al Norte
c/Carretas, 18 (Raval)
[Metro linea 2, Sant Antoni]
Casal
Autogestionari
c/La Verneda, 18
Sede di cooperative autogestite come Trevol (pony express)
e BiciClot (vendita, noleggio e riparazione biciclette),
oltre che di attività culturali e solidali (come
"Bicicletes Solidàries").
CENTRI
DI DOCUMENTAZIONE
Ateneu
Enciclopedic Popular / Centre de Documentaciò Històrico-Social
Passeig de Sant Joan 26, 1er, 1a
Fondato nel lontano 1902 e chiuso dai franchisti nel 1939,
viene rifondato nel 1980. Specializzato in storia dei
movimenti sociali, associativi e libertari, il patrimonio
comprende circa 35.000 volumi e 6.000 testate di riviste,
oltre a numerosi fondi d’archivio.
Fundaciò
d’Estudis Llibertaris i Anarcosindicalistes
c/Joaquin Costa, 34, bajos
RIVISTE
La
lletra @
Apartado de correos 314,
43280 REUS
La redazione sta a circa cento chilometri da Barcellona
ma è rivista libertaria di ambiente "barcellonese",
sensibile ai movimenti sociali, all’antimilitarismo, all’autogestione.
Esce tre o quattro volte l’anno.
Polémica
Apartado de Correos 21.005,
08080 Barcelona
Rivista anarchica presente da una quindicina d’anni, dopo
un periodo con la formula monografica (come Itineraire
in Francia) è tornata ad occuparsi di temi di attualità,
in particolare di disobbedienza civile e delle divisioni
nel mondo anarcosindacalista.
Solidaridad
Obrera
Storica testata della CNT catalana, oggi ne esistono due
versioni parallele: una, mensile, della CNT "sfederata",
sicuramente più interessante e ben fatta, ed una
della CNT "federata". Per gli indirizzi vedi
la scheda sui sindacati.
Etcetera
Apartado de Correos 1363,
08080
Barcelona
Interessante rivista-quaderno di origine consiliarista
e libertaria. Approfondimenti su temi come la transizione
dal franchismo ed il conflitto in Euskadi. Edita anche
una collana di opuscoli.
CONTROINFORMAZIONE
Info
Usurpa
c/Perill, 52
usurpas@iname.com
www.tande.com/usurpa
Contrainfo
c/Blasco de Garay, 2
zitzània@nodo50.org
Bollettini murali e telematici settimanali dal mondo delle
occupazioni e del "movimento". Il primo riporta
le attività giorno per giorno della settimana a
venire in tutti gli spazi occupati ed autogestiti della
città, il secondo tratta principalmente fatti e
brevi notizie.
SINDACATI
LIBERTARI E AUTOGESTIONARI
CNT/AIT
("sfederati")
c/Joaquin Costa, 34, bajos
CNT/AIT
("federati")
Plaça Medinaceli
CGT
Via Laietana 18, 9a
CASE
EDITRICI
Virus
c/Vistalegre 9, bajos
[ma in fase di trasloco]
virus@pangea.org
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comunicare
con la città
...Ci
tolgano pure la musica,
ma più balleremo e meno ce la potranno togliere.
Le
circostanze hanno già prodotto, come è naturale,
un evento simbolico forte in cui il movimento Okupa
si è riconosciuto.
Il 10 marzo del 1996 veniva occupato un vecchio e
grande cinema abbandonato nel centro della città.
Durante più di sette mesi il Cine Princesa
si converte nella più grande occupazione di Barcellona.
Situato nella centralissima Via Layetana, a poche decine
di metri dalla sede degli industriali, dalla Cattedrale,
dal Comune e dalla Generalitat, dalle sedi bancarie
e dalla famigerata Jefatura Superior de Policia,
tristemente nota come luogo di tortura prima e durante
il franchismo, diventa in breve il centro di riferimento
per i collettivi di tutti i quartieri della città,
che vi organizzano una serie infinita di attività.
All’alba del 28 ottobre dello stesso anno un imponente
schieramento di polizia assalta il Princesa, con
abbondante dispendio di pallottole di gomma. Il bilancio
è di 40 arresti e una decina di feriti da entrambe
le parti. La sera stessa duemila persone scendono in piazza
scontrandosi per 4 ore con la polizia: altri 8 arresti
e feriti. Per la prima volta da tempo non sono i manifestanti
a dover scappare dai manganelli, ma è la polizia
costretta a barricarsi dentro la Jefatura de Policia,
che viene bersagliata con ogni tipo di oggetto. Si è
rotto un tabù. Nei giorni successivi una nuova
manifestazione vede la partecipazione di circa 20.000
persone, che rioccupano simbolicamente per una notte il
Princesa, sfondando i muri costruiti al posto delle
porte.
La repressione non si risparmia: solo dal 1996 al
luglio 1998 si contavano in Catalogna 54 sgomberi, circa
400 fermati, 344 denunce, circa 400 anni di carcere richiesti
in totale dai P. M.
Caratteristica del movimento barcellonese è
comunque di non cercare lo scontro per lo scontro, pur
non scartando la "resistenza attiva" agli sgomberi.
La nota dominante rimane infatti la volontà comunicativa
verso la città, lo scherno nei confronti del potere,
che si riflette nelle manifestazioni, spesso di carattere
festoso, e in molte azioni creative, come ad esempio la
sostituzione della bandiera spagnola con quella Okupa
dal tetto della sede del Comune (27/2/97), il completo
congestionamento del traffico della città ottenuto
appendendosi con corde dai cavalcavia delle circonvallazioni,
le "feste in maschera" organizzate negli uffici
delle immobiliari, oppure, nell’anniversario dello sgombero
del Cine Princesa, l’azione di muratura della porta
della residenza di campagna del Presidente della Catalogna,
Pujol (28/11/97), tutte azioni concluse senza identificazioni
o detenzioni, spesso per l’incapacità della polizia
di "acciuffare" gli attivisti.
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Piccola
bibliografia sulla città rivoluzionaria
Chi
volesse approfondire i temi oggetto di questa intervista
non ha a disposizione molti testi in lingua italiana.
Quelli in lingua castigliana e catalana non sono inoltre
facilmente reperibili nelle librerie di Barcellona: sarà
spesso necessario fare un salto in qualche biblioteca.
Oltre alla tesi dottorale di Dolors Marin del 1995,
già citata in apertura, centrale e corposo è:
Joaquìn Romero-Maura, La rosa de fuego: el obrerismo
barcelonés de 1899 a 1909, Alianza Editorial,
Madrid, 1989. Sullo stesso periodo: Joan Connelly Ullman,
La semana tragica: estudio sobre las causas socioeconomicas
del anticlericalismo en España: 1898-1912,
Ariel, Esplugues del Llobregat, 1972.
Sullo sciopero degli affitti è un interessante
articolo: Nick Rider, "Anarquisme i lluita popular:
la vaga de lloguers de 1931", in: L’Avenç,
n° 89, Genn. 1986, p. 6.
Sulla Barcellona rivoluzionaria del 1936-1939, oltre
alla cronaca del golpe e della resistenza popolare in:
Abel Paz, 19 de juliol del "36" a Barcelona,
Hacer, Barcelona, 1988, preziose testimonianze (in lingua
italiana) per comprendere la quotidianità della
vita urbana nella rivoluzione sono in: Abel Paz, Spagna
1936: un anarchico nelle rivoluzione, Lacaita, Manduria
(BA), 1998, nel classico George Orwell, Omaggio alla
Catalogna, Mondadori, Milano, 1993 ed in: Hans Erich
Kaminski, Quelli di Barcellona, Il Saggiatore,
Milano, 1966. Infine, sulla collettivizzazione delle industrie
e dei servizi: Antoni Castells Duran, Les Collectivitzacions
a Barcelona 1936-1939, Hacer, Barcelona, 1993 (un
breve riassunto in italiano è: Antoni Castells
Duran, "La fabbrica autogestita", in: Volontà,
a. V, n. 2, ott. 1996.) e diverse testimonianze contenute
in Chi c’era racconta: la rivoluzione libertaria nella
Spagna del 1936, Zero in Condotta, Milano, 1996.
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