rivista anarchica
anno 29 n.259
dicembre 1999 - gennaio 2000


dossier bici

Biciclette bianche e altro
di Matteo Guarnaccia

Sin dalla sua comparsa, la due ruote è sempre stata intimamente legata al concetto di libertà.

 

La bicicletta è sempre stato uno strumento primario di iniziazione e di libertà. Innanzi tutto è un'esperienza che viene trasmessa in maniera amorevole (avete mai visto qualcuno che insegni a pedalare a un bambino in malo modo?). È un'iniziazione in piena regola: c'è la perdita di sangue e la ferita che segna il distacco da una condizione precedente (le ginocchia sbucciate). C'è la meraviglia di sentire il corpo entrare in automatica, dopo aver superato la goffaggine iniziale. La realizzazione che, come nuotare e fare l'amore, pedalare è un atto programmato nel nostro DNA, un atto che ci rende coscienti del fatto che il vero equilibrio è nel movimento e non nella staticità.
La bicicletta è a tutt'oggi un modello insuperato di veicolo socialmente responsabile, romantico (mai portato nessuno in canna?), silenzioso, non stressante e che si muove grazie ad una fonte di energia rinnovabile e non inquinante (in culo alle multinazionali degli idrocarburi!). Andare in bicicletta non implica alcuna stupida esibizione di potenza, richiede solo ottimismo e coraggio (dare le spalle alle automobili è un vero atto di fede affrontato dal nostro guerriero interiore). I popoli precolombiani usavano la ruota per i giocattoli dei bambini ma non per il trasporto; i tibetani la usavano come mezzo di propulsione per le loro preghiere ma non per il trasporto, la bicicletta è la splendida sintesi dei possibili usi della ruota: gioco, trasporto e preghiera.
È sintomatico che la due ruote sia sempre stata, sin dalla sua comparsa, intimamente legata al concetto di libertà. Pochi se ne redono conto ma la bicicletta è stata anche il volano dell'emancipazione femminile a cavallo del secolo scorso. Per la moralità e per la scienza medica del periodo pedalare era un'attività "disdicevole" per signore e signorine; il sellino era accusato di incoraggiare l'onanismo femminile e le distoglieva dal loro ruolo di madri e mogli. Senza considerare il fatto che l'abbigliamento muliebre era quanto mai inadatto alla faccenda. Per pedalare si dovevano mostrare le caviglie (orrore!) e ci si doveva sbarazzare dei vari busti e corsetti che costringevano le povere spine dorsali a posizioni innaturali e che rendevano impossibile quel genere di attività fisica. L'abbandono delle stecche e l'accorciamento delle gonne (e persino l'uso delle gonne pantalone) nascono proprio dal boom della bicicletta. I primi movimenti femmisti europei avevano nella bicicletta un simbolo irrinunciabile.

 

Da Jarry ai provos

La patafisica, il movimento anticipatore del surrealismo creato dallo scatenato Alfred Jarry è indissolubilmente legato alla sua fiammante bicicletta da corsa. La scoperta dell'LSD da parte dello scienziato svizzero Albert Hofmann nel 1943 è tutt'uno con la sua mitica pedalata fatata per le vie di Basilea. Difficile pensare alla lotta di popolo dei vietnamiti senza lo strabiliante sistema di rifornimento condotto da sgangherate biciclette che attraversavano i sentieri nella giungla portandosi in groppa persino gli obici. Uno degli strumenti infallibili per misurare la civiltà di un paese è lo spazio che esso offre ai propri ciclisti (paesi scandinavi in testa, paesi mediterranei in coda).
In Olanda agli inizi degli anni '60 in pieno boom automobilistico, proprio quando tutti, ma proprio tutti, sognavano la loro bella quattroruote, si fanno notare degli strani personaggi che vanno totalmente controcorrente.
Sono i Provos, un gruppo di anarchici dadaisti e zuzzurelloni, a cui spetta la palma di avanguardia di quella contestazione giovanile che verso la fine del decennio infiammerà l'intero occidente. I Provos nutrivano un senso di frustrazione e di rigetto nei confronti della società consumista e alienante, per usare le loro parole, si sentivano in questo mondo "come ciclisti su un'autostrada". Scelsero la bicicletta come santo strumento tribale, arma comunitaria contro i comportamenti antisociali degli automobilisti che agivano (e agiscono) indisturbati contro l'ambiente coperti dalla grande industria e dalla polizia.
Gli automobilisti amorevolmente coccolati dagli spacciatori di petrolio e dai cementificatori, erano (e sono) il "braccio armato" di uno stile di vita che ormai andava inesorabilmente modellando la geografia del pianeta. Il piano era (ed è) distruggere il tessuto umano dei quartieri storici creando un mondo in cui fosse impossibile andare a scuola, al lavoro, a far la spesa, a curarsi e a divertirsi senza poggiare il culo su un autoveicolo, senza pagare il balzello all'industria e allo stato e senza devastare il territorio).
I Provos osano sbeffeggiare il simbolo della crescita economica, il dogma della modernità, rivendicando il diritto di camminare per la città senza venir minacciati fisicamente da bande di psicopatici aggressivi rinchiusi dentro una scoreggiante scatola di ferro. I Provos soprattutto rivendicano il diritto e il piacere di non seguire i modelli di consumo e di non consumare. Dotati di una formidabile capacità di spiazzare le autorità e di dar vita a fantasiose pratiche di disobbedienza civile, restano vivi nella memoria dei più per il famoso "piano delle biciclette bianche", la messa a disposizione della cittadinanza di Amsterdam di un certo numero di biciclette collettivizzate. Biciclette sempre aperte a disposizione di chiunque se ne volesse servire, un mezzo di trasporto gratuito, una provocazione contro la proprietà privata capitalista. "La bicicletta bianca è anarchica e simboleggia semplicità e igiene di fronte alla cafonaggine e alla zozzeria dell'automobile. Una bicicletta non è nulla ma è già qualcosa". Un atto ecologico (anche se allora la parola ecologia non era esisteva ancora).
I Provos scelsero di dipingere le bici di bianco - dopo aver scartato l'idea di farle rosse e nere, come la bandiera anarchica - per il semplice fatto che le loro azioni avvenivano prevalentemente di notte. Un bel numero di cittadini, rispondendo ai loro appelli, si reca nel luogo di raccolta, offre le proprie biciclette e le dipinge di bianco, mettendole a disposizione del provotariato. Il successo è immediato e l'operazione accende l'immaginazione di altri gruppi consimili da Stoccolma a Berkeley, da Praga a Oxford (motto dell'iniziativa "Il bianco annulla tutto, soprattutto la proprietà). Un famoso gruppo psichedelico inglese i Tomorrow lancia un brano delizioso, My White Bicycle, che diffonde il messaggio libertario persino nella hit parade. (Anche in Italia Caterina Caselli incide un brano dedicato alla provocazione provo).
Ma il segnale più evidente del successo del piano biciclette bianche è la risposta della polizia. Le autorità reagiscono immediatamente e in modo ridicolo: vengono sequestrate una cinquantina di bici in giro per la città. La giustificazione è che non essendo chiuse col lucchetto rappresentano un istigazione al furto. In pratica è la polizia a rubarle, visto che non le restituirà più ai legittimi proprietari, i cittadini di Amsterdam. In una società in cui vige la proprietà privata, ciò che è gratis è illegale e pericoloso.
I ladri di biciclette in divisa non fanno altro che promuovere il piano provo, attirando attirando nelle loro file un numero crescente di sostenitori e spingendo l'opinione pubblica a solidalizzare con loro.

Matteo Guarnaccia

Matteo Guarnaccia (Milano, 1954) è uno dei maestri della psichedelia italiana. Studioso di arte visionaria e culture tribali, ha iniziato a farsi conoscere con il multiplo d'arte nomade Insekten Sekte prodotto tra Goa e Amsterdam (1969-1975). Pittore, art director, performer, saggista, organizzatore di eventi e workshop. Tra le sue opere ricordiamo: Arte psichedelica & controcultura in Italia (1988), Skate (1989), Beat & Mondo Beat (1996), Almanacco psichedelico (1996), Provos (1997), Summer of love (1997), Paradiso psichedelico (1998), Magical Mystery Book (1998).