rivista anarchica
anno 29 n.259
dicembre 1999 - gennaio 2000



diario a cura di Felice Accame

ideologia e anatomia

 

Qualsiasi cosa si analizzi, lo si fa in base ad un criterio. Analizzare, etimologia alla mano, significa "sciogliere" e, in pratica, sta per "scomporre", "dividere". Scomporre, per l'appunto, tramite un criterio, a meno che, per scelta, non si scomponga a casaccio. L'analisi del corpo umano, già a livello dell'anatomia, implica da sempre assunzioni ideologiche solitamente tenute ben nascoste. È Fleck, in Genesi e sviluppo di un fatto scientifico (1935, edizione italiana Il Mulino, Bologna 1983), a far notare che, nell'Epitome del Vesalio (1514-1564), gli organi genitali maschili e femminili sono disegnati in modo da adattarsi alla teoria - molto diffusa nel sedicesimo secolo - che li voleva strutturalmente analoghi. Nell'illustrazione degli organi genitali femminili, viene addirittura segnato e indicato un ductus (un canalicolo) che, se era indispensabile alla teoria, in compenso è rimasto solennemente ignoto all'anatomia moderna. Fleck racconta di aver sfogliato numerosi atlanti di anatomia, nonché numerosi manuali di ginecologia, e di aver constatato che tutte le illustrazioni sono "innegabilmente frutto di una rielaborazione del dato naturale, tutte schematiche, quasi simboliche, fedeli alla teoria, ma non alla natura". Perfino le fotografie, insiste Fleck, per la scelta del punto di vista, per il trattamento esplicativo cui sono sottoposte, rispondono alle esigenze della teoria.
Qualcosa di simile, secondo Stephen Jay Gould (in Gli alberi non crescono fino in cielo, Mondadori Milano 1997 e, in economica, 1999), è accaduto in paleontologia, dove tutte le rappresentazioni visive della storia della vita tradiscono il pregiudizio antievoluzionistico.
Due pagine pubblicitarie (nel mercato del momento, quello delle telecomunicazioni) con la pretesa della propria correttezza politica o, più banalmente, con la pretesa di moltiplicare i propri clienti, offrono un loro quadro anatomo-funzionale del corpo umano. È così, allora, che apprendiamo come il corpo maschile si suddivida, dall'alto in basso, in mani, cervello, spalle, addominali e gambe; mentre quello femminile in cervello, seno, fianchi e gambe.
L'intento essendo quello di disegnare l'uomo e la donna ideale, si comprende come ad ogni segmento anatomico si attribuisca il massimo paradigmatico. Così il maschio dovrà possedere le mani di un pianista, il cervello di uno scienziato, le spalle di un nuotatore, gli addominali di un pugile e le gambe di un centometrista. E così la femmina dovrà possedere il cervello di un Nobel, il seno di un'italiana, i fianchi di una brasiliana e le gambe di una scandinava. Dal che si apprende abbastanza di come sono andate le cose al mondo.
Sono diversi i pezzi, sono diversi i paradigmi cui riferirsi per definirne l'idealità. Il maschio attinge agli sport, la femmina a presunte etnie che mascherano altrettante ideologie sessuali. In queste ideologie il ruolo della femmina è chiaramente subordinato al piacere del maschio. Fuori dallo schema rimane il cervello, che per il maschio deve essere quello di uno scienziato, mentre per la femmina, mirando apparentemente più in alto, deve essere quello di un premio Nobel. Come se la nostra storia non annoverasse scienziati premiati con il Nobel e scienziati niente affatto premiati perfettamente cretini e pericolosissimi. Ma tant'è una bugia caritatevole sulle quotazioni sociali del cervello non la si nega a nessuno: fa progresso e parità, due idee che meno trovano pratica realizzazione e più sono spacciate per pane quotidiano.
Mi viene in mente la povera Moana Pozzi quando le domandarono se avrebbe preferito stare su un'isola deserta con Arnold Schwarzenegger o con Francesco Alberoni. La sciagurata rispose "con Alberoni, perché in questo periodo preferisco nutrire la testa piuttosto che altre parti del corpo". Vittima delle metafore e della propaganda di regime, è morta senza sapere quanto si sbagliava. In realtà, per lei - nella posizione in cui era - l'alternativa non c'era affatto, perché sarebbe stata la stessa "cosa" e per l'uno e per l'altro.

Felice Accame

P.s.: Si sarà notato che, se nell'uomo ideale sono di rigore le mani di un pianista (non quelle del contadino e neppure quelle del muratore), nella donna ideale il particolare è diventato tanto trascurabile da non dover essere neppure più nominato. Con l'imposizione delle gambe da scandinava, d'altronde, si ottempera al modello vigente della lungagnona da sfilata - paradigma totalitario dell'estetica femminile in questi pochi anni che ci restano prima dell'ingegneria genetica su vasta scala. Difficile, dunque, chiedere a questi corpi "mani di fata" o "gelide manine" da riscaldare.