rivista anarchica
anno 29 n.259
dicembre 1999 - gennaio 2000


bomba o non bomba

Due parole. Il lettore attento si sarà accorto di un particolare, nel titolo di questo articolo. Per vezzo e per abitudine, una delle lettere "A" che compare nel titolo viene in genere evidenziata. Questa volta no.
Ci hanno già pensato i mass-media nelle ultime settimane - ci pensano da oltre un secolo - a collegare tra di loro i termini "anarchia" e "bomba", quasi fossero intimamente, geneticamente congiunti.
Per noi anarchici, è un handicap pazzesco. Qualsiasi cosa si faccia, qualsiasi impegno si porti avanti in campo sociale - sindacale, culturale, nei centri sociali, artistico, ecc. - si ripresenta puntuale - gridata dai mass-media, interiorizzata dall' "opinione pubblica" - la solita equazione. E gli anarchici vengono schiacciati in un angolino, a difendersi, a precisare, a spiegare che... A volte, ci viene in mente la non certo esaltante esperienza di Sisifo.
Noi di "A" siamo venuti sviluppando, nel corso dei decenni, una posizione sempre più critica verso qualsiasi forma di combattentismo e di violenza. Non da oggi, abbiamo sottolineato che la nostra concezione dell'anarchismo - la nostra, sottolineiamo - riconosce tra i filoni di pensiero cui fa riferimento anche la nonviolenza - intesa non solo come rifiuto "in negativo" della violenza (segnatamente sulle persone), ma "in positivo" come sforzo costante verso la comprensione, il dialogo, la risoluzione dei conflitti (a partire da quelli interpersonali fino a quelli sociali) con metodi, per quanto possibile, nonviolenti.
Tre anni fa, per esempio, nell'editoriale del n. 230 (ottobre '96), tirando un bilancio della terza Fiera dell'Autogestione tenutasi a Pietrasanta (Lu), un nostro redattore scriveva, tra l'altro:
Sentiamo sempre più forte l'esigenza di lasciarci alle spalle quella parte della tradizione che pesa - a nostro avviso - come una vera e propria zavorra. Pensiamo , per esempio, alla questione della violenza, alla mitizzazione di cui è stata spesso oggetto, ritenuta indispensabile elemento di rottura dell'esistente, mentre spesso non era altro che la continuazione, in campo "rivoluzionario", di una mentalità e di una pratica di sopraffazione e comunque di autoritarismo.
L'esperienza storica delle rivoluzioni di questo secolo, con i loro esiti dittatoriali terribilmente logici, ci ha vaccinato e ci ha spinto a ripensare alla questione - e più in generale al possibile ruolo degli anarchici nei processi di trasformazione sociale - sotto nuova luce.
Numerosi pensatori anarchici - pensiamo, tanto per fare solo un nome, a Luce Fabbri - hanno sviluppato questi temi, proponendo riflessioni di grande interesse, che permettono di innestare sul tronco storico dell'anarchismo, ripulito di molti rami secchi, nuovi germogli di pensiero e di azione. Ma è indubbio che la resistenza al "nuovo", anche in un ambiente come quello anarchico che per sua natura dovrebbe essere antidogmatico e aperto, pesa - in certi settori - non poco.
Rifiuto della mitizzazione della violenza, confronto con le idee e le tecniche della nonviolenza (rifiutandone qualsiasi interpretazione misticheggiante), rivendicazione esplicita del pacifismo (inteso come lotta antistatale per la pace, considerata un valore primario, sulla quale solo può poggiare qualsiasi trasformazione di segno libertario ed umanitario), attenzione per la realtà del disagio, dell'handicap, dell'emarginazione e per chi in quei settori quotidianamente opera rifiutando la logica dell'assistenzialismo e della normalizzazione. E, alla base di tutto, una forte sottolineatura della centralità - nella nostra concezione libertaria - della tolleranza, del pluralismo, del diritto al dissenso, da contrapporre sia alla logica autoritaria e centralizzatrice del potere costituito sia a quella (speculare) di chi al potere costituito si oppone per imporre la propria visione ed i propri schemi.
In queste settimane, tra solite bombe trovate nei cestini della spazzatura, improbabili "piste anarchiche" e trite riproposizioni della citata equazione, non ci é sembrato inutile riproporre queste modeste riflessioni, aperte - certo - ad ulteriori riflessioni, precisazioni, ecc., ma assolutamente chiare e fondanti per la redazione di "A".

Questo numero. Sempre a proposito di bombe, ripubblichiamo (a pag. 9) dal primo numero di Libertaria l'articolo di Luciano Lanza (che fu redattore di "A" nel primo decennio 1971-1980), autore - tra l'altro - di un bel libro (Bombe e segreti, Eléuthera 1998) al quale rimandiamo per un sempre utile approfondimento (per i più giovani) o una rinfrescata (per i meno giovani) - che non fanno mai male. Anche alla luce di quanto scritto nel paragrafo precedente...
Nell'ambito della valorizzazione di chi concretamente e quotidianamente opera ecc. ecc., ridiamo più che volentieri spazio (a pag. 13) agli amici di Emergency, in particolare al loro impegno in Cambogia, concretizzatosi nella realizzazione del Centro Chirurgico "Ilaria Alpi" a Battambang. Con la stessa attenzione libertaria, anche se il tema è certo molto diverso, affrontiamo anche un argomento come quello della bicicletta (il dossier è alle pagg. 24-32).
Purtroppo l'anno che sta per iniziare è anche quello del Giubileo. L'articolo di Maria Matteo (pag. 5) e il saggio della nostra collaboratrice Francesca "Dada" Knorr, questa volta sul peccato originale (a pag. 38), dovrebbero aprire un anno di particolare attenzione - anche sulle nostre colonne - sul e contro il Giubileo.
Infine due parole sull'intervista (a pag. 43) che Stefano d'Errico e Franco Iachetta hanno fatto al segretario generale della Confedaracion General del Trabajo (CGT) spagnola. Conosciamo bene la storia, anche recente, del sindacalismo libertario, dell'anarcosindacalismo e del movimento anarchico iberico e sappiamo che intervistare Tizio piuttosto che Caio - fuori di metafora, la CGT e non la CNT (una delle CNT) o altri ancora - può apparire una scelta di campo in un ambiente attraversato da polemiche al vetriolo. Errore: noi seguiamo con attenzione tutti quanti operano concretamente, non "sposiamo" nessuno, soprattutto cerchiamo di fornire ai nostri lettori informazioni valide - come hanno fatto, egregiamente a nostro avviso, Meritxell Bacardit e Andrea Dilemmi con il loro dossier Barcellona pubblicato sul numero estivo ("A" 256). E come cercheremo di fare ancora in futuro.