Dopo diversi mesi di conoscenza, frequentazione,
interesse reciproco, mobilitazione a fianco del popolo Rom di
Palermo, nasce all’interno del campo un luogo di aggregazione
che unisce i Rom ed i Gagè. Uno spazio che serva come laboratorio
di sperimentazione sociale, che investa la città di Palermo,
che faccia uscire dall’anonimato gli zingari. Un presidio voluto
da tutti coloro che ritengono la città un luogo di solidarietà
e desiderio e non la città normale delle istituzioni, un luogo
che serva da opposizione al dilagante senso perbenista e reazionario
che sempre in maniera più pervasiva condiziona il corpo sociale
di questa città. Un centro da cui fare partire una lotta di
libertà e giustizia per i Sinti e i Rom; libertà e giustizia
che significano una migliore qualità della vita, una adeguata
sistemazione del campo, il rilascio dei permessi di soggiorno,
libertà di sosta e di transito, fine dei continui soprusi da
parte delle autorità di pubblica sicurezza, accesso reale all’istruzione,
al lavoro ed alla casa.
Alle istituzioni della città normale “chiediamo” una posizione
chiara ed inequivocabile alla permanenza dei figli e delle figlie
del vento a Palermo, senza che essi vengano relegati in periferia
o espulsi dalla città. È da tempo che diverse voci si sono levate
contro la presenza dei Rom all’interno del parco della Favorita.
Dai Verdi locali ai fascisti di Alleanza Nazionale, con il pretesto
del recupero ambientale dell’area e la fruizione da parte dei
cittadini palermitani, si vuole incominciare un’operazione di
“pulizia etnica” cittadina: tanto è vero che la Regione Siciliana
e la sovraintentenza ai beni culturali invitano il comune a
risolvere nei termini di legge l’ubicazione del campo nomadi
a Palermo.
Dalla città della Primavera e dell’antimafia si è passati alla
città normale; non a caso il ruolo portante che all’inizio aveva
l’associazionismo a livello cittadino è stato svilito e mortificato
da una politica del palazzo concepita sull’autoreferenzialità
e sull’impossibilità di un reale confronto democratico tra le
parti più vivaci della società civile palermitana. Questa visione
politica dell’esistente colloca Palermo all’interno della logica
globalizzante che da tempo pervade il continente europeo. “Normalità”
significa che tutti coloro che prima non si adeguavano agli
standard ed ai modelli del “vivere civile” potevano passare
inosservati, adesso che tutto deve ritornare bello e pulito
i “diversi” si devono occultare. La Palermo sudamericana delle
cosche mafiose fa posto alla Palermo europea, tutto ciò a vantaggio
dei nuovi potentati economico-criminali e a discapito delle
minoranze e di tutti coloro che vorrebbero una città realmente
multietnica. Quindi la paventata operazione di “pulizia” etnica
si inquadra all’interno di questo nuovo scenario metropolitano.
La lotta a fianco dei Rom acquista dunque un valore fondamentale:
lo scontro tra due opzioni sociali, il delinearsi di mondi diversi,
la consapevolezza che se i Rom saranno espulsi o relegati in
periferia la città di Palermo perderà un patrimonio umano e
culturale di notevole importanza per il suo divenire.
Antonio Rampolla e BeniaminoVizzini
per contatti e informazioni
stirnermax@hotmail.co
Palermo 25 febbraio, corteo
contro le guerre ed il RAZZISMO
Io ballo con i
Rom
Campi-ghetto abusivi, ma tollerati.
Bambini morti assiderati. Le proteste e della gente per bene
(e della mafia). A Palermo. Ma potrebbe essere altrove, ovunque.
Rom, Sinti, Camminanti,
Zingari. A Palermo come a Roma, Parigi, Dublino, Londra o Sarajevo.
Sempre una storia, la stessa da centinaia d’anni: migrazione
forzata, nomadismo imposto.
Li incalzavano editti assassini in passato, l’incalzano oggi
leggi irreprensibili in apparenza, di fatto torve e razziste.
I Rom lo sanno, ed entrano nelle città in punta di piedi, a
piccoli gruppi, si rendono invisibili nelle periferie, si mimetizzano
tra i rifiuti delle discariche. Costruiscono le loro baracche
con porte vecchie, lamiere arrugginite. Secoli di vita tra carri
e cavalli non li hanno resi abili costruttori, fanno baracche
traballanti che crollano al primo soffio di vento, o s’incendiano.
E muoiono, soprattutto i bambini: Amanda, Reza, Ali, Solima.
Dalle estreme periferie delle grandi città periodicamente si
sparge l’odore della carne bruciata dei piccoli Rom. Lo stesso
odore che usciva dai camini dei lager italiani e tedeschi. Ma
il vento lo disperde prima che arrivi ai palazzi del potere,
al centro della città, al cuore degli uomini.
Rom e romnia piangono i figli morti e li ritrovano in un nuovo
intatto sorriso, altro figlio, stesso nome, forse un’altra città.
Il cielo azzurro, il prato verde e una ruota gialla al centro,
come sole. La bandiera dei Rom.
“Rom, Rom, libertà”. Gridano, gridiamo nei cortei. Ma dove sono
i vasti territori da percorrere? Dov’è la loro, la nostra libertà?
Vent’anni a Palermo. Ma prima c’erano stati i nonni, forse i
bisnonni, poi partiti per la Iugoslavia. Ex Iugoslavia, la cosa
più vicina al concetto di “patria” che loro ricordino. La politica
di Tito “Una casa- Un lavoro” li aveva convinti a fermarsi,
a vivere in palazzi, a lavorare. Ma la ruota gira, Tito muore
e gli albanesi li costringono a scappare. I loro morti sono
rimasti là, nei cimiteri Musulmani.
Vado alla tomba di mio padre - mi racconta Ramadam
- e porto mio bambino. Sono contento quando passo frontiera,
ritrovo mia terra. Ci fermiamo per mangiare in Autogrill, bambino
mi chiede la pasta. Io dico, niente pasta, qui tante altre cose,
prendi altre cose. In macchina io vado e sono contento. Mio
figlio guarda fuori, poi mi dice: quando torniamo a Palermo?
Fiore all’occhiello
Da sempre le città fremono e si chiudono al passaggio
di Zingari, Zanne, indovinaventure, e Palermo non fa eccezione.
La cultura dell’accoglienza si ferma davanti ai denti d’oro,
al troppo diverso nei quali gli abitanti dello Zen non riescono
a rintracciare tratti di comune umanità. Ed esplode di notte
la protesta. Auto investite da bombe bruciano come falò. La
mafia non li vuole allo Zen, la gente neanche. Sindaco e Prefetto
li portano via. C’è un luogo abbastanza degradato ai margini
del parco della Favorita, là per i Rom si piantano tende. Una
sistemazione provvisoria, si dice, e il provvisorio dura da
otto anni. Poi un bambino muore assiderato, allora arrivano
le roulottes e i gabinetti chimici: sei per seicento persone.
La primavera di Palermo vorrebbe fregiarsi di loro come fiore
all’occhiello. Sanno ballare e cantare? Facciamoli esibire.
Qualche manifestazione, un libro che loro non possono leggere,
un tentativo di scolarizzazione che resta a metà perché gli
assessori si stancano e il sindaco Orlando ha altre primavere
per la testa. Poi, diciamocelo chiaro, i Rom non sono facili
da manovrare. Allora li abbandono.
A loro non importa molto, non amano la visibilità. Alcune famiglie
vanno a vivere nel centro storico, altre restano. E la ruota
gira.
La guerra in Kossovo ingrossa ancora il campo. Arrivano in tanti,
gli altri li aiutano: una capanna, una coperta. Non c’è disperazione.
La ruota ha girato.
Ma a Palermo le forze politiche, tutte o quasi, scoprono che
quel pezzo di terra dove vivono i Rom è della città e deve essere
”fruito” dai cittadini. Interpellanze, denunce, campagna stampa.
Gli zingari inquinano, sciupano gli alberi, debbono andare via.
Noi delle associazioni prendiamo lenzuola dagli armadi, loro
dipingono bandiere: il cielo, il prato e la ruota al centro,
gialla come sole. Ci prepariamo a lottare. Usciamo insieme per
le strade, si balla, si grida: Rom, Rom, libertà!
Altrove qualcuno con parole misurate ci parla di Tibet, di Arabia
Saudita, il dolore del mondo. Attracca una nave azzurra portatrice
di altro dolore. La gente passeggia e non guarda i lenzuoli.
La Ferrari vince ancora. Palermo dorme.
Io ballo coi Rom.
Irene Abbate
Figli del Vento
I cittadini del mondo.
Da molti chiamati così
poiché non hanno né capi in seno di governo, né caste sacerdotali,
privi di qualsiasi diritto, anche il più basilare, perché provenienti
da chissà quale luogo e riluttanti ad adattarsi a regole di
vita imposte, differenti dalle loro. Diversi fisicamente e culturalmente,
i Rom sono ben lungi dall’essere considerati esseri-umani-normali.
Uomini-fantasma. Ombre scure avvolte da un profondo mistero
che fa paura e che li allontana dalla vita reale.
Anime vaganti all’interno di un recinto che l’uomo-normale non
vuole oltrepassare, un piccolo confine circoscritto in cui la
vita scorre quotidianamente tra le risa innocenti di splendidi
bambini, ansiosi che qualcuno di noi giochi con loro... e non
dimenticano mai i nostri nomi !!
Famiglie che lottano per la sopravvivenza, fronteggiando il
freddo dell’inverno, l’insostenibile sporcizia, l’insidia dei
topi a rischio di epidemie, la mancanza di acqua, luce e servizi
igienici. A un passo da quell’inferno la vita incurante continua
e guarda con disprezzo quei “delinquenti” a cui nessuno darebbe
mai un lavoro! Il panorama di quelle casupole diroccate infastidisce
gli occhi dei vicini ben pensanti, che tengono a debita distanza
i loro figli da quegli uomini cattivi e sconosciuti! Da secoli
perseguitati e sterminati, su loro regnano pergiudizi di ogni
sorta: “gli Zingari rubano i bambini”, “gli Zingari sfruttano
i minorenni, vendono le proprie figlie”. Si può dire di tutto
di qualcuno che non si conosce e che si disprezza per la sua
diversità! Nessuno ha paura degli immigrati provenienti da ogni
parte del mondo che popolano la città in cui viviamo, ma lo
Zingaro no! Lui non è un immigrato, lui non è come gli altri,
lo Zingaro è diverso e va spedito come un pacco postale in qualque
parte del mondo che non sia Palermo!
Mehemeti Zaya “quando siamo arrivati qui, abitavamo in alcune
case abusive nel quartiere Zen. Poi, l’ex sindaco Lo Vasco,
ci fece portare qui al campo della Favorita e noi vivevamo in
delle tende allestite dall’esercito militare. C’era molto freddo
e una notte un bambino morì assiderato. Così dalle tende si
passò alle roulottes. Doveva per forza morire qualcuno perché
qualcosa cambiasse... Oggi, Orlando fa il finto tonto e non
si interessa minimamente ai nostri problemi. Gli Zingari che
vivono in luoghi come la Germania, riescono ad ottenere l’asilo
politico e gli assegni di sopravvivenza, anche se le pressioni
e le minacce di violenza da parte degli albanesi lì presenti,
sono molto forti”.
Il luogo d’origine degli Zingari è identificato nei nord dell’India,
una migrazione, a quanto pare, iniziata nel IX sec. d. C. spostatasi
poi verso la Grecia, l’Europa sud-orientale e di lì verso le
altre regioni europee. In Italia la loro presenza risale al
1422.
Oggi, vivono in Italia circa 90.000 Zingari che qui, prendono
il nome di: Rom (centro e sud) e Sinti (nord), tutti non zingari
vengono chiamati Gaggi.
La maggior parte presenti in territorio italiano sono Sinti
(25.000, molti nati a Istria), circa 12.000 Daxlkanè (ortodossi)
e Rom Karakhanè (musulmani). Da sempre i Rom sono ottimi allevatori,
artigiani del metalli, giocolieri ed eccellenti musicisti. M.
Zaya “La città da cui provengono è Mitroviza, in Jugoslavia,
gli Albanesi hanno sterminato più di duemila Rom, costringendoci
a scappare dai nostri paesi, lasciando tutto quello che avevamo:
il lavoro, le nostre case, molti dei nostri parenti. Oggi, il
governo parla di costruire Lager in Albania per trasferirci
tutti là. Ci condannano a morte! Non lascerò mai i miei figli
nelle mani degli albanesi”
Non si può pretendere di conoscere una cultura diversa, leggendola
sui libri o per “sentito dire”, l’unico modo per farlo è mescolare
la propria cultura alla loro; toccarla con mano, apprezzarne
le differenze, demarcandole, perché la Diversità è Armonia,
la Diversità rende ancor più affascinante il nostro stare e
ci unisce profondamente;
La presenza dei Rom deve essere per noi una vera fonte di ricchezza
Umana e Culturale: la loro amicizia, la loro ospitalità nei
confronti di chiunque gli si voglia avvicinare, il loro fascino
e la loro belleza, non possiamo perdere tutto questo! Non possiamo
non imparare la loro Vita!
Qualcuno ha provato bene a decantare le abitudini e le origini,
qualcun’altro ha usato le loro sofferenze per la scalata al
potere, pubblicando, come nel caso di D.S. De Condat, il libro
Rom, una cultura negata, considerato dagli stessi Rom
“vergognoso” per il contenuti che alimenta quei pregiudizi che
tanto si cerca di eliminare. Frasi del tipo: “è considerata
una maledizione se una donna passa tra due uomini”oppure “è
severamente vietato toccare la gonna a una donna”, non aiutano
di certo ad avvicinare la cultura degli Zingari a noi; se si
pensa, tra l’altro, che le dicerie che ruotano intorno a loro
sono a dir poco stratosferiche!
Si dice che per sposare la figlia di un Rom, bisogna pagare
una somma al padre.
Questa somma che ci fa subito pensare a una compravendita, non
è altro che la nostra così detta “Dote Matrimoniale”, da loro
chiamata “Misti” che aiuterebbe la famiglia a sostenere le spese
del costoso matrimonio! I denti d’oro di cui ci si lamenta perché
d’oro per l’appunto e quindi “sfarzo”, sono parte della loro
cultura e rappresentano quella che noi chiamamo “fede nuziale”!
Per quanto riguarda , poi, lo sfruttamento minorile: è cosa
veramente ridicola additare con disprezzo ciò che non si conosce!
Basterebbe stare un giorno insieme a loro per comprendere quanto
sia profondo e tenero il legame che esiste tra genitori e figli.
Siamo troppo abituati a pensarli diversi da noi e questo ci
porta a lavorare di fantasia, tralasciando una profonda verità:
loro hanno bisogno di noi tanto quanto noi ne abbiamo di loro!
Franzy
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