rivista anarchica
anno 30 n.264
giugno 2000


arte

Una biografia danzata
Intervista a Teodora Ansaldo
di Lilla Consoli

Un caffé, una grappa, tante risate con relativo scotimento del capo neroricciuto... A colloquio con Teodora Ansaldo, ex avvocato, ex “giurista linguista” presso la Comunità Europea a Bruxelles, oggi regista, coreografa e danzatrice.

 

Qualcosa a che vedere con i cantieri navali Ansaldo?

No, purtroppo: avrei meno problemi nel quotidiano! Vengo da Genova. Mio padre era comandante marittimo, e probabilmente ho preso da lui questa curiosità di scoprire territori nuovi, non solo nel senso geografico, ma anche nel senso di persone, usi, tradizioni. Così, una curiosità nei confronti del mondo. Come molte biografie femminili, la mia è una biografia molto serpentina, o spirale, come si voglia definire: un passo avanti e due indietro, un giro e poi avanti... Non so... una biografia danzata.

Una danza che ti ha condotta a Berlino, dove, fra l’altro, insegni “l’arte della videocamera” presso un centro culturale di donne, “Ewa Frauenzentrun”.

Sì, per una serie di casi, sono approdata a Berlino nel 1990, dopo la caduta del muro, e sono andata subito nella parte ‘est’, dove c’era più possibilità di avere finanziamenti. Dal ‘91 al ‘93 ho dato corsi elementari di video in questo centro.
Le donne erano interessatissime, e avevano tanto da dire, non solo come contenuto, ma anche da un punto di vista estetico, espressivo.
Nel ‘93 ho fatto il mio primo “film di danza”, finanziato dal “Kunstlerinnen-Programm” (Programma per le artiste) del Senato di Berlino. Ho voluto rappresentare lo stupro, in maniera però non concreta, bensì astratta, ‘stilizzata’, sottolineando il discorso dello stupro di Stato, legato ad un sistema che non permette alla donna di uscire di notte, fare l’autostop, ecc. E queste cose che lei si permette sono punite con lo stupro. Ho filmato una danza di sole donne, di cui alcune impersonano gli stupratori, che portano delle divise: lo Stato patriarcale si regge sulla violenza nei confronti delle donne. Ma, tornando alla mia attività d’insegnante, volevo aggiungere che dai corsi-base siamo poi passate ai “progetti tematici”. In pratica, abbiamo preso dei temi che c’interessavano, e ci abbiamo fatto su dei video. Così è nato, per esempio, “Für das Brot bekam ich den Kinderwagen”, cioè “In cambio del pane ho avuto il passeggino”, un film sulla vita di alcune donne anziane del quartiere berlinese di Prenzlauer Berg. Volevamo vedere come vivono il momento attuale queste donne che hanno vissuto in parte la prima guerra mondiale, da bambine, e poi il nazismo, la seconda guerra mondiale, la creazione della R.D.T, la costruzione del muro (perché Prenzlauer Berg è proprio lì dove l’hanno costruito), la caduta del muro.
Teodora, mi schizzi una tua “filmografia essenziale”?

Dopo il film sullo stupro, il mio primo progetto importante è stato il documentario “Die Vespen”: “le Vespe” era il nome dato dalla Stasi al gruppo donne per la pace nella Germania dell’Est.
Poi, nel ‘98, “Avventura Voce”, il film su Giovanna Marini e i canti della settimana santa in Sicilia.
Il progetto attuale è un film sulle streghe nel Mecklemburg.
L’ultimissima cosa, la cui ‘prima’ è stata l’otto febbraio, è un video in cui alcune ragazze di Prenzlauer Berg, che vivono praticamente per strada, raccontano la loro storia

Parliamo di Giovanna Marini.

L’idea di fare un film su di lei mi è venuta durante la partecipazione ad un congresso berlinese sul tema “Artiste tra tradizione e innovazione”. C’erano artiste provenienti da diversi paesi e da diversi campi (pittura, scultura, teatro, musica e così via), che lavorano partendo dalle tradizioni dei loro luoghi, elaborate in modo moderno. Abbiamo pensato, la mia compagna Julia Kunert ed io, ad una serie televisiva su delle artiste che compiono una rivisitazione delle loro radici. E naturalmente mi è venuta in mente Giovanna Marini, che è una parte della mia storia, e che adesso fa appunto questo lavoro di ricerca, di rielaborazione dei canti tradizionali. Abbiamo così preso contatto con Giovanna, la quale, col suo modo di fare molto aperto, molto tranquillo, dice: “Sì, sì, certo, perchè no? Sono già stati fatti dei film su di me, però va bene, non c’è problema”. Poi abbiamo saputo da lei che faceva un concerto a Cinisello Balsamo, uno spettacolo su Pasolini, e siamo andate a filmarlo con la telecamera digitale che mi sono comprata per l’occasione. Siamo partite così per la nostra “Avventura Voce”...

Siete partite anche in senso letterale...

Sì. Giovanna Marini aveva organizzato per i suoi allievi un giro in Sicilia durante la settimana santa. Da Cinisello siamo andate a Napoli. Qui, alla stazione marittima, sui gradini, ci aspettava già una parte del gruppo, con Giovanna nel mezzo: e cantavano. Noi entriamo, e vediamo come se fosse una performance, sembrava fatto apposta, con quella scala monumentale...
Abbiamo filmato la scena, come hai visto. E abbiamo poi continuato a “girare” sulla nave, nel viaggio da Napoli a Palermo.
In Sicilia ci ha raggiunto il resto del gruppo, ed eravamo in ottantadue, comprese noi. Gli studenti venivano in parte dalla Scuola del Testaccio (Roma) e in parte da Parigi, da questa università dove lei insegna. Ottanta persone diversissime, dai 18 ai 65 anni, prevalenza femminile, atmosfera aperta. Siamo stati in diversi paesi siciliani, dove abbiamo filmato i canti tradizionali della “passione di Cristo”.

Com’è Giovanna Marini come persona?

Per me, è stato importante aver modo di conoscerla. L’avevo vista sempre e solo sul palcoscenico; avevo sempre ammirato il suo umorismo, il suo modo di raccontare semplice e bello, con delle cose che ti colpiscono, che ti rimangono nella fan tasia. E mi ero chiesta come fosse lei umanamente. Quando l’ho conosciuta, ho visto che è esattamente come sul palcoscenico. Ed è molto “mamma” rispetto ai suoi studenti: aveva sempre pronte per loro delle medicine omeopatiche. Conosce tutti per nome.

E la Marini ricercatrice e artista?

Nel film si vede una lunga intervista, in cui lei ci racconta i presupposti del suo lavoro: rispetto, comprensione, e il tentativo di “reimmettere nel mondo culturale gli episodi musicali tradizionali, per farli rivivere, perchè non rimangano chiusi negli archivi”. Per lei questa musica ha il valore di un grande Shakespeare o di una tragedia greca, così ha cominciato anche a comporre secondo questi moduli tradizionali.

Anche le streghe erano portatrici di una cultura antica...

Sì, le streghe erano portatrici di una cultura di donne, ma anche della cultura contadina, della gente, del popolo della zona: una cultura che venne distrutta dai proprietari terrieri e dalla chiesa. Questo discorso si ricollega in qualche modo a Giovanna Marini: che cosa significano le tradizioni, che cosa hanno di sovversivo... Perché pensi alle tradizioni come a qual cosa di arretrato, e invece a volte sono loro che ti “portano”: ti sostengono e ti portano avanti.
Nello spettacolo che la Marini ha fatto a Cinisello Balsamo, e che noi abbiamo in parte inserito nel nostro documentario, c’è un bell’esempio dell’intreccio fra cultura scritta e tradizione orale. Giovanna ricorda un episodio lontano nel tempo: le prove per una serata musicale, lei che canta una canzone, un ragazzo del posto che la sta ad ascoltare attento. Alla fine del pezzo, il giovane si alza in piedi, applaude, e le chiede: “Dove hai trovato questa canzone?” “In un libro”, risponde lei. “Ma, prima di stare in un libro, stava sulla bocca della gente!”, replica lui. Quel ragazzo si chiamava Pier Paolo Pasolini.

Lilla Consoni

Teodora Ansaldo ha presentato “Avventura Voce”
al “Festival Internazionale del Cinema delle Donne”,
tenutosi a Torino dal 7 al 12 marzo di quest’anno.