Qualcosa a che vedere con i cantieri navali Ansaldo?
No, purtroppo: avrei meno problemi nel quotidiano! Vengo da
Genova. Mio padre era comandante marittimo, e probabilmente
ho preso da lui questa curiosità di scoprire territori nuovi,
non solo nel senso geografico, ma anche nel senso di persone,
usi, tradizioni. Così, una curiosità nei confronti del mondo.
Come molte biografie femminili, la mia è una biografia molto
serpentina, o spirale, come si voglia definire: un passo avanti
e due indietro, un giro e poi avanti... Non so... una biografia
danzata.
Una danza che ti ha condotta a Berlino, dove, fra l’altro,
insegni “l’arte della videocamera” presso un centro culturale
di donne, “Ewa Frauenzentrun”.
Sì, per una serie di casi, sono approdata a Berlino nel 1990,
dopo la caduta del muro, e sono andata subito nella parte ‘est’,
dove c’era più possibilità di avere finanziamenti. Dal ‘91 al
‘93 ho dato corsi elementari di video in questo centro.
Le donne erano interessatissime, e avevano tanto da dire, non
solo come contenuto, ma anche da un punto di vista estetico,
espressivo.
Nel ‘93 ho fatto il mio primo “film di danza”, finanziato dal
“Kunstlerinnen-Programm” (Programma per le artiste) del Senato
di Berlino. Ho voluto rappresentare lo stupro, in maniera però
non concreta, bensì astratta, ‘stilizzata’, sottolineando il
discorso dello stupro di Stato, legato ad un sistema che non
permette alla donna di uscire di notte, fare l’autostop, ecc.
E queste cose che lei si permette sono punite con lo stupro.
Ho filmato una danza di sole donne, di cui alcune impersonano
gli stupratori, che portano delle divise: lo Stato patriarcale
si regge sulla violenza nei confronti delle donne. Ma, tornando
alla mia attività d’insegnante, volevo aggiungere che dai corsi-base
siamo poi passate ai “progetti tematici”. In pratica, abbiamo
preso dei temi che c’interessavano, e ci abbiamo fatto su dei
video. Così è nato, per esempio, “Für das Brot bekam ich den
Kinderwagen”, cioè “In cambio del pane ho avuto il passeggino”,
un film sulla vita di alcune donne anziane del quartiere berlinese
di Prenzlauer Berg. Volevamo vedere come vivono il momento attuale
queste donne che hanno vissuto in parte la prima guerra mondiale,
da bambine, e poi il nazismo, la seconda guerra mondiale, la
creazione della R.D.T, la costruzione del muro (perché Prenzlauer
Berg è proprio lì dove l’hanno costruito), la caduta del muro.
Teodora, mi schizzi una tua “filmografia essenziale”?
Dopo il film sullo stupro, il mio primo progetto importante
è stato il documentario “Die Vespen”: “le Vespe” era il nome
dato dalla Stasi al gruppo donne per la pace nella Germania
dell’Est.
Poi, nel ‘98, “Avventura Voce”, il film su Giovanna Marini e
i canti della settimana santa in Sicilia.
Il progetto attuale è un film sulle streghe nel Mecklemburg.
L’ultimissima cosa, la cui ‘prima’ è stata l’otto febbraio,
è un video in cui alcune ragazze di Prenzlauer Berg, che vivono
praticamente per strada, raccontano la loro storia
Parliamo di Giovanna Marini.
L’idea di fare un film su di lei mi è venuta durante la partecipazione
ad un congresso berlinese sul tema “Artiste tra tradizione e
innovazione”. C’erano artiste provenienti da diversi paesi e
da diversi campi (pittura, scultura, teatro, musica e così via),
che lavorano partendo dalle tradizioni dei loro luoghi, elaborate
in modo moderno. Abbiamo pensato, la mia compagna Julia Kunert
ed io, ad una serie televisiva su delle artiste che compiono
una rivisitazione delle loro radici. E naturalmente mi è venuta
in mente Giovanna Marini, che è una parte della mia storia,
e che adesso fa appunto questo lavoro di ricerca, di rielaborazione
dei canti tradizionali. Abbiamo così preso contatto con Giovanna,
la quale, col suo modo di fare molto aperto, molto tranquillo,
dice: “Sì, sì, certo, perchè no? Sono già stati fatti dei film
su di me, però va bene, non c’è problema”. Poi abbiamo saputo
da lei che faceva un concerto a Cinisello Balsamo, uno spettacolo
su Pasolini, e siamo andate a filmarlo con la telecamera digitale
che mi sono comprata per l’occasione. Siamo partite così per
la nostra “Avventura Voce”...
Siete partite anche in senso letterale...
Sì. Giovanna Marini aveva organizzato per i suoi allievi un
giro in Sicilia durante la settimana santa. Da Cinisello siamo
andate a Napoli. Qui, alla stazione marittima, sui gradini,
ci aspettava già una parte del gruppo, con Giovanna nel mezzo:
e cantavano. Noi entriamo, e vediamo come se fosse una performance,
sembrava fatto apposta, con quella scala monumentale...
Abbiamo filmato la scena, come hai visto. E abbiamo poi continuato
a “girare” sulla nave, nel viaggio da Napoli a Palermo.
In Sicilia ci ha raggiunto il resto del gruppo, ed eravamo in
ottantadue, comprese noi. Gli studenti venivano in parte dalla
Scuola del Testaccio (Roma) e in parte da Parigi, da questa
università dove lei insegna. Ottanta persone diversissime, dai
18 ai 65 anni, prevalenza femminile, atmosfera aperta. Siamo
stati in diversi paesi siciliani, dove abbiamo filmato i canti
tradizionali della “passione di Cristo”.
Com’è Giovanna Marini come persona?
Per me, è stato importante aver modo di conoscerla. L’avevo
vista sempre e solo sul palcoscenico; avevo sempre ammirato
il suo umorismo, il suo modo di raccontare semplice e bello,
con delle cose che ti colpiscono, che ti rimangono nella fan
tasia. E mi ero chiesta come fosse lei umanamente. Quando l’ho
conosciuta, ho visto che è esattamente come sul palcoscenico.
Ed è molto “mamma” rispetto ai suoi studenti: aveva sempre pronte
per loro delle medicine omeopatiche. Conosce tutti per nome.
E la Marini ricercatrice e artista?
Nel film si vede una lunga intervista, in cui lei ci racconta
i presupposti del suo lavoro: rispetto, comprensione, e il tentativo
di “reimmettere nel mondo culturale gli episodi musicali tradizionali,
per farli rivivere, perchè non rimangano chiusi negli archivi”.
Per lei questa musica ha il valore di un grande Shakespeare
o di una tragedia greca, così ha cominciato anche a comporre
secondo questi moduli tradizionali.
Anche le streghe erano portatrici di una cultura antica...
Sì, le streghe erano portatrici di una cultura di donne, ma
anche della cultura contadina, della gente, del popolo della
zona: una cultura che venne distrutta dai proprietari terrieri
e dalla chiesa. Questo discorso si ricollega in qualche modo
a Giovanna Marini: che cosa significano le tradizioni, che cosa
hanno di sovversivo... Perché pensi alle tradizioni come a qual
cosa di arretrato, e invece a volte sono loro che ti “portano”:
ti sostengono e ti portano avanti.
Nello spettacolo che la Marini ha fatto a Cinisello Balsamo,
e che noi abbiamo in parte inserito nel nostro documentario,
c’è un bell’esempio dell’intreccio fra cultura scritta e tradizione
orale. Giovanna ricorda un episodio lontano nel tempo: le prove
per una serata musicale, lei che canta una canzone, un ragazzo
del posto che la sta ad ascoltare attento. Alla fine del pezzo,
il giovane si alza in piedi, applaude, e le chiede: “Dove hai
trovato questa canzone?” “In un libro”, risponde lei. “Ma, prima
di stare in un libro, stava sulla bocca della gente!”, replica
lui. Quel ragazzo si chiamava Pier Paolo Pasolini.
Lilla Consoni
Teodora
Ansaldo ha presentato “Avventura Voce”
al “Festival Internazionale del Cinema delle Donne”,
tenutosi a Torino dal 7 al 12 marzo di quest’anno. |
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