L'emergere sulla scena politica e sociale
di vasti movimenti di contro globalizzazione che, specie dopo
le manifestazioni di Seattle dell’autunno scorso, sono balzati
con prepotenza sotto gli occhi dei media, se da un lato pare
ridare fiato e spazio di visibilità politica a movimenti extrasistemici
radicali, dall’altro ci pone di fronte alla necessità di ripensare
le coordinate di un intervento che abbia la capacità di radicarsi
al di là delle grandi manifestazioni.
In realtà quella che abbiamo di fronte è un’onda lunga che prende
avvio dalla Selva Lacandona per investire lentamente l’intero
pianeta. Sin dall’inizio del movimento zapatista emergono alcuni
dei principali attrezzi teorici e di strategia politica che
oggi vediamo all’opera nelle piazze ai quattro angoli del pianeta.
L’EZLN non a caso incarna un paradosso che nessuno, credo, avrebbe
prima pensato realizzabile: un movimento armato, indigeno, locale
che si proietta immediatamente sulla scena mondiale ridisegnando
l’intera semantica della lotta extrasistemica. I volti coperti
che anziché nascondere rivelano, una curiosa commistione di
tattiche della non-violenza e di movimento guerrigliero, comunitarismo
e internazionalismo, il pensare e agire localmente ed il pensare
ed agire globalmente, la reinvenzione della cosiddetta “società
civile” quale soggetto di una politica dal basso che non disdegna
il dialogo con le istituzioni, la valorizzazione della tradizione
autoctona e l’uso della Rete per una comunicazione a tutto campo.
Lo slogan echeggiato a Seattle e poi rimbalzato a Davos e Washington
e recentemente riapparso nelle mobilitazioni del primo maggio
da Londra a Parigi a Chicago a Praga “La nostra lotta sia transnazionale
come il capitale” rispecchia in modo puntuale lo spirito zapatista.
è peraltro significativo che all’inizio degli anni ’90, che
ormai vedevano al tramonto il vecchio e usurato terzomondismo,
quasi ovunque nascano gruppi, comitati, associazioni di sostegno
alla lotta zapatista, che ben presto, al di la dell’opera di
solidarietà con i ribelli chiapanechi, volgono la loro attività
verso altri, più ampi ambiti di intervento. I vari incontri
per “l’Umanità e contro il neoliberismo” promossi dal movimento
zapatista contribuiscono all’allargamento delle prospettive,
alla creazione di relazioni, rapporti, reti internazionali.
Nodi al pettine
Qualcuno ritiene che questa sia l’alba di un movimento inedito,
capace di superare sia la tendenza alla frammentazione e al
“particulare” tipica degli anni ’80 sia l’afflato universale
ma poco attento alle questioni ed alle culture locali caratteristico
del decennio precedente. Mi pare che tale affermazione sia al
momento un po’ azzardata perché ad un esame più attento dei
movimenti sviluppatisi in questi ultimi due anni, al di là dell’avvincente
dichiarazione programmatica dell’unità nella diversità, della
pluralità delle lotte e dei percorsi nelle mobilitazioni, molti
nodi restino irrisolti. E non è, come ritengono alcuni, una
mera questione di “stile”. In gioco non è tanto la strategia
di piazza preferita quanto la prospettiva delle lotte e qui
il discorso diviene infinitamente più complesso perché le linee
di cesura e quelle di convergenza tagliano in modo del tutto
trasversale gruppi ed appartenenze consolidate spezzando talora
vecchi fronti e ricomponendone di nuovi. In altri termini, l’elemento
che tende a colpire i più, ossia le azioni di piazza è alla
fin fine la questione meno interessante perché il “blocco nero”
o la resistenza nonviolenta fanno parte dello spettacolo mentre
i contenuti restano spesso sullo sfondo. Una questione ad esempio
cruciale, è indubbiamente quella ecologica: i temi della difesa
dell’ambiente sono certamente comuni a tutte, o quasi, le componenti
dei movimenti di contro globalizzazione, ma si divaricano poi
tra le correnti ambientaliste e quelle di ecologia profonda,
senza peraltro che tale divaricazione si spalmi sulle appartenenze
comunemente riconosciute.
Le correnti di ecologia profonda sono rintracciabili tra le
aree moderate e moderatissime vicine al cattolicesimo sociale
e tra gli individualisti anarchici, così come, d’altra parte,
l’approccio ambientalista trova parimenti consensi in ambiti
politicamente molto distanti. Fino a che punto i difensori della
Madre Terra, che sacralizzano l’immagine della natura, potranno
convivere con l’ambientalismo laico? Ma al di là delle questioni
contingenti quale futuro potrà avere un movimento che vede al
proprio interno sia le componenti postmoderne che quelle antimoderne?
Prima o poi i nodi verranno al pettine, e non credo sarà facile
scioglierli, perché toccano questioni cruciali. La rivolta contro
la logica annichilente della merce, la rabbia per la distruzione
ambientale, il crescente divario tra chi ha troppo e chi nulla,
sono alla radice di questi movimenti, ma è evidente che la fine
dell’epoca delle grandi narrazioni, se schiude finalmente le
porte ad una prospettiva laica e libertaria, tuttavia al contempo
ridà spazio a miti delle origini e ansie mistiche, tanto più
pericolose quanto più simili a quelle analoghe cui da voce la
destra più profonda.
Su di un altro versante, fino a quando saranno ricomponibili
le fratture tra le tendenze stataliste e neowelfariste e quelle
autogestionarie? Per molti il solo antidoto efficace alla globalizzazione
è nel rafforzamento degli stati nazionali e nella ripresa di
politiche (neo)socialdemocratiche; altri puntano invece su pratiche
di sottrazione alla logica capitalista, ma a loro volta si dividono
tra i fautori del dialogo con le istituzioni e sostenitori della
radicale antitesi tra prassi autogestionaria e ambito statuale.
È immediatamente evidente che non si tratta di questioni di
poco conto e la scelta di una prospettiva rispetto ad un altra
determina orientamenti, alleanze a breve e lungo periodo, strategie
di intervento, che fuori dalle contestazioni di piazza, aprono
orizzonti assai diversi e presumibilmente divaricati.
È probabile che le tante anime dei movimenti di contro globalizzazione
siano riuscite a convivere perché questi movimenti sono ora
nella loro fase aurorale ma, se non si verificheranno rapide
implosioni, probabilmente a breve su parecchi nodi problematici
il confronto in corso diverrà più serrato. Non è un caso che
nel nostro paese, dove il peso delle tradizioni politiche della
sinistra sia moderata che radicale è ancora forte, e dove questi
movimenti non hanno assunto dimensioni paragonabili a quelle
di altri paesi, il dibattito e talora anche lo scontro sia ormai
da tempo particolarmente acceso.
Ancona, Genova, Bologna e ...
Quando uscirà questo numero della rivista avremo già assistito
alle contestazioni previste contro la Conferenza per la sicurezza
dell’Adriatico e dello Jonio ad Ancona e contro il Tebio, la
mostra-mercato delle biotecnologie prevista per il 24, 25, 26
maggio a Genova, mentre si starà ancora preparando la settimana
di mobilitazioni contro il vertice dei paesi dell’OCSE, sulle
piccole e medie imprese in programma a Bologna. Credo saranno
importanti banchi di prova della capacità di radicamento del
movimento di contro globalizzazione nel nostro paese, in vista
della grande manifestazione europea prevista a Praga in occasione
del secondo appuntamento annuale del Fondo Monetario Internazionale.
Questi appuntamenti, e gli altri che si costruiranno nei prossimi
mesi, possono divenire occasione per l’allargarsi dell’opposizione
sociale al di fuori delle logiche di compatibilità con questo
governo, che hanno costituito un rilevante freno allo sviluppo
di iniziative di lotta nell’Italia degli ultimi anni.
Questi movimenti esprimono oggi un disagio difficilmente riassorbibile
da ambiti istituzionali per cui diviene importante essere presenti
non solo nelle varie piazze ma anche nello sforzo di elaborazione
teorica e sperimentazione pratica oggi indispensabile alla crescita
delle sensibilità libertarie. L’invito ad una lotta globale
non ha solo un significato spaziale ma anche e soprattutto il
senso di un movimento capace di investire con la propria capacità
critica e di intervento tutti gli aspetti della vita. Oggi il
capitalismo è divenuto a tal punto pervasivo da divenire una
sorta di seconda natura, per cui cade nell’oblio il suo carattere
di costruzione sociale storicamente data e questo diviene non
il migliore, non il peggiore, ma l’unico dei mondi possibili.
Vi sono altri mondi, vi sono altre possibilità.
Maria Matteo
“Gli
anticlericali
si stanno preparando
a mettere i bastoni
fra le ruote.”
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