rivista anarchica
anno 30 n.264
giugno 2000


Numeri e competenze
di Carlo Oliva

Il (solito) balletto precedente la nomina dei ministri la dice lunga sulla nostra classe politica. E sulla sua professionalità.

 

Illustrazione di Natale Galli
Illustrazione di Natale Galli

 

Non c’è alcun motivo, ovviamente, perché un governo, se proprio di un governo si sente il bisogno, debba essere composto da dodici ministri, né mi risulta che in questo ridotto formato numerico se ne trovino molti. È solo negli Stati Uniti, se non mi sbaglio, che ci si accontenta di averne quattordici e se in Svizzera il numero – pare – scende addirittura a quota sette, va tenuto presente il fatto che quelli sono degli stati federali, e degli stati federali sul serio, nati dall’aggregazione di realtà preesistenti, ciascuna delle quali ha devoluto a un potere centrale un numero limitato di competenze, secondo una procedura che rappresenta, per inciso, l’esatto contrario di quella che qui in Italia periodicamente ci promettono (o ci minacciano) di realizzare, senza peraltro decidersi mai a farlo.
In un paese come il nostro, con un governo dotato di poteri assai vasti, ahimè, e riccamente articolati, le funzioni amministrative non si possono accorpare più di tanto, a rischio di creare delle specie di megadicasteri destinati, nella pratica, a scindersi in un certo numero di strutture minori sostanzialmente, se non formalmente, autonome. Che i ministri debbano essere competenti è un’ovvietà di cui spesso ci si dimentica, ma che debbano anche essere pochi o pochissimi è una pretesa che, dal punto di vista di una sana amministrazione, non sta sempre in piedi.

 

Peccato originale

Ma dire che i ministri debbano essere competenti, naturalmente, non significa che debbano avere esperienza concreta delle varie attività cui i singoli ministeri sovrintendono, non fosse che per il banale motivo che queste attività sono tante e rispecchiano degli interessi spesso contrastanti. Così, l’attività giudiziaria nel suo complesso, fa capo, nella sua pretesa autonomia, al Ministero di Grazia e Giustizia, ma è noto che gli interessi dei giudici non coincidono di necessità con quelli degli avvocati e dei loro difesi, per cui un ministro, come si dice, “tecnico”, uno che abbia una pur ampia esperienza di magistratura o di avvocatura, correrebbe il rischio di dimostrare, più che una competenza particolare, una preoccupante parzialità.
Da qualche tempo, in tutte le democrazie occidentali, si è giunti, se non altro, al tacito accordo per cui di generali al Ministero della Difesa e di prefetti a quello dell’Interno è meglio non metterne, né mi sembra risulti, nei nostri annali governativi, il caso di coltivatori diretti promossi alla guida del Ministero dell’Agricoltura (prima, s’intende, che esso ministero venisse abolito per referendum e sostituito con quello, eminentemente diverso, delle Politiche Agricole).
La competenza che si richiede ai ministri è innanzitutto politica, di orientamento generale, e in secondo luogo amministrativa, di puntuale adempimento degli obblighi legislativi e di indispensabile coordinamento dei molteplici interventi governativi nei vari campi della vita sociale. Chi avesse, del suo campo specifico, una visione dettata da un’esperienza professionale, necessariamente limitata e presumibilmente distorta da interessi specifici, non potrebbe certo dare ai cittadini la necessaria tranquillità. Capirete anche voi che se il problema principale nel campo della Sanità, tanto per fare un esempio, è quello del rapporto tra strutture pubbliche e strutture private, la scelta di un eminente clinico che ha già optato, professionalmente, per il privato non dovrebbe significare, per gli zelatori degli interessi pubblici, nulla di buono. E viceversa, naturalmente, anche se certi viceversa, chissà perché, non si realizzano mai.
Stando così le cose, ammetterete che è strano che il primo peccato dell’attuale governo italiano, il suo peccato originale, per così dire, quello dal quale sono rampollati a cascata tutti gli altri problemi che, voto di fiducia o non voto di fiducia, lo affliggono e lo affliggeranno, sia stato identificato da buona parte dell’opinione pubblica e dell’establishment politico nell’incapacità del Presidente incaricato di ridurre il numero dei ministri. E che la risposta di chi di dovere sia stata che sì, in effetti a meno di ventiquattro ministri non si è potuti scendere, ma che, in compenso, ben due di essi erano tecnici di chiara fama, luminari che di politica e di pubblica amministrazione non ne hanno mai masticato, ma che molto si sono distinti sulle cattedre universitarie e nelle sale operatorie.

 

Il miglior politico é...

È strano perché l’esigenza di avere al governo meno gente possibile, e tra di essi quanti più “tecnici”, nel senso di non politici, si riesca a metterci è un’esigenza che si spiega solo come l’ovvio corollario di una radicale sfiducia nel mondo politico nel suo complesso. Significa dire, plagiando inconsapevolmente la buon’anima del generale Sherman, che il politico migliore è quello assente, e credere che se proprio meno di un certo numero di ministri non si può nominare è meglio penderli il più lontano possibile dalle aule parlamentari o dalle file dei partiti. Il noto chirurgo, sui meriti del quale – s’intende – non saprei pronunciarmi, e l’illustre glottologo, sulle cui competenze, invece, qualcosina da dirvi l’avrei, ma non è questa la sede, e comunque tutti possono sempre andarsi a leggere quanto in tema di linguistica mi è capitato di pubblicare, in questa situazione sono assunti all’empireo governativo per quel che non sono più che per quello che sono. Non sono politici, appunto, il che porta il numero dei politici nel ministero da ventiquattro a ventidue. Non saranno proprio i dodici che aveva chiesto il buon Ciampi (che trae buona parte della sua declinante popolarità dal fatto di essere anche lui un non politico anche se, per combinazione, ha fatto il premier, il ministro e il Presidente della Repubblica), ma, insomma, è già qualcosa.
Il bello è che tutto questo non rappresenta (ripeto, non rappresenta) lo sberleffo di un’opinione pubblica qualunquista ormai radicalmente stomacata da quanto succede in parlamento e al governo. Tutti questi bei complimenti i nostri politici se li sono fatti da soli e da soli continuano a farseli. Andate a rileggervi, se non ci credete, le dichiarazioni dei vari leader e sottoleader.
Ora, sa il cielo se la nostra classe politica, nel suo complesso, non abbia accumulato abbastanza demeriti da giustificare la più radicale diffidenza. Ma che questa diffidenza parti, anzitutto, dalle sue stesse file, be’, questo è davvero preoccupante. Perché se non si fidano neanche di se stessi,, se hanno della propria stessa categoria una visione così negativa, come diavolo faranno a governarci?

Carlo Oliva

 

“Facciamoci
forza, sarà
un anno
durissimo .”