rivista anarchica
anno 30 n.265
estate 2000


Colombia

Schiacciati tra gruppi paramilitari e multinazionali
Intervista a Carlos Romero
di Gianni Sartori

La drammatica realtà dei popoli della Colombia nella testimonianza di un insegnante elementare, esponente della “Fondacion Aurora” del Cauca.

Della Colombia si parla soprattutto come “patria” dei narcotrafficanti e per la violenza endemica. I due fenomeni sono collegati?

Secondo i dati forniti dall’ONU, in questo momento la Colombia è uno dei paesi maggiormente segnati dalla violenza. Con due assassinati per ragioni politiche al giorno possiamo dire che da molti anni ci sono in Colombia più morti che nella ex Yugoslavia durante la guerra. Per noi è sempre molto difficile parlare di questo problema, spiegarne le ragioni. Troviamo incomprensione anche da parte degli altri latino-americani dato che in genere l’opinione pubblica ritiene che la causa principale della violenza sia il narcotraffico e le uccisioni siano sostanzialmente regolamenti di conti fra bande rivali. Eppure, anche ai tempi di Escobar (il più noto dei narcos colombiani), solo una percentuale minima dei morti (cifre attorno allo zero virgola sei o sette) era conseguenza degli attentati operati dai narcotrafficanti. Si calcola che i morti dovuti alle azioni della guerriglia corrispondano al 7% (sette per cento) delle vittime. I rimanenti, ossia la stragrande maggioranza, sono contadini, indios, sindacalisti, insegnanti, membri delle classi popolari caduti sotto i colpi dell’esercito e dei gruppi paramilitari mentre lottavano per i diritti più elementari.

Sembra quasi impossibile che in un simile contesto esista ancora un’opposizione da parte della società civile.

Infatti la cosa più incredibile non è il numero di oppositori o sindacalisti che vengono ammazzati ogni giorno, ma il fatto che quotidianamente altri prendano il loro posto. Per capire quanto sta avvenendo nel mio paese bisogna avere una visione precisa della questione sociale colombiana e per spiegare meglio la situazione, le dinamiche che portano alle ricorrenti stragi, parlerò di un esempio concreto: il recente massacro di un gruppo di contadini nel sud-ovest della Colombia. Quel giorno, una domenica pomeriggio, sono stati assassinati quattordici uomini e tre donne, di cui una incinta di tre mesi. L’esercito colombiano, presente in zona con una base militare, ha ripetutamente negato di essere il responsabile del massacro, accusando la guerriglia. Soltanto dopo l’intervento del Tribunale Internazionale per i Diritti Umani i veri responsabili, i militari, vennero individuati. Ogni dubbio sulla matrice dell’eccidio venne chiarito e i colpevoli furono condannati ad un risarcimento. Nella maggior parte dei casi invece le uccisioni rimangono completamente impunite.

Perché proprio la Colombia è attraversata da un conflitto di tale portata? Quali interessi sono in gioco?

La mia terra, la Colombia, è un vero e proprio paradiso naturale, ricco di risorse ma con gravi contraddizioni sociali. Qualche dato: in una paese di quaranta milioni di abitanti le proprietà sono concentrate nelle mani di circa centoventimila persone. In Colombia ci sono sei milioni di analfabeti e il salario minimo percepito dalla maggior parte dei lavoratori è a malapena sufficiente per vivere. Su undici milioni di contadini, otto sono considerati al di sotto della soglia di povertà. Trecentomila famiglie di contadini sono senza terra e centocinquantamila famiglie chiedono la legalizzazione della proprietà della terra che stanno lavorando e da cui traggono sostentamento.
Questi dati possono aiutarci a comprendere quale distanza vi sia tra i pochi immensamente ricchi e la stragrande maggioranza dei poveri. Il PNL calcolato per il 2000 è di sessanta miliardi di pesos e il trentasei per cento viene utilizzato per pagare gli interessi del debito estero.


Immagino che le politiche adottate dal governo colombiano siano le solite “ricette neoliberiste”, suggerite o imposte dalla finanza internazionale. Come reagiscono invece le classi popolari?

Sicuramente le politiche neoliberiste hanno colpito il nostro popolo in modo durissimo. I contadini in particolare rischiano di morire di fame dal momento che otto milioni di tonnellate di alimenti vengono importate a prezzi inferiori di quelli prodotti in Colombia e intanto settecentomila ettari restano incolti. Recentemente sono stati privatizzati la sanità, la scuola, la produzione di energia elettrica, i telefoni, gli acquedotti. Questi provvedimenti del governo stanno producendo miseria, denutrizione, mancanza di servizi sanitari e di cultura per il popolo colombiano.
In molte zone del paese, soprattutto nel sudovest, il popolo si organizza per resistere, per avere la possibilità di educarsi, di formarsi. Nella regione da cui provengo, il Cauca, si è sviluppata una forte attività di associazionismo tra contadini, educatori e popolazione. Noi vogliamo recuperare le conoscenze tradizionali, ancestrali dei contadini. Studiamo e lavoriamo per conservare e proteggere i semi autoctoni, per impedire che quelli transgenici invadano le nostre terre, azzerando la nostra agricoltura e la nostra economia.

Su che cosa si basa principalmente la vostra possibilità di resistere e sopravvivere?

Abbiamo dalla nostra parte una grande forza, la solidarietà tra le comunità organizzate attorno agli orti comunitari, al lavoro comunitario, alle botteghe comunitarie e alle mense scolastiche.
Portiamo avanti in maniera comunitaria la protezione e la difesa dell’ambiente con diverse strategie. Attualmente per esempio stiamo difendendo un piccolo bacino fluviale, indispensabile per la nostra sopravvivenza e per l’equilibrio idrogeologico. Educhiamo i nostri bambini ad amare la natura e cerchiamo di migliorare la loro alimentazione attraverso le mense scolastiche, aumentando le loro capacità di resistere alle malattie, spesso causate dalla denutrizione. Il nostro obiettivo è anche quello di unire i diversi strati della popolazione in una lotta unitaria.

C’è stato recentemente qualche episodio di resistenza popolare particolarmente significativo.

Vorrei ricordare quanto è avvenuto nel novembre dell’anno scorso, quando abbiamo strappato al governo una piccola parte del bilancio per le infrastrutture indispensabili nella nostra zona. Per ben ventisei giorni cinquantaseimila contadini hanno bloccato la principale strada internazionale che attraversa la Colombia mettendola in comunicazione con il resto dell’America Latina.
Con questa azione volevamo far pressione sul governo affinché investisse nel sociale e non nella guerra e nella repressione. Per fare un esempio ricordo che attualmente il governo investe nell’educazione universitaria l’equivalente di quanto ha speso per allestire un solo circolo per ufficiali.

Gianni Sartori