Della Colombia si parla soprattutto come “patria”
dei narcotrafficanti e per la violenza endemica. I due fenomeni
sono collegati?
Secondo i dati forniti dall’ONU, in questo momento la Colombia
è uno dei paesi maggiormente segnati dalla violenza. Con due
assassinati per ragioni politiche al giorno possiamo dire che
da molti anni ci sono in Colombia più morti che nella ex Yugoslavia
durante la guerra. Per noi è sempre molto difficile parlare
di questo problema, spiegarne le ragioni. Troviamo incomprensione
anche da parte degli altri latino-americani dato che in genere
l’opinione pubblica ritiene che la causa principale della violenza
sia il narcotraffico e le uccisioni siano sostanzialmente regolamenti
di conti fra bande rivali. Eppure, anche ai tempi di Escobar
(il più noto dei narcos colombiani), solo una percentuale minima
dei morti (cifre attorno allo zero virgola sei o sette) era
conseguenza degli attentati operati dai narcotrafficanti. Si
calcola che i morti dovuti alle azioni della guerriglia corrispondano
al 7% (sette per cento) delle vittime. I rimanenti, ossia la
stragrande maggioranza, sono contadini, indios, sindacalisti,
insegnanti, membri delle classi popolari caduti sotto i colpi
dell’esercito e dei gruppi paramilitari mentre lottavano per
i diritti più elementari.
Sembra quasi impossibile che in un simile contesto esista
ancora un’opposizione da parte della società civile.
Infatti la cosa più incredibile non è il numero di oppositori
o sindacalisti che vengono ammazzati ogni giorno, ma il fatto
che quotidianamente altri prendano il loro posto. Per capire
quanto sta avvenendo nel mio paese bisogna avere una visione
precisa della questione sociale colombiana e per spiegare meglio
la situazione, le dinamiche che portano alle ricorrenti stragi,
parlerò di un esempio concreto: il recente massacro di un gruppo
di contadini nel sud-ovest della Colombia. Quel giorno, una
domenica pomeriggio, sono stati assassinati quattordici uomini
e tre donne, di cui una incinta di tre mesi. L’esercito colombiano,
presente in zona con una base militare, ha ripetutamente negato
di essere il responsabile del massacro, accusando la guerriglia.
Soltanto dopo l’intervento del Tribunale Internazionale per
i Diritti Umani i veri responsabili, i militari, vennero individuati.
Ogni dubbio sulla matrice dell’eccidio venne chiarito e i colpevoli
furono condannati ad un risarcimento. Nella maggior parte dei
casi invece le uccisioni rimangono completamente impunite.
Perché proprio la Colombia è attraversata da un conflitto
di tale portata? Quali interessi sono in gioco?
La mia terra, la Colombia, è un vero e proprio paradiso naturale,
ricco di risorse ma con gravi contraddizioni sociali. Qualche
dato: in una paese di quaranta milioni di abitanti le proprietà
sono concentrate nelle mani di circa centoventimila persone.
In Colombia ci sono sei milioni di analfabeti e il salario minimo
percepito dalla maggior parte dei lavoratori è a malapena sufficiente
per vivere. Su undici milioni di contadini, otto sono considerati
al di sotto della soglia di povertà. Trecentomila famiglie di
contadini sono senza terra e centocinquantamila famiglie chiedono
la legalizzazione della proprietà della terra che stanno lavorando
e da cui traggono sostentamento.
Questi dati possono aiutarci a comprendere quale distanza vi
sia tra i pochi immensamente ricchi e la stragrande maggioranza
dei poveri. Il PNL calcolato per il 2000 è di sessanta miliardi
di pesos e il trentasei per cento viene utilizzato per pagare
gli interessi del debito estero.
Immagino che le politiche adottate dal governo colombiano
siano le solite “ricette neoliberiste”, suggerite o imposte
dalla finanza internazionale. Come reagiscono invece le classi
popolari?
Sicuramente le politiche neoliberiste hanno colpito il nostro
popolo in modo durissimo. I contadini in particolare rischiano
di morire di fame dal momento che otto milioni di tonnellate
di alimenti vengono importate a prezzi inferiori di quelli prodotti
in Colombia e intanto settecentomila ettari restano incolti.
Recentemente sono stati privatizzati la sanità, la scuola, la
produzione di energia elettrica, i telefoni, gli acquedotti.
Questi provvedimenti del governo stanno producendo miseria,
denutrizione, mancanza di servizi sanitari e di cultura per
il popolo colombiano.
In molte zone del paese, soprattutto nel sudovest, il popolo
si organizza per resistere, per avere la possibilità di educarsi,
di formarsi. Nella regione da cui provengo, il Cauca, si è sviluppata
una forte attività di associazionismo tra contadini, educatori
e popolazione. Noi vogliamo recuperare le conoscenze tradizionali,
ancestrali dei contadini. Studiamo e lavoriamo per conservare
e proteggere i semi autoctoni, per impedire che quelli transgenici
invadano le nostre terre, azzerando la nostra agricoltura e
la nostra economia.
Su che cosa si basa principalmente la vostra possibilità
di resistere e sopravvivere?
Abbiamo dalla nostra parte una grande forza, la solidarietà
tra le comunità organizzate attorno agli orti comunitari, al
lavoro comunitario, alle botteghe comunitarie e alle mense scolastiche.
Portiamo avanti in maniera comunitaria la protezione e la difesa
dell’ambiente con diverse strategie. Attualmente per esempio
stiamo difendendo un piccolo bacino fluviale, indispensabile
per la nostra sopravvivenza e per l’equilibrio idrogeologico.
Educhiamo i nostri bambini ad amare la natura e cerchiamo di
migliorare la loro alimentazione attraverso le mense scolastiche,
aumentando le loro capacità di resistere alle malattie, spesso
causate dalla denutrizione. Il nostro obiettivo è anche quello
di unire i diversi strati della popolazione in una lotta unitaria.
C’è stato recentemente qualche episodio di resistenza popolare
particolarmente significativo.
Vorrei ricordare quanto è avvenuto nel novembre dell’anno scorso,
quando abbiamo strappato al governo una piccola parte del bilancio
per le infrastrutture indispensabili nella nostra zona. Per
ben ventisei giorni cinquantaseimila contadini hanno bloccato
la principale strada internazionale che attraversa la Colombia
mettendola in comunicazione con il resto dell’America Latina.
Con questa azione volevamo far pressione sul governo affinché
investisse nel sociale e non nella guerra e nella repressione.
Per fare un esempio ricordo che attualmente il governo investe
nell’educazione universitaria l’equivalente di quanto ha speso
per allestire un solo circolo per ufficiali.
Gianni Sartori
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