rivista anarchica
anno 30 n.265
estate 2000


alternative

Libertà improvvisata
(e parecchi Café) a nord di Alexanderplatz
di Frediano de Libero
foto di Gianluca Chimmici

Assaporando birra e libertà nei luoghi di incontro e di nuova socialità nell’ex settore Est della capitale tedesca.

[...] non è del tutto inutile rivolgere alla storia certe domande. La storia infatti, contrariamente a quel che si crede di solito, risponde: risponde attraverso l’oggi, il presente; e in ciò sta quello che forse è il principale fascino del presente, se non la sua unica giustificazione.

Iosif Brodskij


Di fronte al cafè "Wohmzimmer" nella Lettestrasse

Nell’aprile del 1989, sulle pagine del Neues Deutschland , organo ufficiale della SED2, si leggeva il tradizionale appello che invitava lavoratrici e lavoratori a partecipare alla grande manifestazione del primo maggio. Quell’anno inoltre, la manifestazione sarebbe stata l’occasione per festeggiare i quarant’anni della fondazione della Repubblica Democratica Tedesca, e per ascoltare in un comizio i risultati dell’ultimo congresso della SED, congresso - così recitava l’appello - coronato di successo.
Si trattava di andare avanti sulla gloriosa via del socialismo scientifico, via destinata tra l’altro, oramai inevitabilmente, ad essere percorsa dalla maggioranza dei popoli.
In ogni caso, una decina di mesi dopo la DDR non esisteva più.
L’ex sede del Neues Deutschland, già fabbrica di birra all’inizio del ‘900, è oggi occupata da laboratori di artigiani e artisti, da uno studio di giovani architetti squattrinati, da un’associazione che lavora con i bambini etc etc. Nei due grandi cortili dall’acciottolato irregolare (dove crescono piante abusivamente), appena arriva il bel tempo si vede gente intenta a mangiare e bere attorno a tavolini improvvisati e a godersi il sole. All’interno, nei corridoi bui s’incontrano ancora resti di un tempo passato non si sa da quanto. Sulla parete di uno dei bagni c’è una scritta sbilenca che dice: viva Bakunin.


Prospettiva della Stargarder Strasse vista dalla Pappelallee

 

Così va il mondo

Ma non durerà a lungo: anche qui, come dappertutto nei quartieri della ex Berlino est, è arrivata la lunga mano del capitalismo reale (vittorioso e sorridente), mano che invita con gentile fermezza a sgomberare il terreno. Questa accozzaglia di edifici scrostati, ma soprattutto l’improvvisazione autogestionaria di coloro che ci lavorano dentro e gli affitti piuttosto bassi che pagano, tutto questo deve essere rimpiazzato dai nuovi standard di “estetica e sicurezza”. Cioè a dire che anche qui si spenderà qualche miliardo per tirare il tutto a lucido e poi rivenderlo
Questa roba i giornali la chiamano la nuova Berlino : non dipende dalla volontà di politici, immobiliari e speculatori vari arrivati come avvoltoi da Colonia Francoforte Monaco, no, è ancora il corso inevitabile della Storia.
In ogni caso, già all’epoca del primo maggio successivo a quello dell’ultimo congresso vittorioso della SED, ovvero sei mesi dopo la caduta del muro, in alcuni quartieri di Berlino est bar e caffè hanno cominciato a spuntare come funghi. Molti, soprattutto i giovani, hanno smesso di incontrarsi unicamente in case private (come si era fatto fino ad allora) e hanno riaffollato strade e piazze, tirando tardi ai tavolini o direttamente seduti sui marciapiedi, con una bottiglia di birra in mano.
Cosa c’entra la fine di una dittatura con il bere e il chiacchierare in strada?


Angolo fra la Lychener Strasse e la Raumer Strasse

 

 

Una debole lucina

Al bar si va a bere qualcosa stando in piedi al bancone, mentre al caffè (Café, se alla francese o alla tedesca) ci si siede al tavolo e si passano anche diverse ore a parlare, leggere, scrivere; il primo è piccolo e pieno (di cose, di gente), il secondo più spazioso e tranquillo. Questa la distinzione fondamentale secondo un autorevole addetto ai lavori, Luis Buñuel. Ma questa distinzione si riferiva alle tipologie del caffè francese e del bar spagnolo. In Germania si confrontano, più propriamente, la generica Kneipe (birreria e, anticamente, osteria) e il Café. Con Bar si intende un locale notturno in generale. A città riunificata, in alcuni quartieri dell’est questa parola ha però cominciato a significare ogni forma di ritrovo (e ce n’era, soprattutto all’inizio, veramente di ogni tipo) dove si potesse almeno bere della birra. Entrando in un cortile semi abbandonato e avvolto nell’oscurità notturna, capitava di scorgere una debole lucina. Era una candela, segnale indicatore di un Bar : che risultava poi essere una specie di capanna, con qualche poltrona e dei tappeti recuperati in vecchie cantine e un frigo scassato per le bottiglie. Da un registratore portatile usciva della musica brasiliana, perciò lo si chiamava il Bar brasiliano.
Oggi in tutta la città, ma particolarmente concentrati nei quartieri centrali della ex Berlino est, s’incontra davvero una quantità eccezionale di Bar, Kneipe e Café. Pare che nei gloriosi anni Venti ve ne fossero quattro volte tanti. Corsi e ricorsi.


Un cafè sulla Schönhanser Allee

 

 

Stalin al Gorky

Davanti alla ex fabbrica di birra ed ex sede del Neues Deutschland sta una bella piazza, su cui affacciano due Café. Siamo tra Prenzlauerberg e Mitte3. Altri Café li si trova in qualunque direzione si prenda, est ovest nord sud. Scendendo qualche centinaio di metri verso sud, s’incontra il Gorky. È accogliente e frequentato prevalentemente (in questo non fa eccezione) da una popolazione tra i venticinque e i quarant’anni, dall’aspetto alternativo, come si suol dire. Fuori dalle finestre, oltre la strada, si vedono le impalcature di un ennesimo cantiere. Un paio di belle ragazze servono ai tavoli. Dietro al bancone, su uno scaffale, sta allineata l’opera completa di Josif Stalin, alle pareti un suo ritratto.
Così va il mondo.


Coda di un corteo di liceali sulla Schönhanser Allee

 

Ogni pianerottolo una spia

Prenzlauerberg, come già detto, è un quartiere della ex Berlino est. Per metà era delimitato dal famigerato muro4, che lo separava dal quartiere di Wedding, a Berlino ovest. Le cartine della città edite in DDR riservano una sorpresina interessante, di cui non ci si rende conto a tutta prima. Oltre il muro (“a ovest”) non sono più segnate vie o piazze, niente: Berlino ovest, apparentemente, era un solo grande parco. Sul frontespizio di tali cartine, però, stava sempre orgogliosamente scritto: Berlino. Non Berlino est, semplicemente Berlino. In ogni caso Berg vuol dire monte, Prenzlau è una cittadina a nord di Berlino. Prenzlauerberg da un po’ di anni s’è guadagnato una certa fama, e non solo a Berlino. A volte si dimentica però che speciale Prenzlauerberg lo divenne già negli anni Ottanta, in epoca DDR. Le vecchie case risparmiate dai bombardamenti degli alleati e anche quelle ricostruite dopo il 1945 vennero successivamente abbandonate in favore dei nuovissimi palazzi, eretti in maggioranza in quartieri più periferici. Migliaia di persone migrarono da un quartiere all’altro della città: dalle stufe a carbone al riscaldamento centralizzato, dai pavimenti ad assi di legno scricchiolanti al cemento e linoleum, dalle tubature marcescenti dei cessi sul pianerottolo alle vasche di plastica in appartamentini al ventesimo piano di enormi edifici prefabbricati. La versione socialista di questa sottospecie architettonica di razionalismo dei poveri (realizzazione dell’eterno sogno piccolo borghese di lusso e comodità), produsse tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta risultati il cui rilievo estetico e sociale non differisce di molto da quello delle periferie di ogni grande città del mondo. Con la differenza che il nuovo squallore, la monotonia e il kitsch di questa architettura venivano nel blocco orientale propagandati come conquista peculiare del socialismo. Per conto loro i dirigenti, i quadri del Partito e l’intellighenzia varia (i bonzi, come venivano chiamati) abitavano in palazzi un po’ meno squallidi e in villette situate in altri quartieri ancora.
Insomma, Prenzlauerberg5 rimase un po’ una terra di nessuno e, come si sa, nei vuoti o semi-vuoti di potere accade (spesso, non sempre) quel miracolo che si chiama auto organizzazione; prima che nuovi poteri dettino nuove regole e divieti. Questa “stranezza” socio-politica si verificò per due volte di seguito: poco prima e poco dopo la caduta del muro. Non che questo quartiere all’epoca della DDR sfuggisse al controllo poliziesco o sociale: ad ogni pianerottolo di ogni palazzo abitato, statisticamente, c’era comunque una famiglia di cui almeno un membro svolgeva da bravo il suo compito di informatore della Stasi6. Informatori a parte, però, sembra che negli anni Ottanta a Prenzlauerberg soffiasse una brezza di libertà, in ogni caso qualcosa di sensibilmente diverso dagli altri quartieri dell’est. Ragazzi dall’aria volutamente trasandata, punks e compagnia cantante si trasferivano nelle case semi abbandonate di questo quartiere per vivere “a modo loro”: feste, discussioni politiche, musica rock, giornalini critici, bar. Già, anche qualche Bar e Café. Queste categorie di locali pubblici erano quasi scomparse sotto il regime comunista: a parte tristi balere e Kneipe, pochissimi Café erano tollerati (roba troppo borghese), e anche questi pochi alla fine non venivano frequentati dagli indigeni - un po’ a causa dei prezzi, un po’ a causa del fatto che “non era bene” - bensì solo dai turisti. A Prenzlauerberg il Café risorse - più o meno legalmente, più o meno improvvisato - come luogo di ritrovo pubblico, dove fare quella cosa tremendamente sospetta che si chiama incontrarsi e chiacchierare (bevendo): è noto che tra una birra e un caffè vien sempre voglia di fare qualcosa di sovversivo7.
E così, con tutte le differenze del caso, anche Berlino est si ritrovò ad avere una controparte di Kreuzberg, il quartiere alternativo di Berlino ovest famoso per le sue comuni, le case occupate, i capelli colorati, le versioni radicali del movimento ecologista e così via. In un suo libro sulla “scena” di Prenzlauerberg, scritto e edito alla fine degli anni Ottanta in DDR, Daniela Dahn ad un certo punto nota questa simmetria tra i nomi dei due quartieri e la loro tipologia, e ironizza sul fatto che probabilmente si tratta dell’aria di montagna (Berg, come già detto). In ogni caso, quando, dopo la “caduta del muro” iniziò una vera e propria migrazione “culturale” ovest-est, specie verso Prenzlauerberg, migrazione la cui composizione sociale ha visto la preminenza di studenti intellettuali artisti e sfaccendati vari, il quartiere aveva già una sua identità anomala rispetto ad altri quartieri di Berlino (che a sua volta, va ricordato, rappresenta di per sé un’anomalia rispetto al resto della Germania). Semplicemente il tutto si elevò al quadrato, per così dire.


Ex fabbrica di birra nella Knaack Strasse, oggi centro culturale

 

 

Come a Monaco negli anni Venti

“Schwabing è come Montmartre, più che un luogo geografico un concetto culturale”. Tra il 1927 e il 1929 Erich Mühsam, poeta agitatore politico e cabarettista tedesco, scrisse delle memorie in cui con particolare affetto ricorda il suo periodo bohemien, nei primi due decenni del secolo a Monaco di Baviera. Un capitoletto8 è tutto dedicato a Schwabing, quello che allora era il quartiere “degli artisti”. Molte delle sue descrizioni - nonostante una novantina d’anni di distanza e il fatto che si tratta di un’altra città tedesca - si potrebbero oggi utilizzare, sostituendo semplicemente Prenzlauerberg a Schwabing.
“E gli uomini, appunto, che di Schwabing hanno fatto un concetto culturale sono stati pittori, scultori, poeti, modelle, nullafacenti, filosofi, fondatori di sette religiose, sovversivi, riformatori, sessisti, psicoanalisti, musicisti, architetti, modiste, figlie maggiori fuggite di casa, eterni studenti, attivi e pigri, assetati di vita e annoiati dalla vita, scapigliati e ben pettinati, tutti accomunati da un’estrema diversità l’uno dall’altro (una diversità che non conosce juste milieu), nonché dalla consapevolezza di essere tutti distanti da quel juste milieu, mentre li ha uniti una segreta appartenenza alla Loggia della Ribellione contro l’Autorità dei costumi dominanti e dalla volontà di non piegare alla Norma il proprio comportamento individuale”.
Tutto torna. E come allora a Schwabing, così da un po’ di anni a Prenzlauerberg il Café è un passaggio obbligato.


"La frontiera passa non tra i popoli ma tra l'alto e il basso"
(Muro di una casa nel quartiere di Kreutzberg)

 

Contributo volontario

Naturalmente ogni Café è qualcosa di a sé stante. Tuttavia un’estetica comune la si nota: vecchi tavoli e vecchie sedie, spesso spaiati, pavimento ad assi di legno, una candela per tavolo accesa a qualunque ora del giorno. In questa città “vecchio” è un aggettivo importante, ambiguo, ma tendenzialmente positivo. L’ideologia del “nuovo”, imperante su tutto il pianeta, trova qui una significativa resistenza. Un po’ come il villaggio di Asterix rispetto alla dominazione romana. La verità è che a Berlino est la Storia si è concentrata già così tante volte, sbugiardandosi da sola senza vergogna, che questioni di vecchio e nuovo, passato e presente qui le si tratta con una certa cautela e ironia.
Il clima nel Café è sempre rilassato, ci si sorride tra sconosciuti. Camerieri, clienti e spesso anche i gestori appartengono alla stessa tipologia, e non è raro che ci si confonda nel fare le ordinazioni. Sulla vetrina di un Café c’è un cartello con le foto di Che Guevara, Re Hussein, Honecker e le relative date di nascita e di morte. Poi la scritta: “non aspettare troppo, se no non ce la fai nemmeno tu a visitarci”.
Ci sono caffè frequentati dagli studenti più modaioli, e quelli in cui si ritrovano gruppi di giovani antifascisti. Ci sono caffè in cui gestori e clienti conservano le “tradizioni” dell’est: a seconda del tipo di birra che ordina un nuovo cliente, sanno subito se è un Ossi o un Wessi9.
Ci sono i cosiddetti bar del lunedì, bar del martedì e così via, cioè locali (spesso lo sono solo nell’accezione spaziale: stanze vuote di qualche vecchia casa) che uno o due giorni alla settimana vengono “aperti al pubblico”, il che significa che gli organizzatori si occupano di portare uno stereo per la musica e qualche cassa di birra e di vino. Invano si cercheranno i giorni di apertura o gli indirizzi di questi Bar sui vari giornali dedicati a cosa offre giorno per giorno la città: tali informazioni passano solo di bocca in bocca; non ultimo per evitare grane con la Finanza.
C’è un locale aperto solo le sere del mercoledì e del venerdì, che si chiama Grünli. Il nome non significa nulla: i gestori - così raccontano - avevano trovato delle belle grosse lettere di una vecchia insegna e volevano farne qualcosa, e così le hanno riassemblate in forma pronunciabile. Al Grünli si può bere vino e mangiare, a scelta, uno dei due piatti unici della serata, o, se ne avanza, anche tutti e due. Entrando, ci si ritrova in una sala perfettamente arredata con mobili tra il vecchio e l’antico: sedie poltrone tavoli tappeti librerie cassettoni tende etc. Nello stesso stile da trovarobe seguono altre due stanze. Nell’ultima in fondo, tra il pianoforte e il bagno, c’è un fornello e un tavolo su cui i due giovani gestori preparano da mangiare. Uno è tedesco e l’altro argentino. Si è in tutto e per tutto a casa loro, non ci si riesce a capacitare di essere in un locale pubblico. In ogni caso - a parte la zuppa o l’arrosto che vengono serviti ai tavoli per evitare ingorghi davanti al fornello - per bere ci si serve da sé, scegliendo tra le cinque brocche in cui è stato scaraffato il vino di altrettante (diverse) bottiglie. Sul pianoforte, a fianco delle brocche sta un grosso bicchiere con dentro monete e banconote. A fine serata ogni “cliente” versa il corrispettivo che gli pare giusto pagare per quel che ha consumato. Richiesto se quest’idea avesse motivazioni politiche, uno dei due gestori scuote la testa sorridendo: “Macché, il fatto è che così la faccenda è divertente anche per noi. Non si cade nella tipologia abituale del rapporto padrone-cliente, dove il primo si affanna l’intera serata a cercare di non dimenticarsi di segnare tutte le consumazioni e poi alla fine si lamenta comunque. No, la nostra è semplice pigrizia, lavorare di meno e divertirsi di più. Abbiamo cominciato a cucinare per degli amici, poi è passata la voce... non abbiamo voluto rinunciare a quell’atmosfera iniziale, tutto qui.”


Interno del caffè "French Quarter" nella Choriner Strasse

 

 

Accettare la stranezza

Berlino ha avuto una lunga tradizione di ospitalità: per gli stranieri, per le minoranze religiose etc. Dopo due dittature - una dopo l’altra - Berlino est si trova di nuovo piena di stranieri. Ma c’è di più: dopo la caduta del muro, con il flusso di “tedeschi dell’ovest” in alcuni quartieri dell’est, e l’”ovestizzazione” della cultura in genere, molti tedeschi si sono sentiti stranieri tra tedeschi, stranieri a casa propria. Con tutte le difficoltà che questo comporta. E tuttavia “l’essere straniero” in quanto presupposto epistemologico permette di accettare più facilmente la stranezza come parte della quotidianità.
Ancora Mühsam: “Schwabing fu un insediamento in massa di tanti eccentrici, e qui sta tutto il suo valore pedagogico. La minoranza eccentrica di Schwabing ce la fece a non dar più nell’occhio alla maggioranza grigia”.
Questo è un piccolo villaggio. Pieno di Café. Quassù si sperimenta, semplicemente. Qualcosa dura anni, qualcosa dura mesi, qualcosa dura pochi giorni. Prosit.

 

Frediano de Libero

 

1- L’autore di questo articolo visitò Berlino nel 1995 e nel 1997, e dal 1998 ci vive. Le fonti sono l’osservazione diretta, i racconti di varie persone, e stampa varia. Per chi voglia avere un ritratto a tutto tondo della città, consigliamo l’ottimo libro Alexanderplatz, di Carlo Bastasin, Feltrinelli, 1996.
2- Sozialistische Einheitspartei Deutschlands: Partito socialista unificato della Germania.
3- Letteralmente: centro. Il quartiere più vecchio e a più alta densità di edifici “importanti”, musei etc della città. Dopo la divisione della città fece parte di Berlino est.
4- Eretto nel 1961.
5- Anche altri quartieri di Berlino est hanno in parte avuto una storia simile, come Mitte e Friedrichshain. Anzi, a dire il vero negli ultimi tempi Friedrichshain sta subentrando come quartiere alternativo, man mano che Prenzlauerberg si normalizza secondo la paradigmatica sequenza: ristrutturazione delle case, innalzamento dei prezzi, ricambio della popolazione, sostituzione di botteghe e locali. In meno di dieci anni, prima P. si è a costruito un’identità anomala e poi immobiliari e affaristi hanno cominciato a venderla in versione “ripulita” ai nuovi ricchi alla ricerca di pittoresco.
6- STASI è l’acronimo di Staatsicherheit: servizi segreti, nonché polizia politica della DDR. Questi “collaboratori non ufficiali” (Innofizieller Mitarbeiter) erano per lo più comuni cittadini che regolarmente fornivano informazioni alla Stasi sui fatti più disparati e minimali. Solo una potente ideologia unita alla tradizionale disciplina e al rispetto dell’autorità dei tedeschi poterono mettere in pratica questo meccanismo orweliano di controllo della popolazione da parte di se stessa (si parla di un cittadino su quattro controllato e diverse decine di migliaia di “controllanti”). Dopo la riunificazione della Germania, sono stati resi semi-pubblici gli archivi della Stasi. Le cifre non richiedono altri commenti: un metro di documenti corrisponde a diecimila fogli di carta; sono stati ritrovati 180 chilometri di rapporti di spionaggio.
7- La battuta non è così esagerata, se si pensa ad almeno due precedenti storici molto noti in Germania.
Il putsch di Hitler dell’8 novembre 1923, iniziato nella birreria Bürgerbrèukeller, detto appunto “putsch della birreria”, e la proclamazione, sempre a Monaco, della “Repubblica dei consigli” del 1919, che pare fosse seguita ad una grande bevuta in un’altra birreria della città.
8- Cfr. E. Mühsam, Dal cabaret alle barricate, a cura di A. Fambrini e N. Muzzi, Elèuthera, 1999.
9- Ossi, cioè dell’est; Wessi, dell’ovest. Entrambi i nomignoli vengono utilizzati in un’accezione dispregiativa, ironica, o in entrambe al contempo. Box Didascalie Di fronte al cafè “Wohmzimmer” nella Lettestrasse Prospettiva della Stargarder Strasse vista dalla Pappelallee Angolo fra la Lychener Strasse e la Raumer Strasse Un cafè sulla Schönhanser Allee Coda di un corteo di liceali sulla Schönhauser Allee Ex fabbrica di birra nella Knaack Strasse, oggi centro culturale “La frontiera passa non tra i popoli ma tra l’alto e il basso” (Muro di una casa nel quartiere di Kreutzberg) Interno del caffè “French Quarter” nella Choriner Strasse