[...] non è del tutto inutile rivolgere alla storia certe
domande. La storia infatti, contrariamente a quel che si crede
di solito, risponde: risponde attraverso l’oggi, il presente;
e in ciò sta quello che forse è il principale fascino del presente,
se non la sua unica giustificazione.
Iosif Brodskij
Di fronte al cafè "Wohmzimmer" nella Lettestrasse
Nell’aprile del 1989, sulle
pagine del Neues Deutschland , organo ufficiale della
SED2, si leggeva il tradizionale appello che invitava lavoratrici
e lavoratori a partecipare alla grande manifestazione del primo
maggio. Quell’anno inoltre, la manifestazione sarebbe stata
l’occasione per festeggiare i quarant’anni della fondazione
della Repubblica Democratica Tedesca, e per ascoltare in un
comizio i risultati dell’ultimo congresso della SED, congresso
- così recitava l’appello - coronato di successo.
Si trattava di andare avanti sulla gloriosa via del socialismo
scientifico, via destinata tra l’altro, oramai inevitabilmente,
ad essere percorsa dalla maggioranza dei popoli.
In ogni caso, una decina di mesi dopo la DDR non esisteva più.
L’ex sede del Neues Deutschland, già fabbrica di birra
all’inizio del ‘900, è oggi occupata da laboratori di artigiani
e artisti, da uno studio di giovani architetti squattrinati,
da un’associazione che lavora con i bambini etc etc. Nei due
grandi cortili dall’acciottolato irregolare (dove crescono piante
abusivamente), appena arriva il bel tempo si vede gente intenta
a mangiare e bere attorno a tavolini improvvisati e a godersi
il sole. All’interno, nei corridoi bui s’incontrano ancora resti
di un tempo passato non si sa da quanto. Sulla parete di uno
dei bagni c’è una scritta sbilenca che dice: viva Bakunin.
Prospettiva della Stargarder Strasse vista dalla Pappelallee
Così va il mondo
Ma non durerà a lungo: anche qui, come dappertutto
nei quartieri della ex Berlino est, è arrivata la lunga mano
del capitalismo reale (vittorioso e sorridente), mano che invita
con gentile fermezza a sgomberare il terreno. Questa accozzaglia
di edifici scrostati, ma soprattutto l’improvvisazione autogestionaria
di coloro che ci lavorano dentro e gli affitti piuttosto bassi
che pagano, tutto questo deve essere rimpiazzato dai nuovi standard
di “estetica e sicurezza”. Cioè a dire che anche qui si spenderà
qualche miliardo per tirare il tutto a lucido e poi rivenderlo
Questa roba i giornali la chiamano la nuova Berlino : non dipende
dalla volontà di politici, immobiliari e speculatori vari arrivati
come avvoltoi da Colonia Francoforte Monaco, no, è ancora il
corso inevitabile della Storia.
In ogni caso, già all’epoca del primo maggio successivo a quello
dell’ultimo congresso vittorioso della SED, ovvero sei mesi
dopo la caduta del muro, in alcuni quartieri di Berlino est
bar e caffè hanno cominciato a spuntare come funghi. Molti,
soprattutto i giovani, hanno smesso di incontrarsi unicamente
in case private (come si era fatto fino ad allora) e hanno riaffollato
strade e piazze, tirando tardi ai tavolini o direttamente seduti
sui marciapiedi, con una bottiglia di birra in mano.
Cosa c’entra la fine di una dittatura con il bere e il chiacchierare
in strada?
Angolo fra la Lychener Strasse e la Raumer Strasse
Una debole lucina
Al bar si va a bere qualcosa stando in piedi
al bancone, mentre al caffè (Café, se alla francese o alla tedesca)
ci si siede al tavolo e si passano anche diverse ore a parlare,
leggere, scrivere; il primo è piccolo e pieno (di cose, di gente),
il secondo più spazioso e tranquillo. Questa la distinzione
fondamentale secondo un autorevole addetto ai lavori, Luis Buñuel.
Ma questa distinzione si riferiva alle tipologie del caffè francese
e del bar spagnolo. In Germania si confrontano, più propriamente,
la generica Kneipe (birreria e, anticamente, osteria) e il Café.
Con Bar si intende un locale notturno in generale. A città riunificata,
in alcuni quartieri dell’est questa parola ha però cominciato
a significare ogni forma di ritrovo (e ce n’era, soprattutto
all’inizio, veramente di ogni tipo) dove si potesse almeno bere
della birra. Entrando in un cortile semi abbandonato e avvolto
nell’oscurità notturna, capitava di scorgere una debole lucina.
Era una candela, segnale indicatore di un Bar : che risultava
poi essere una specie di capanna, con qualche poltrona e dei
tappeti recuperati in vecchie cantine e un frigo scassato per
le bottiglie. Da un registratore portatile usciva della musica
brasiliana, perciò lo si chiamava il Bar brasiliano.
Oggi in tutta la città, ma particolarmente concentrati nei quartieri
centrali della ex Berlino est, s’incontra davvero una quantità
eccezionale di Bar, Kneipe e Café. Pare che nei gloriosi anni
Venti ve ne fossero quattro volte tanti. Corsi e ricorsi.
Un cafè sulla Schönhanser Allee
Stalin al Gorky
Davanti alla ex fabbrica di birra ed ex sede
del Neues Deutschland sta una bella piazza, su cui affacciano
due Café. Siamo tra Prenzlauerberg e Mitte3. Altri Café li si
trova in qualunque direzione si prenda, est ovest nord sud.
Scendendo qualche centinaio di metri verso sud, s’incontra il
Gorky. È accogliente e frequentato prevalentemente (in questo
non fa eccezione) da una popolazione tra i venticinque e i quarant’anni,
dall’aspetto alternativo, come si suol dire. Fuori dalle finestre,
oltre la strada, si vedono le impalcature di un ennesimo cantiere.
Un paio di belle ragazze servono ai tavoli. Dietro al bancone,
su uno scaffale, sta allineata l’opera completa di Josif Stalin,
alle pareti un suo ritratto.
Così va il mondo.
Coda di un corteo di liceali sulla Schönhanser Allee
Ogni pianerottolo una spia
Prenzlauerberg, come già detto, è un quartiere
della ex Berlino est. Per metà era delimitato dal famigerato
muro4, che lo separava dal quartiere di Wedding,
a Berlino ovest. Le cartine della città edite in DDR riservano
una sorpresina interessante, di cui non ci si rende conto a
tutta prima. Oltre il muro (“a ovest”) non sono più segnate
vie o piazze, niente: Berlino ovest, apparentemente, era un
solo grande parco. Sul frontespizio di tali cartine, però, stava
sempre orgogliosamente scritto: Berlino. Non Berlino est, semplicemente
Berlino. In ogni caso Berg vuol dire monte, Prenzlau è una cittadina
a nord di Berlino. Prenzlauerberg da un po’ di anni s’è guadagnato
una certa fama, e non solo a Berlino. A volte si dimentica però
che speciale Prenzlauerberg lo divenne già negli anni Ottanta,
in epoca DDR. Le vecchie case risparmiate dai bombardamenti
degli alleati e anche quelle ricostruite dopo il 1945 vennero
successivamente abbandonate in favore dei nuovissimi palazzi,
eretti in maggioranza in quartieri più periferici. Migliaia
di persone migrarono da un quartiere all’altro della città:
dalle stufe a carbone al riscaldamento centralizzato, dai pavimenti
ad assi di legno scricchiolanti al cemento e linoleum, dalle
tubature marcescenti dei cessi sul pianerottolo alle vasche
di plastica in appartamentini al ventesimo piano di enormi edifici
prefabbricati. La versione socialista di questa sottospecie
architettonica di razionalismo dei poveri (realizzazione dell’eterno
sogno piccolo borghese di lusso e comodità), produsse tra gli
anni Sessanta e gli anni Ottanta risultati il cui rilievo estetico
e sociale non differisce di molto da quello delle periferie
di ogni grande città del mondo. Con la differenza che il nuovo
squallore, la monotonia e il kitsch di questa architettura venivano
nel blocco orientale propagandati come conquista peculiare del
socialismo. Per conto loro i dirigenti, i quadri del Partito
e l’intellighenzia varia (i bonzi, come venivano chiamati) abitavano
in palazzi un po’ meno squallidi e in villette situate in altri
quartieri ancora.
Insomma, Prenzlauerberg5 rimase un po’ una terra
di nessuno e, come si sa, nei vuoti o semi-vuoti di potere accade
(spesso, non sempre) quel miracolo che si chiama auto organizzazione;
prima che nuovi poteri dettino nuove regole e divieti. Questa
“stranezza” socio-politica si verificò per due volte di seguito:
poco prima e poco dopo la caduta del muro. Non che questo quartiere
all’epoca della DDR sfuggisse al controllo poliziesco o sociale:
ad ogni pianerottolo di ogni palazzo abitato, statisticamente,
c’era comunque una famiglia di cui almeno un membro svolgeva
da bravo il suo compito di informatore della Stasi6.
Informatori a parte, però, sembra che negli anni Ottanta a Prenzlauerberg
soffiasse una brezza di libertà, in ogni caso qualcosa di sensibilmente
diverso dagli altri quartieri dell’est. Ragazzi dall’aria volutamente
trasandata, punks e compagnia cantante si trasferivano nelle
case semi abbandonate di questo quartiere per vivere “a modo
loro”: feste, discussioni politiche, musica rock, giornalini
critici, bar. Già, anche qualche Bar e Café. Queste categorie
di locali pubblici erano quasi scomparse sotto il regime comunista:
a parte tristi balere e Kneipe, pochissimi Café erano tollerati
(roba troppo borghese), e anche questi pochi alla fine non venivano
frequentati dagli indigeni - un po’ a causa dei prezzi, un po’
a causa del fatto che “non era bene” - bensì solo dai turisti.
A Prenzlauerberg il Café risorse - più o meno legalmente, più
o meno improvvisato - come luogo di ritrovo pubblico, dove fare
quella cosa tremendamente sospetta che si chiama incontrarsi
e chiacchierare (bevendo): è noto che tra una birra e un caffè
vien sempre voglia di fare qualcosa di sovversivo7.
E così, con tutte le differenze del caso, anche Berlino est
si ritrovò ad avere una controparte di Kreuzberg, il quartiere
alternativo di Berlino ovest famoso per le sue comuni, le case
occupate, i capelli colorati, le versioni radicali del movimento
ecologista e così via. In un suo libro sulla “scena” di Prenzlauerberg,
scritto e edito alla fine degli anni Ottanta in DDR, Daniela
Dahn ad un certo punto nota questa simmetria tra i nomi dei
due quartieri e la loro tipologia, e ironizza sul fatto che
probabilmente si tratta dell’aria di montagna (Berg, come già
detto). In ogni caso, quando, dopo la “caduta del muro” iniziò
una vera e propria migrazione “culturale” ovest-est, specie
verso Prenzlauerberg, migrazione la cui composizione sociale
ha visto la preminenza di studenti intellettuali artisti e sfaccendati
vari, il quartiere aveva già una sua identità anomala rispetto
ad altri quartieri di Berlino (che a sua volta, va ricordato,
rappresenta di per sé un’anomalia rispetto al resto della Germania).
Semplicemente il tutto si elevò al quadrato, per così dire.
Ex fabbrica di birra nella Knaack Strasse, oggi centro culturale
Come a Monaco negli anni Venti
“Schwabing è come Montmartre, più che un luogo
geografico un concetto culturale”. Tra il 1927 e il 1929 Erich
Mühsam, poeta agitatore politico e cabarettista tedesco, scrisse
delle memorie in cui con particolare affetto ricorda il suo
periodo bohemien, nei primi due decenni del secolo a Monaco
di Baviera. Un capitoletto8 è tutto dedicato a Schwabing, quello
che allora era il quartiere “degli artisti”. Molte delle sue
descrizioni - nonostante una novantina d’anni di distanza e
il fatto che si tratta di un’altra città tedesca - si potrebbero
oggi utilizzare, sostituendo semplicemente Prenzlauerberg a
Schwabing.
“E gli uomini, appunto, che di Schwabing hanno fatto un concetto
culturale sono stati pittori, scultori, poeti, modelle, nullafacenti,
filosofi, fondatori di sette religiose, sovversivi, riformatori,
sessisti, psicoanalisti, musicisti, architetti, modiste, figlie
maggiori fuggite di casa, eterni studenti, attivi e pigri, assetati
di vita e annoiati dalla vita, scapigliati e ben pettinati,
tutti accomunati da un’estrema diversità l’uno dall’altro (una
diversità che non conosce juste milieu), nonché dalla consapevolezza
di essere tutti distanti da quel juste milieu, mentre li ha
uniti una segreta appartenenza alla Loggia della Ribellione
contro l’Autorità dei costumi dominanti e dalla volontà di non
piegare alla Norma il proprio comportamento individuale”.
Tutto torna. E come allora a Schwabing, così da un po’ di anni
a Prenzlauerberg il Café è un passaggio obbligato.
"La frontiera passa non tra i popoli ma tra l'alto e il
basso"
(Muro di una casa nel quartiere di Kreutzberg)
Contributo volontario
Naturalmente ogni Café è qualcosa di a sé stante.
Tuttavia un’estetica comune la si nota: vecchi tavoli e vecchie
sedie, spesso spaiati, pavimento ad assi di legno, una candela
per tavolo accesa a qualunque ora del giorno. In questa città
“vecchio” è un aggettivo importante, ambiguo, ma tendenzialmente
positivo. L’ideologia del “nuovo”, imperante su tutto il pianeta,
trova qui una significativa resistenza. Un po’ come il villaggio
di Asterix rispetto alla dominazione romana. La verità è che
a Berlino est la Storia si è concentrata già così tante volte,
sbugiardandosi da sola senza vergogna, che questioni di vecchio
e nuovo, passato e presente qui le si tratta con una certa cautela
e ironia.
Il clima nel Café è sempre rilassato, ci si sorride tra sconosciuti.
Camerieri, clienti e spesso anche i gestori appartengono alla
stessa tipologia, e non è raro che ci si confonda nel fare le
ordinazioni. Sulla vetrina di un Café c’è un cartello con le
foto di Che Guevara, Re Hussein, Honecker e le relative date
di nascita e di morte. Poi la scritta: “non aspettare troppo,
se no non ce la fai nemmeno tu a visitarci”.
Ci sono caffè frequentati dagli studenti più modaioli, e quelli
in cui si ritrovano gruppi di giovani antifascisti. Ci sono
caffè in cui gestori e clienti conservano le “tradizioni” dell’est:
a seconda del tipo di birra che ordina un nuovo cliente, sanno
subito se è un Ossi o un Wessi9.
Ci sono i cosiddetti bar del lunedì, bar del martedì e così
via, cioè locali (spesso lo sono solo nell’accezione spaziale:
stanze vuote di qualche vecchia casa) che uno o due giorni alla
settimana vengono “aperti al pubblico”, il che significa che
gli organizzatori si occupano di portare uno stereo per la musica
e qualche cassa di birra e di vino. Invano si cercheranno i
giorni di apertura o gli indirizzi di questi Bar sui vari giornali
dedicati a cosa offre giorno per giorno la città: tali informazioni
passano solo di bocca in bocca; non ultimo per evitare grane
con la Finanza.
C’è un locale aperto solo le sere del mercoledì e del venerdì,
che si chiama Grünli. Il nome non significa nulla: i gestori
- così raccontano - avevano trovato delle belle grosse lettere
di una vecchia insegna e volevano farne qualcosa, e così le
hanno riassemblate in forma pronunciabile. Al Grünli si può
bere vino e mangiare, a scelta, uno dei due piatti unici della
serata, o, se ne avanza, anche tutti e due. Entrando, ci si
ritrova in una sala perfettamente arredata con mobili tra il
vecchio e l’antico: sedie poltrone tavoli tappeti librerie cassettoni
tende etc. Nello stesso stile da trovarobe seguono altre due
stanze. Nell’ultima in fondo, tra il pianoforte e il bagno,
c’è un fornello e un tavolo su cui i due giovani gestori preparano
da mangiare. Uno è tedesco e l’altro argentino. Si è in tutto
e per tutto a casa loro, non ci si riesce a capacitare di essere
in un locale pubblico. In ogni caso - a parte la zuppa o l’arrosto
che vengono serviti ai tavoli per evitare ingorghi davanti al
fornello - per bere ci si serve da sé, scegliendo tra le cinque
brocche in cui è stato scaraffato il vino di altrettante (diverse)
bottiglie. Sul pianoforte, a fianco delle brocche sta un grosso
bicchiere con dentro monete e banconote. A fine serata ogni
“cliente” versa il corrispettivo che gli pare giusto pagare
per quel che ha consumato. Richiesto se quest’idea avesse motivazioni
politiche, uno dei due gestori scuote la testa sorridendo: “Macché,
il fatto è che così la faccenda è divertente anche per noi.
Non si cade nella tipologia abituale del rapporto padrone-cliente,
dove il primo si affanna l’intera serata a cercare di non dimenticarsi
di segnare tutte le consumazioni e poi alla fine si lamenta
comunque. No, la nostra è semplice pigrizia, lavorare di meno
e divertirsi di più. Abbiamo cominciato a cucinare per degli
amici, poi è passata la voce... non abbiamo voluto rinunciare
a quell’atmosfera iniziale, tutto qui.”
Interno del caffè "French Quarter" nella Choriner
Strasse
Accettare la stranezza
Berlino ha avuto una lunga tradizione di ospitalità:
per gli stranieri, per le minoranze religiose etc. Dopo due
dittature - una dopo l’altra - Berlino est si trova di nuovo
piena di stranieri. Ma c’è di più: dopo la caduta del muro,
con il flusso di “tedeschi dell’ovest” in alcuni quartieri dell’est,
e l’”ovestizzazione” della cultura in genere, molti tedeschi
si sono sentiti stranieri tra tedeschi, stranieri a casa propria.
Con tutte le difficoltà che questo comporta. E tuttavia “l’essere
straniero” in quanto presupposto epistemologico permette di
accettare più facilmente la stranezza come parte della quotidianità.
Ancora Mühsam: “Schwabing fu un insediamento in massa di tanti
eccentrici, e qui sta tutto il suo valore pedagogico. La minoranza
eccentrica di Schwabing ce la fece a non dar più nell’occhio
alla maggioranza grigia”.
Questo è un piccolo villaggio. Pieno di Café. Quassù si sperimenta,
semplicemente. Qualcosa dura anni, qualcosa dura mesi, qualcosa
dura pochi giorni. Prosit.
Frediano de Libero
1- L’autore di questo articolo
visitò Berlino nel 1995 e nel 1997, e dal 1998 ci vive. Le fonti
sono l’osservazione diretta, i racconti di varie persone, e
stampa varia. Per chi voglia avere un ritratto a tutto tondo
della città, consigliamo l’ottimo libro Alexanderplatz, di Carlo
Bastasin, Feltrinelli, 1996.
2- Sozialistische Einheitspartei Deutschlands: Partito socialista
unificato della Germania.
3- Letteralmente: centro. Il quartiere più vecchio e a più alta
densità di edifici “importanti”, musei etc della città. Dopo
la divisione della città fece parte di Berlino est.
4- Eretto nel 1961.
5- Anche altri quartieri di Berlino est hanno in parte avuto
una storia simile, come Mitte e Friedrichshain. Anzi, a dire
il vero negli ultimi tempi Friedrichshain sta subentrando come
quartiere alternativo, man mano che Prenzlauerberg si normalizza
secondo la paradigmatica sequenza: ristrutturazione delle case,
innalzamento dei prezzi, ricambio della popolazione, sostituzione
di botteghe e locali. In meno di dieci anni, prima P. si è a
costruito un’identità anomala e poi immobiliari e affaristi
hanno cominciato a venderla in versione “ripulita” ai nuovi
ricchi alla ricerca di pittoresco.
6- STASI è l’acronimo di Staatsicherheit: servizi segreti, nonché
polizia politica della DDR. Questi “collaboratori non ufficiali”
(Innofizieller Mitarbeiter) erano per lo più comuni cittadini
che regolarmente fornivano informazioni alla Stasi sui fatti
più disparati e minimali. Solo una potente ideologia unita alla
tradizionale disciplina e al rispetto dell’autorità dei tedeschi
poterono mettere in pratica questo meccanismo orweliano di controllo
della popolazione da parte di se stessa (si parla di un cittadino
su quattro controllato e diverse decine di migliaia di “controllanti”).
Dopo la riunificazione della Germania, sono stati resi semi-pubblici
gli archivi della Stasi. Le cifre non richiedono altri commenti:
un metro di documenti corrisponde a diecimila fogli di carta;
sono stati ritrovati 180 chilometri di rapporti di spionaggio.
7- La battuta non è così esagerata, se si pensa ad almeno due
precedenti storici molto noti in Germania.
Il putsch di Hitler dell’8 novembre 1923, iniziato nella birreria
Bürgerbrèukeller, detto appunto “putsch della birreria”, e la
proclamazione, sempre a Monaco, della “Repubblica dei consigli”
del 1919, che pare fosse seguita ad una grande bevuta in un’altra
birreria della città.
8- Cfr. E. Mühsam, Dal cabaret alle barricate, a cura di A.
Fambrini e N. Muzzi, Elèuthera, 1999.
9- Ossi, cioè dell’est; Wessi, dell’ovest. Entrambi i nomignoli
vengono utilizzati in un’accezione dispregiativa, ironica, o
in entrambe al contempo. Box Didascalie Di fronte al cafè “Wohmzimmer”
nella Lettestrasse Prospettiva della Stargarder Strasse vista
dalla Pappelallee Angolo fra la Lychener Strasse e la Raumer
Strasse Un cafè sulla Schönhanser Allee Coda di un corteo di
liceali sulla Schönhauser Allee Ex fabbrica di birra nella Knaack
Strasse, oggi centro culturale “La frontiera passa non tra i
popoli ma tra l’alto e il basso” (Muro di una casa nel quartiere
di Kreutzberg) Interno del caffè “French Quarter” nella Choriner
Strasse
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