Solo sapendo dire no si può da vvero dire sì.
Juliette Greco
Scesi dall’auto a toccare il vento, come venuti dalle stelle,
ci guardavamo attorno senza fretta.
I colletti alzati delle giacche erano rondini senza vento.
- “Brigata partigiana Alphaville”
Lalli
Le parole sono come il mare, a volte
l’impressione di un’onda, altre volte la profondità che
è degli oceani. Una voce è anche una traccia,
un’impronta, ciò che conferma non tanto i nomi ma il
silenzio: ciò che le parole non dicono mai. Nessuno può
finire lo spazio e lì crescono le voci immense che si
fanno memoria e quell’impazzire di nomi nel vento di cui ci
ricordiamo a malapena. Una voce di solitudini scende tra parola
e parola e pare aspetti e pare sapere, che niente potrà
sfiorarla se l’istante che ferma riposa in sé stesso,
nell’intensità di ciò che è. Una voce che
si fonde con questo istante si fa però, paesaggio-ricordo
: un ricordarsi che plana come un aquilone e lascia scia di
sapori-spazi-tempo-brandelli d’aria e di vita che non sono toccati
da lancette, da un ticchettare di orologi, ma piuttosto versano
la loro poesia nel presente perché renda più tangibile
il mondo. Non importa poi che nel mondo, orchi e orchesse, che
non hanno mai amato la poesia cerchino di confutarla, di azzopparne
il canto o zittirla a seconda delle convenienze e dei casi,
perché madama poesia ha le sue strade che più
si fanno lontananza più diventano intime, belle, vicine.
Disse il saggio “ perché piangi? ...“La gente si nutriva
di quella bellezza, ne viveva, e dunque era ben utilizzata.”
Così anche in quest’epoca stitica, la bellezza rimasta
deve nutrirci, ma insegnandoci che la vita, quella che conta
davvero, non quella impacchettata da qualcuno, è creativa,
è l’attimo che trova qualcosa che prima non c’era. Senza
che a volte lo sappiamo, noi ricreiamo gli attimi, l’istante
che si fa bellezza e ci infonde la certezza di qualcosa che
aspetta, anche se noi non ne sappiamo più il nome. Da
quanto non cantiamo più? Allora, qualcuno deve farlo
per noi, per tutti. Un po’ per caso e un pò per gioco
pescando tra gli scaffali di una libreria, come al solito con
l’urgenza della scoperta e percorrendo mentalmente le mie mappe
“nootiche” (S. Benni) in cerca di un po’ di sale - senno - amore
e perché no, di desiderio, la mia rete da acque dolci
pesca un cofanetto cd con foto in bianco e nero di una ragazza
e un titolo bellissimo: Tempo di vento. È così
che incontro Lalli o meglio la sua voce. Subito, è una
voce, che mi pare vicina a rovesciare il vento da cui i testi
sono percorsi e di cui si fanno percorso. Probabilmente, non
avendo grande cultura musicale, dirò qualche sciocchezza
subito, ma al primo ascolto (poi confermato), ombre esistenzialiste
sembrano intrufolarsi tra le parole.
Sono tenaci queste ombre e vive come le parole stesse che intagliano
il mondo “come nebbia in dicembre” e risalgono con il loro tempo
fino al nostro tempo, con gli stessi cappotti, gli stessi maglioni,
la stessa fu liggine e il ricordo, la ribellione e gli occhi
caldi, ma tristi, un po’ amari, disillusi, che sembrano non
distinguere il sorriso dal sogno.
“Guardaci qui, sorridici ora” (a Donatella) ed è struggente
l’intensità di una memoria che si lascia cadere come
una foglia e rimane come una foglia tra questo attimo e ogni
attimo, in un impensato aprirsi di universo. “Senti la neve
come è calda qui” (Mostar) ed ecco i ponti e la neve
ovunque e un freddo che non è freddo di neve ma spezzarsi,
accorarsi di voce. Un koan zen dice: “ascoltare con gli occhi,
vedere con le orecchie” e allora ecco che la morte fa rumore
dietro gli occhi, copre gli occhi di chi sta ancora sparando
e non ha più una voce, nemmeno l’eco di un qualunque
stralunato vento, ed ecco che i suoni si ammalano, nessuno ascolta
perché nessuno può vedere nell’altro ciò
che fino a poco prima sentiva dentro di sé. Pare stanca
in certi momenti la voce di Lalli, arriva come se ritagliasse
fiori-parola, sapiente e fragile (anche se vocalmente tutt’altro
che fra gile), semplice, diretta. Forse prova soltanto che non
apparteniamo al sonno, al riparo o al risveglio, o forse ci
incide, ci graffia, ci brucia, dove potremo dimenticare ma solo
dimenticando noi stessi. Il suo vento torna a prenderci in una
notte in cui potremmo anche dimenticare il buio, alzarci, uscire,
sederci su una panchina non importa dove, o sui gradini di casa
e ascoltare da soli quello che non ascoltiamo mai e fare cerchi
col dito nella polvere, mappe-invenzioni o chissà, e
ancora frugare l’aria con sguardo di coraggio e gentilezza e
poi risalire la strada con occhi che ascoltano e l’orecchio
rapito dal cedere di un pianto che pare muto e da un passo che
libera la geografia e non scorda chi si veste di pioggia in
un cammino “ che non si racconta, non si legge mai” (Le donne
quando restano sole). Nel paese dove vivo, vicino all’Appennino,
la pioggia quando cade porta una bruma leggera che rassomiglia
i campi alle pianure del nord, dove tra i pioppi pare cancellarsi
e scriversi il ricordo di gente che ormai non vediamo quasi
più, ma ascoltando con gli occhi, bucando questa realtà
con occhi che cantano ecco che a tratti, per caso, per gioco,
ho visto un uomo scendere da un’auto “toccare il mondo” e chiedere
a qualcuno di cantare perché “è aprile è
vento e ho più paura” e perché ascoltando quando
si è soli, si possono toccare le stelle e si può
vedere il mare che riposa e in quell’azzurro immergersi nel
proprio confine tra le parole e il cuore. “Senti la neve? Senti
la neve”. (Mostar).
Nadia Agustoni
NOTA: le frasi tra virgolette sono quasi tutte
citazioni dai testi di Lalli. Anche dove non le indico espressamente
per non appesantire il testo. Il detto del saggio all’inizio
è tratto da “ Usa cio che sei”, Edizioni Armita..
Dal totalitarismo
al cannibalismo
Maggio 1986: Zheng Yi, noto romanziere e apprezzato
giornalista, ritorna nello Guanxi, la provincia della Cina meridionale
che confina con il Vietnam, per fare un’inchiesta (Stèles
rouges di Zheng Yi, Ed. Bleu de Chine, 1999, pp. 288, 149
FF di J-J-Gandini) sulle voci che corrono a proposito di episodi
di cannibalismo nel corso della Rivoluzione Culturale e di cui
aveva avuto sentore quando, da giovane guardia rossa, era stato
in quella regione nel 1968, quando, nei mesi estivi, la lotta
tra le varie fazioni per il potere aveva raggiunto il culmine.
Grazie a due lettere di presentazione dell’associazione degli
scrittori cinesi e del “Giornale di Diritto Cinese” , sarebbe
riuscito ad avere accesso agli archivi del partito comunista
del capoluogo, Nanning. In particolare era riuscito a mettere
le mani sui materiali raccolti in occasione della campagna ideologica
del 1983, lanciata per “la composizione dei problemi lasciati
aperti dalla Rivoluzione Culturale”, un eufemismo per indicare
gli autentici massacri che si erano verificati ai tempi. Quello
che scoprì era talmente agghiacciante che, per trovare
conferme, si mise alla ricerca dei testimoni del dramma, dei
figli delle vittime, oltre che di certi protagonisti (almeno
quelli che accettavano di parlare), recandosi sul posto per
tentare di ritrovare le tracce.
All’inizio le prime vittime della “violenza di massa” sono ammazzate
a colpi di forcone e di pala, strangolate, annegate, decapitate,
impiccate a un albero, oppure precipitate ancora vive nelle
fosse e finite a colpi di pietra. Si arrivò addirittura
a far esplodere petardi nella vagina di alcune donne sottoposte
al supplizio. Dopo poco tempo le vittime erano mangiate. SÌ,
MANGIATE ! “Ogni volta che c’era una ‘manifestazione di lotta’,
le vecchie arrivavano a precipizio con il cesto per le vivande
sotto il braccio e si mettevano in attesa. Appena la vittima
emetteva l’ultimo sospiro, tutti si riversavano: i primi arrivati
tagliavano i pezzi pregiati, i ritardatari si dividevano le
ossa”. Certe volte gli infelici erano sventrati e fatti a pezzi
ancora vivi: “Quando il condannato era ancora in vita, gli si
staccava la carne pezzo per pezzo, la si metteva a friggere
nell’olio e la si mangiava sotto i suoi occhi”. Le interiora
sono le parti più ambite, perché secondo le credenze
locali servono a guarire diverse malattie: cervello, cuore,
intestino, utero e soprattutto “il fegato che si ritiene dia
coraggio e sia anche un efficace tonico...” purché lo
si gusti nelle condizioni stabilite: “Uno camminava tenendo
il fegato in mano: incontrò un vecchio amico che gli
chiese: “Quel tale – la vittima – era d’accordo che tu gli mangiassi
il fegato?’ Interdetto, l’uomo rispose: ‘E come avrebbe potuto
essere d’accordo?’ Al che l’amico gli obietto: ‘Se non era d’accordo,
il fegato perde tutti i suoi poteri!’ Al che il nostro si mise
in cerca di un’altra vittima. Dopo averle strappato con la tortura
l’assenso, strappò il fegato dall’infelice ancora vivo.
Dopo di che andò a mostrarlo alla madre della vittima
e le disse: ‘Guarda, è il fegato di tuo figlio!’ La donna,
sconvolta, cadde svenuta.” Anche il cervello era apprezzato:
mangiandolo, i vecchi si aspettavano di ringiovanire. “Ognuno
infilava nel cranio un tubo d’acciaio di un diametro adeguato,
una cui estremità era stata passata alla mola e risultava
affilata come la lama di pugnale, poi s’inginocchiava a terra
per aspirare il cervello, come un gruppo di vecchi amici che
bevono insieme con la cannuccia da una grossa scodella piena
di yogurt!”
Il cannibalismo che si fece strada nel Guangxi, soprattutto
nel distretto di Wuxuang, durante la rivoluzione culturale,
raggiunse il suo parossismo durante il mese di giugno ‘68 (pensiamo
ai discorsi dei “maoisti” dell’epoca!...), può essere
analizzato come indice di un arretramento superstizioso e di
un’avidità esacerbata dal permissivismo di un ordine
che considera l’omicidio di massa come un mezzo di appropriazione
tra tanti altri.
Anche se a noi sembra agli antipodi rispetto all’umanesimo confuciano,
non è che il “marchio” della minoranza Zhuang che popola
il distretto di Wuxuang, marchio di cui si trovano tracce in
una vecchia ballata popolare citata dall’autore di “Stèles
Rouges”: “(Essi) uccidevano e mangiavano il loro primogenito
immediatamente dopo la sua nascita per portare fortuna al secondogenito”.
In effetti, oltre alle descrizioni di scene di cannibalismo
negli “Anziani Annali di Tang”, redatti nel corso del X secolo,
due dei più famosi classici della letteratura cinese,
“Au bord de l’eau” e “Le Roman des trois Royaumes” sono pieni
di scene di uccisioni e di cannibalismo.
Ecco una sola citazione tratta dal primo: “... i viaggiatori
ci fanno arricchire, noi gli facciamo bere un narcotico e quando
sono morti, tagliati in grossi pezzi di carne, vengono venduti
come carne di buffalo giallo; le frattaglie e i piccoli pezzettini
servono come ripieno per la pasta. Ogni giorno, io (l’albergatore,
autore del libro, n.d.a.) vado a vendere questa pasta farcita
nei villaggi vicini, ecco cosa ci dà da vivere”. Nel
suo primo romanzo, “Il giornale di un pazzo” (1918), Lu Xun
diceva indignato: “...quando si percorre tutta la storia della
Cina, si ritrova un sola parola: quella del cannibalismo”!
Una violenza tanto sfrenata, che nel solo Guanxi aveva provocato
la morte di decine di migliaia di persone, non si era sviluppata
spontaneamente, non era stato il frutto di una perdita di controllo
dei “cattivi istinti”, ma trovava la sua origine dal “tifone
forza dodici della lotta di classe”, provocato e incoraggiato
dalle locali autorità politico-militari dipendenti dal
partito comunista. Infatti, alla fine del “Comunicato del 3
luglio” emesso congiuntamente dal Comitato centrale del partito,
dalla Commissione degli affari di Stato, dalla Commissione militare
centrale e dal gruppo incaricato della Rivoluzione Culturale
formato da Comitato centrale, ormai schierato con Mao Zedong,
si affermava che era necessario intensificare la repressione
contro i “nemici di classe”. Per questo si doveva lasciare libero
corso alla “collera popolare”, il che equivaleva a dire che
era ormai lecito spargere il sangue nei confronti delle “quattro
categorie”, latifondisti, contadini ricchi, controrivoluzionari
e cattivi elementi, e dei ventitré generi, reazionari,
spie, ex membri attivi del Guomindang, ex detenuti eccetera,
in altre parole i beneficiari del vecchio regime come i refrattari
al nuovo ordine sociale, con un campo d’azione amplissimo, che
toglieva ogni ostacolo all’arbitrio totale, perché non
era necessaria un’imputazione precisa nei confronti delle vittime:
bastava la loro “appartenenza di classe”. Siccome l’origine
di classe era considerata redibitoria ed ereditaria, intere
famiglie furono sterminate. Le “riunioni di lotta” si succedevano
incessantemente e si concludevano automaticamente con condanne
a morte, seguite da esecuzioni immediate e dallo smembramento
dei cadaveri, lì sul posto. Gli autori di queste violenze
erano “le guardie rosse, giovani studenti e adulti poveri, coolies,
uomini di fatica, lavoratori sul fondo della scala sociale,
insoddisfatti dell’ordine esistente [che] esprimevano con questa
striscia di sangue la propria opposizione all’ingiustizia sociale.”
Al termine della sua inchiesta, Zheng Yi distingue tre fasi
del fenomeno di cannibalismo:
1. una fase di “lancio”, con azioni furtive condotte in un clima
di terrore: esecuzioni operate nella notte e smembramento dei
corpi umani attuato a casaccio;
2. una fase di “festa”: il cannibalismo si diffonde su vasta
scala e in un clima d’entusiasmo. Chi vi partecipa acquista
una certa esperienza nel prelievo di cuore e fegato, grazie
ai consigli degli anziani combattenti . Nel corso di questi
pranzi collettivi, veri e propri “banchetti di carne umana”,
che si svolgono un po’ dappertutto, fin nelle mense delle scuole
e degli ospedali e nei refettori degli edifici pubblici , si
cuoce nella stessa pentola, in pezzetti delle stessi dimensioni,
carne umana mista a carne di maiale; poi si mette il recipiente
molto in alto, in modo che il contenuto non sia visibile ai
convitati e tutti quanti in fila, uno per volta ne pescano un
pezzo. Quest’idea “ingegnosa” fa sì che si possa accettare
l’eliminazione cannibalesca della vittima senza, per quanto
possibile, inghiottire davvero carne umana. È la trasgressione
dell’interdetto senza un vero e proprio passaggio all’atto,
almeno esplicitamente.
È una forma di autoinganno: “L’isteria collettiva e la
coscienza individuale possono marciare di pari passo senza inconvenienti.”
3. Una fase di “follia collettiva”: il cannibalismo è
promosso al rango di “movimento di massa”. Si tratta di realizzare
“l’eliminazione delle classi” predicata dalla teoria marxista-leninista,
nel senso più radicale del termine.
Siamo così in presenza di una violenza organizzata i
cui diretti responsabili sono Mao Zedong e il partito comunista.
Secondo l’autore “nel corso della Rivoluzione Culturale nello
Guangxi il cannibalismo corrisponde al dispotismo sanguinario
del partito comunista”. In discussione non è “una sorta
di particolare difetto innato del popolo cinese o profondamente
radicato nell’animo umano”, ma la struttura del potere, quella
del totalitarismo.
Per questo è giusto che una “stele commemorativa di colore
rosso [sia] eretta nello Guanxi [e che] i bambini di ogni parte
del mondo vi incidano con la propria grafia infantile le parole:
‘Mai più questo!’”.
NOTA Molto attivo nel corso del movimento dell’aprile-maggio
1989, Zheng Yi è rimasto per tre anni nella clandestinità
dopo la repressione che è seguita al massacro della piazza
Tienanmen, nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989, prima di
riuscire a raggiungere Hong Kong. Oggi risiede negli Stati Uniti.
Gli avvenimenti descritti in questo articolo si sono svolti
nel corso del 1969, nello stesso momento in cui in Francia i
“maoisti” vantavano i meriti della “Grande Rivoluzione Culturale
Proletaria”...
Jean-Jaques Gandini
MERCANTI
DI LIQUORE
Concerti
Luglio-Settembre 2000
6
luglio
h 21.30 |
Vivi
la tua città
Parco S. Agostino, Bergamo città alta |
8
luglio
h 22.00 |
Resinelli
Rock
Piani dei Resinelli (LC) |
13
luglio
h 22.00 |
Festa
di Liberazione
Fiera di Osnago, Osnago (LC) |
20 luglio
h 22.00 |
Festa dell'Unità
Bergamo località Celadina |
30 luglio
h 21.30 |
Villa Molea summer festival
Moglia (MN)
proiezione del video Faber e concerto
|
3 agosto
h 21.30 |
Tributo
a Fabrizio De André
Arena estiva Cinema Astra, Parma
proiezione del video Faber e concerto
|
12 agosto
h 22.00 |
Concerto per la Comunità montana
Castel del Monte (AQ) |
21
agosto
h 22.00 |
Festa
dell'Unità
Sant'Arcangelo di Romagna (FO) |
1 settembre
h 22.00 |
Festa
dell’Unità
Fiera di Osnago, Osnago (Lc) |
Durante i concerti sarà in vendita “Signora Libertà,
Signorina Anarchia”, numero speciale di “A” dedicato
a Fabrizio De André.
Le date potranno subire modifiche. Per l’elenco aggiornato
visitate il sito www.musicamezzanima.net.
Musica Mezzanima, tel. 039.6882374, fax 039.6201469.
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