Ma
quale pentimento?
L’inizio del nuovo millennio (polemiche a parte sulla
reale veridicità di tale avvenimento!) ha rappresentato
per noi detenuti un momento contraddittorio, forse più
del solito; noi tendiamo a far diventare normali e irrilevanti
momenti e giorni, che in altre condizioni, potrebbero essere
importanti, perché l’assenza di socialità, la
separazione e la mancanza di intimità con i propri cari,
ci fanno scegliere di estraniarci, di allontanarci dalle feste.
Viverle vorrebbe dire far prevalere eccessivamente la nostalgia.
Evitarle non ci farebbe sognare, ricordare tutto ciò
che è linfa della vita e per la nostra sopravvivenza.
Il 2000 diventa un anno qualsiasi, perché si pensa al
successivo sperando che avvenga, nel frattempo, qualcosa di
positivo. Tra di noi non ci si fanno gli auguri, anzi, molti
si arrabbiano se qualcuno non “rispetta” quest’abitudine. Codici
i comportamento, codici di linguaggio, nei confronti dei quali
non c’è però devozione ma une coatta consuetudine.
Nel carcere si cerca di ricordare senza avere l’ossessione del
ricordo, ben coscienti che non c’è futuro senza la memoria
del passato, senza un continuo e costante lavoro che valorizzi
la conoscenza, la mente della gente. La galera è però
il luogo che si vorrebbe padre della memoria, immobile, che
si vorrebbe privo di tensione morali e in cui il valore stesso
del tempo fosse negato.
Oggi i “ricordi” di un inquisito e/o di un prigioniero sono
considerati solo se diventano elementi giuridicamente rilevanti,
solo se assumono l’aspetto della collaborazione, delle delazione,
elevata, dalla politica delle continue emergenze, a qualità
e a pregio dell’uomo.
Il pentimento non dovrebbe essere merce di scambio, dovrebbe
essere altra cosa: un Valore privato, estraneo al brutale lucro
a cui ogni individuo dovrebbe potersi avvicinare per fondere
la riflessione al dolore.
Non vogliamo, ne possiamo oggi aprire un dibattito che riguardi
i nostri casi specifici, ne parlare dei molti che conosciamo:
vogliamo nuovamente invitare la società tutta a riconoscere
il carcere come parte di essa, come figlio delle proprie enormi
contraddizioni, ad assumere insieme a noi l’impegno di scavare
le parole in profondità per tirare fuori il meglio, per
imparare ad ascoltare anche i suoni,”il rumore dei muri”, di
chi è reso tale, sia esso colpevole sia esso ingiustamente
accusato, dalle mura di una istituzione le cui fondamenta sin
dall’origine avrebbero dovuto essere lentamente erose dalla
ragione, dalla capacità di riaccogliere gli uomini che
hanno sbagliato, dalla solidarietà e dalla lealtà
nel rapporti tra individui.
Il carcere è invece il luogo in cui si creano divisione
e differenziazioni che dovrebbero governare la vita, figlie
del paese più sicuro d’Europa (secondo le più
recenti statistiche dell’Interpol), delle continue politiche
emergenziali.
Il 41 bis, le sezioni ad Elevato Indice di Vigilanza Custodiale
(ai cui detenuti non è notificato nessun provvedimento
che motivi tali condizioni, per cui non esiste possibilità
d’impugnazione come prevede una legge sulle sanzioni amministrative
degli inizi anni’90), l’isolamento diurno per gli ergastolani
anche dopo 20 anni e più dalla condanna, l’uso dei Gruppi
Operativi Mobili (GOM) nella gestione delle situazioni ritenute
problematiche (come avvenuto recentemente a Sassari); questi
sono alcuni degli elementi considerati dal Ministero utili e
necessari, per normalizzare, restringendo sempre più
le già esigue libertà dell’istituto carcerario,
rendendolo sempre più estraneo alla società e
alle uniche pratiche che ne svelerebbero l’insufficienza etica
e sociale: le ampie relazioni tra soggetti liberi e non.
La società è sottoposta a un bombardamento di
immagini e di informazioni che descrivono continue catastrofi,
una valanga di dati in tempo reale che fa leva sull’emotività
con una velocità disarmante. I giornalisti, in un recente
dibattito a Roma, hanno discusso della dipendenza e della soggezione
della loro categoria radicata cultura antigarantista.
Noi pensiamo che sia assolutamente prioritario riallacciare
il legame tra le tensioni del nostro tempo, quello di noi uomini
e donne prigionieri, e il mondo esterno in tutte la sua variegata
complessità.
Le nostre parole restano normalmente nell’ombra, da lì
vorremo uscissero perché anche noi possiamo essere elementi
propositivi di una cultura delle contraddizioni, della complessità
e differenza.
Sperando che questo sia lo spirito che ci accomuna...
Buon lavoro!
Fabio Canavesi
Marco Camenisch
(carcere di Novara)
Andrea Perrone
Carmelo Musumeci
(carcere di Voghera)
Con
dolcezza incazzata
Volevo dedicare questa lettera a una persona in particolare,
Horst Fantazzini, e a tutte le persone che in questi ultimi
anni ho sentito veramente vicine...
...Ottavio Querci da lassù (o da laggiù ?) mi
sorride, mitico partigiano Ottavio vecchia quercia sempre schietto
e gentile, di figura alto, ossuto, capelli corti bianchi, con
un paio di occhiali spessi come due fondi di bottiglia e dietro
due occhietti vispi ma amorevoli, a 95 anni ancora forte (“una
volta la mi telefonò una signora che cercava l’idraulico,
io ero a farmi la minestrina, ma presi la cassetta degli attrezzi
e andai”); “compagno di Gesù” come amava definirsi e
compaesano di Gaetano Bresci, idraulico anarchico “ma da giovane
durante la guerra facevo il pompiere” (come il draghetto Grisù
dei cartoni animati ?); la sua moglie compagna Nella faceva
la sarta era bravissima e Ottavio mi regalò un casino
di vestiti, abiti da sera, cappotti, anche biancheria intima
non si sa mai “tanto portate le stesse misure, no ?”. Ottavio
che mi telefonava “Sono in fin di vita” e poi lo trovavo in
pantaloncini canottiera e cappellino da marinaio che si faceva
un piatto di spaghettini “Visto che tu sei costì, che
ne vorresti un pochino anche tu ?”. Finià stato presentato
una sera sotto il carcere minorile del Pratello a Bologna, con
la polizia in assetto di guerra ma almeno una cinquantina di
compagni e l’atmosfera era bella, viva...
...Vittoria Salvatore e Mikhail, se non ci fossero stati loro,
nelle mie “trasferte” ad Alessandria per raggiungere il carcere
dove stava il mio compagno per me sarebbe stata molto più
dura. Alessandria è una città inospitale per il
clima e per i leghisti, arrivare là dopo un viaggio notturno
solitario fatto nelle carrozze quasi “bestiame” stipate di povera
gente del sud era un tuffo al cuore e tutte le volte che arrivavo
alla stazione mi chiedevo se non ci fossero stati loro, Vittoria
ferroviera con la sua dolcezza incazzata (o incazzamento dolcissimo
?), Salvatore operaio e musicista con la sua flemma siciliana
(mìnchia... adesso scriverà una lettera di smentita)
e il loro piccolo Mikhail un topolino tuttomatto con la vocina
topolina che vedrei bene con due baffetti di panna montata e
una fragolina al posto del nasino, come sarebbe stato il mio
impatto con il luogo, fino a quel maledetto cancello del carcere
con gli sbirri che sembra che ti sparino addosso con lo sguardo
! E poi, i compagni di Forte Guercio e di Sciarpanera in contemporanea
con la prima alessandrina di “Ormai è fatta!” organizzarono
una bellissima serata in un cinema, e la storia non fu indolore
perché i carabinieri per ritorsione fratturarono le costole
di una compagna; Horst attaccò il loro volantino in cella
e mi disse al telefono con voce commossa che era felice della
loro-nostra solidarietà ! Tanto che poi i compagni fecero
anche un presidio sotto la Prefettura di quella città,
e scrissero un articolo per il “Seme anarchico” che procurò
nuovi corrispondenti al rapinatore con la pistola giocattolo
(a proposito, lo sapete di cosa era fatta quella pistola secondo
Giorgio Bertani ? di pasta di sale !)...
...Giuliano Capecchi, pistoiese come Leda Bruna Rafanelli, insegnante
in pensione come tanti, vero amico e volontario da anni in quella
jungla di regolamenti e spesso di assurdità che è
il mondo carcerario; Giuliano di Pantagruel che fa “Liberarsi
dalla necessità del carcere” con Carmelo Musumeci, eppoi
ci ha la macchina che funziona poco eppoi “è imbranato
al computer” eppoi è un “vecchierello malandato” eppoi
è anche un po’ “rimbischerito” ma fa più di un
rompighiacci in Siberia! E allora, questa cosa come la si spiega?!
E visto che ci sono, mando un bacio anche a Beatrice Cioni la
maga di “Informacarcere” della regione Toscana...
...Giorgio Bertani, editore veronese, passionale, allegro, incazzato
con questa Verona “bene” fascista e consumista che dà
la caccia agli extracomunitari e chiude i centri sociali; lui
che a metà degli anni ‘70 pubblicò il libro di
Horst: “Ormai è fatta!”. Un mito. Uno fuori come i balconi.
Le sue segreterie telefoniche ? L.S.D. allo stato brado. Parole
che filano e fondono meglio della mozzarella. Il vero impegno
- non parolaio - per la pace, contro la guerra. Anche per l’amore,
l’erotismo “quello bello, quello vero” come racconta la sua
segreteria.
Giorgio a onor del vero è stato l’autentico motore del
film, senza di lui il film non si sarebbe fatto e questo il
produttore, Gianfranco Piccioli, almeno avrebbe potuto riconoscerglielo:
infilando il suo nome nei lunghi titoli di coda...
...Rosalba, Dalida, Sabina, Stefy, Luisa, Eva, 2 Anna, amiche,
non sempre compagne, ma sempre amiche che mi aiutano a sbrogliare
i miei gomitoli, a rimettere le cose in ordine, ad affondare
il coltello nella piaga, a capire quando una storia con un uomo
diventa troppo importante, soprattutto a riderci sopra...
Le stupidine - Horst, ti prego, concedimi il termine: decerebrate
- che vanno in televisione e sui rotocalchi usano spesso il
termine “autoironia”. Noi l’autoironia la facciamo per davvero
!
È bello parlare con le donne e fra donne, (e fra le amiche
donne ci metto a anche Eugen Galasso che ha una sensibilità
e una delicatezza straordinaria) nessuna invidiosa, nessuna
competitiva, almeno quelle che frequento io... le altre, quelle
invidiose leva il pranzo parlando della guerra, della miseria
che c’era, del duro lavoro in fabbrica, delle puttane (“io a
quelle povere ragazze non gli ho mai fatto del male, gli ho
sempre fatto del bene”), di quei farabutti traditori che sono
seduti al governo e che affamano il popolo ! Quando morì,
io e Horst mandammo un cuscino di garofani rossi che amava tanto
e la nostra bandiera...
...Armando, il mio squatter preferito, conosciuto per caso una
sera in treno a Empoli; allora aveva solo 19 anni aveva indosso
un pareo e capelli neri ondulati lunghissimi. Armando l’okkupatore
appalla spagnolo e lucano con la sua Jènet la cagnolina
nera strabella; Armandino coi piercing che è nato quando
io facevo l’indiana metropolitana e mi fa sentire vecchissima,
ma con addosso un sacco di storie da uomo vissuto, e la galera,
questa cosa che a noi che non abbiamo soldi ci tocca sempre
da vicino, per lui significa due giovani fratelli incarcerati;
un diario fitto di annotazioni: si esce anche scrivendo, la
scrittura a filo di penna è il nostro lenzuolo annodato
verso la Libertà...
...Maria Rossini, compagna ceramista di Faenza, piccolina, una
perfetta “tap model” come direbbe Syusy Blady, allegra, piena
d’interessi, con quel furgoncino scassatissimo ma funzionante,
più simile d’aspetto a una esistenzialista francese i
capelli neri a caschetto vestita di nero ma con un tocco d’esotismo
andino nel volto; segno dei pesci, la casa piena di libri e
di ceramiche, disordinata, viva. Maria a parte tutte le cose
che ha dato a me personalmente, ci “prestò” la sua strafiga
casa di campagna per fare una serata di solidarietà con
Horst. Organizzavano gli Anarchici Nomadi di Modigliana. Vennero
quelli della Compagneria del Villaggio di Palazzuolo sul Senio,
per tutta la sera e fino a notte fonda facemmo mostra di controinformazione,
teatro, cantastorie, mangiafuoco, trampoli e infine canzoni
sull’aia in mezzo ai pennuti. La notte era umida e anche un
po’ fredda, ma c’era il vino, c’era della gente bellissima.
Lo spettacolo di cantastorie (mio) era gi comari le politicanti
le sapienti le tuttologhe le tutrici le suore le sbirre le giudicesse
non appartengono al mio pianeta... Nelle donne ho sempre trovato
la forza e la solidarietà personale che è indispensabile
quando le situazioni sono veramente pesanti e difficili. Quando
hai a che fare con una situazione pesa e triste come la malattia
o il carcere, è importante la comprensione, la presenza,
il rispetto. Nelle sale d’attesa del carcere si incontrano molte
donne che vanno a trovare i loro compagni, sono donne semplici
poco istruite che hanno sofferto moltissimo e che ancora portano
il fardello di dover accudire i genitori anziani o crescere
ed educare i figli da sole. Fanno viaggi anche lunghi e scomodi
pur di raggiungere i luoghi di detenzione, lunghi anche centinaia
di kilometri, perché lo Stato non si preoccupa minimamente
dei familiari che anzi dovrebbero sparire dalla faccia della
terra ! Se potessero, ci metterebbero in una camera a gas. Ma
in tutte c’è una grande dignità. Sono bellissime.
Non piangono. Anzi cercano di presentarsi al meglio.
Anch’io ho trovato tante volte la forza di sorridere, di fare
la clownessa, la buffona, per non soccombere e per donare un
attimo di gioia al mio compagno. E per restituirgli gli schiaffi
che mi ha tirato.
“Sai, oggi la sbirra che mi ha perquisito tastandomi il reggiseno
mi ha chiesto sospettosa che cos’erano queste due cose dure
- forse scambiandole per tocchi di fumo - le ho detto vergognandomi
un po’ per lei... che sono capezzoli !”..
...Horst, amore, ho tanta tantissima troppa voglia di vederti
libero nella tua casa fra i tuoi cari anche se non so, se sarò
ancora al tuo fianco. Mi rendo conto che sono di più
le cose che ci separano di quelle che ci uniscono, compreso
il sarcasmo di taluni o le maldicenze di altri che in questa
situazione nostra particolare piombano come palle di cannone
sul nostro rapporto. Anzi, sono quasi determinanti. Ho ancora
nelle orecchie quella misteriosa telefonata di una “signora”
dall’accento bolognese che mi diceva senza mezzi termini “sciei
una puttaaana” e “hai capito bene, sciei una troooia”! La solerte
tortellina lo sa che ho il telefono sotto controllo e che la
sua telefonata è documentata? Boh! Come se non bastasse
già la separazione fisica, i colloqui separati (lo sapete
che alla Dozza i colloqui si fanno in salette piccole sovraffollate
con la gente che urla per farsi sentire, e in mezzo c’è
un bancone divisorio di marmo e un vetro che arriva fino al
naso?), e poi i baci negati, i telegrammi ritardati, la postacelere
che non viene consegnata perché “il destinatario non
è in casa” (!), le cose che non entrano per ignoranza
o per dispetto e questa roba qui...
Ad ogni modo, perché ci sono e perché sono viva,
approfitto della gentilezza delle compagne-compagni di “Rivista
anarchica” per mandarti i miei baci più appassionati
e il mio augurio veramente speciale perché tu conosca
presto il tuo vivacissimo nipotino!!
Che il grande spirito di Groucho Marx ti guidi verso l’uscita
(forse l’avevi scambiata per l’entrata?).
SMACK! SMACK! AUGH!
E un fortissimo abbraccio a tutti voi che con la vostra presenza
salvaguardate i nostri piccoli spazi di Libertà,
Harpa-Pralina
(Firenze)
Horst Fantazzini si trova dal luglio 1999 presso il carcere
di Bologna, via del Gomito 2, 40127 Bologna. Appena trasferito,
per una settimana lo misero in isolamento con il 41 bis, “per
sbaglio”. Poi rimesso al penale, con la solita condanna fino
al 2017 e ditorni. Per rendergli più facile la vita all’hotel
della Dozza, hanno negato a noi familiari e amici alcuni colloqui,
hanno boicottato la corrispondenza per postacelere, hanno dimezzato
il numero delle telefonate consentite e inoltre i colloqui avvengono
con i soliti banconi divisori di marmo + vetri ad altezza di
naso... dulcis in fundo, gli avevano promesso un lavoro da dicembre,
ma lo nuova direttrice scavalcando il parere favorevole di educatori
e altri operatori, ha messo il suo veto (anche se il lavoro
esterno é contemplato dalla legge Gozzini). Le cose si
stavano muovendo, ora anche questo “piccolo” diritto é
messo a repentaglio. E’ necessaria una presenza più forte.
Comitato per la Liberazione
di Horst Fantazzini
tel. 055 41 12 37
Carissimo
Fabrizio
È stato meglio lasciarci
che non esserci mai incontrati.
Carissimo Fabrizio,
è stato davvero meglio lasciarci che non esserci mai
incontrati... Prima che tu migrassi per un altrove di cui non
ci è dato sapere, c’eri tu e non è stato necessario
incontrarti ed incontrare la tua tangibilità perchè
la tua presenza fosse viva. Adesso che sei partito, restano
tracce indelebili a solcare una memoria che non ha che da scegliere
di cosa nutrirsi per sentire ancora vicino, non il tuo mito,
non il tuo ruolo, non le presunzioni più o meno innocenti
su di te, ma la libertà inebriante, dolorosa e divertita,
del tuo sussurrare poesia passeggiando tra le note.
Da quando te ne sei andato, anche se continuano ad accompagnare
la mia esistenza come la più consona della colonne sonore
i tuoi suoni e i tuoi significati, la mia curiosità si
è affacciata o piuttosto, si sono offerti alla mia fame
e alla mia sete, altri messaggi, echi frammenti che, per la
prima volta ho avuto voglia di ascoltare.
Allora libri, interviste, immagini che si muovono, disegni,
fotografie, cose tue, cose di altri... Mangio e mastico, assaporo
e mi nutro di tutto quello che ti riguarda. Mi arriva tutto,
prima o dopo, offrendomi un coro di voci e di suggestioni e
di ricordi, così differenti, alcuni che sento più
vicini, altri più lontani ma ognuno per quello che è...
e va bene così.
In questo viaggio, in questo girovagare pacatamente affamato,
scopro che davvero tante cose di te le ho percepite solo con
i miei sensi interiori, allora tanto inconsapevoli quanto antichi,
quando, bambina, fecondavo la mia solitudine e il mio già
irrimediabile desiderio di libertà con quello che più
mi piaceva delle mie sorelle più grandi: i libri e i
dischi, oltre ai loro segreti che selvaggiamente e clandestinamente
invadevo. Da quando ho iniziato a viaggiare con te, per scoprirti,
nel tempo, prezioso compagno di viaggio ed amico, di quegli
amici che non hai bisogno di vederli e frequentarli per sapere
che ci sono, per la prima volta ha preso forma e senso la coincidenza
tra quello che ho sentito, percepito, immaginato e quello che
davvero sei stato, sei e sarai, comunque, ovunque tu sia, fosse
anche solo e non è poco, il luogotempo della nostra memoria.
Per la prima volta ho letto di te qualcosa che non fossero le
tue canzoni e mi sono stupita, perchè molte volte le
parole “dopo”, possono essere offensive della memoria che compone
in noi gesti, sguardi, parole, delle persone che ci portiamo
dentro: non è stato così e persino quando ho incontrato
parole ed immagini che, in me, hanno creato fastidioso attrito
con la feroce innocenza, la lucida tenerezza e la calda intelligenza
delle tue parole, delle tue note, del tuo sguardo, mi sono sentita
indifferente ed impermeabile, desiderosa soltanto di succhiare
ogni frammento utile ad un mio relativo e al tempo stesso assoluto
riconoscimento. Riconoscimento così lontano dal mito
o da una memoria ipocrita, così dentrovicino a quel tuo
modo di stare nel mondo e nella vita... leggero discreto lacerante
tenero implacabile accogliente ironico appassionato intelligente
e sensibile regalando parole a chi, nascosto nel mondo, per
obbligo o per scelta, non lascia scorrere le proprie.
Prima partenza: “Amico fragile”, non una biografia, piuttosto
un puzzle di ricordi, nel quale la tua narrazione e quella del
tuo interlocutore, trovano un’armonia plausibile, che regala
il calore di quelle cose che, nell’atmosfera un po’ onirica
del camino acceso e nella quotidianità dell’odore di
cibi consueti, escono quasi prima che si possa esserne consapevoli.
Poi: “Un destino ridicolo”, una narrazione che ti prende per
mano e ti cattura e ti rilancia... personaggi ricordi invenzioni
narratori storie luoghi e tempi che si mescolano in questo raccontare
a due voci, così diverse e così sorelle. Vorresti
che continuasse a tenerti per mano, non dico sempre, ma ancora
per molto altro tempo, quasi che questo ancora altro tempo narrativo
potesse trasformare quella canzone ironica fattasi romanzo in
un’amicizia, in una compagnia, messa lì, a scongiurare
tristezze incapaci di fecondarsi nell’allegria.
“ Faber”: le immagini della tua voce... ah... la tua voce...
da quale amplesso di profondità di abissi marini con
chissà quale firmamento di stelle, è scaturita
la tua voce? Se dovessi scegliere una voce da regalare alla
mia amante sorella madre amica compagna di viaggio libertà,
non avrei dubbi, sarebbe la tua, tagliente e seduttiva come
il vento che viene dal mare. Questo video è un bel regalo,
un messaggio nella bottiglia, raccolto e rigettato subito nel
mare della memoria, perchè solo lì, ed è
tanto, non esistono note stonate che possano ferirlo.
“Accordi eretici”: un viaggio di parole nelle parole e di sguardi
negli sguardi che ricostruisce e ci restituisce, frammento dopo
frammento, quella necessità inesorabile che ci coglie,
di fronte ad ogni stupore, di ricostruire, di connettere, di
ri-conoscere, per la paura feroce che tutto possa disperdersi
nella dimenticanza, quasi che quello che abbiamo sfiorato, percepito,
vissuto, potesse sparire, come un sogno dispettoso, lasciandoci
inermi a chiederci come ha potuto succedere, come abbiamo potuto
essere così distratti.
Carissimo Fabrizio, sei una buona stella per molti di noi nè
più nè meno di come lo sei stato e lo sarai, noi
che non abbiamo vissuto pelle a pelle giorno per giorno con
te, ci possiamo permettere di continuare, sempre allo stesso
modo, a vivere con te e non ci rimane che spingere sino a che
l’energia incontenibile della tua lucida e libera passione sfondi
gli illusori confini del tempo e dello spazio, restituendosi,
forza e tenerezza insieme, a chi ti ha toccato e forse non sa
più come continuare a toccarti.
Au revoir.
Giovanna Panigadi
(Reggio Emilia)
I
nostri fondi neri
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Sottoscrizioni.
Salvatore Pappalardo (Acireale), 20.000; Giorgia Navone
(Vercelli), 50.000; Luigi Brunetti (Campobasso), 10.000;
Aurora e Paolo (Milano) ricordando Alfonso Failla
e Maddalena Bogo, 1.000.000; Giuliano e suo figlio
Valerio (Monteprandone), 9.200; Centro Studi Libertari
(Napoli) “salutando Rino C.”, 100.000; Placido La
Torre (Messina), 10.000; Salvatore Piroddi (Arbatax),
20.000; Rino Quartieri (Zorlesco), 50.000; Paolo Mauri
(Milano), 50.000; Franco Leggio (Ragusa), 300.000;
Federico Arcos (Windsor - Canada), 205.000; Roger
de Garis (Brooklyn - USA), 44.000.
Totale lire 1.868.200.
Abbonamenti sostenitori.
Giancarlo Ceola (Malo), 150.000; Massimo Novelli
(Torino), 150.000; Vittorio Golinelli (Bussero), 150.000;
Totale lire 450.000.
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