rivista anarchica
anno 30 n.265
estate 2000


 

 

Ma quale pentimento?

L’inizio del nuovo millennio (polemiche a parte sulla reale veridicità di tale avvenimento!) ha rappresentato per noi detenuti un momento contraddittorio, forse più del solito; noi tendiamo a far diventare normali e irrilevanti momenti e giorni, che in altre condizioni, potrebbero essere importanti, perché l’assenza di socialità, la separazione e la mancanza di intimità con i propri cari, ci fanno scegliere di estraniarci, di allontanarci dalle feste. Viverle vorrebbe dire far prevalere eccessivamente la nostalgia. Evitarle non ci farebbe sognare, ricordare tutto ciò che è linfa della vita e per la nostra sopravvivenza.
Il 2000 diventa un anno qualsiasi, perché si pensa al successivo sperando che avvenga, nel frattempo, qualcosa di positivo. Tra di noi non ci si fanno gli auguri, anzi, molti si arrabbiano se qualcuno non “rispetta” quest’abitudine. Codici i comportamento, codici di linguaggio, nei confronti dei quali non c’è però devozione ma une coatta consuetudine.
Nel carcere si cerca di ricordare senza avere l’ossessione del ricordo, ben coscienti che non c’è futuro senza la memoria del passato, senza un continuo e costante lavoro che valorizzi la conoscenza, la mente della gente. La galera è però il luogo che si vorrebbe padre della memoria, immobile, che si vorrebbe privo di tensione morali e in cui il valore stesso del tempo fosse negato.
Oggi i “ricordi” di un inquisito e/o di un prigioniero sono considerati solo se diventano elementi giuridicamente rilevanti, solo se assumono l’aspetto della collaborazione, delle delazione, elevata, dalla politica delle continue emergenze, a qualità e a pregio dell’uomo.
Il pentimento non dovrebbe essere merce di scambio, dovrebbe essere altra cosa: un Valore privato, estraneo al brutale lucro a cui ogni individuo dovrebbe potersi avvicinare per fondere la riflessione al dolore.
Non vogliamo, ne possiamo oggi aprire un dibattito che riguardi i nostri casi specifici, ne parlare dei molti che conosciamo: vogliamo nuovamente invitare la società tutta a riconoscere il carcere come parte di essa, come figlio delle proprie enormi contraddizioni, ad assumere insieme a noi l’impegno di scavare le parole in profondità per tirare fuori il meglio, per imparare ad ascoltare anche i suoni,”il rumore dei muri”, di chi è reso tale, sia esso colpevole sia esso ingiustamente accusato, dalle mura di una istituzione le cui fondamenta sin dall’origine avrebbero dovuto essere lentamente erose dalla ragione, dalla capacità di riaccogliere gli uomini che hanno sbagliato, dalla solidarietà e dalla lealtà nel rapporti tra individui.
Il carcere è invece il luogo in cui si creano divisione e differenziazioni che dovrebbero governare la vita, figlie del paese più sicuro d’Europa (secondo le più recenti statistiche dell’Interpol), delle continue politiche emergenziali.
Il 41 bis, le sezioni ad Elevato Indice di Vigilanza Custodiale (ai cui detenuti non è notificato nessun provvedimento che motivi tali condizioni, per cui non esiste possibilità d’impugnazione come prevede una legge sulle sanzioni amministrative degli inizi anni’90), l’isolamento diurno per gli ergastolani anche dopo 20 anni e più dalla condanna, l’uso dei Gruppi Operativi Mobili (GOM) nella gestione delle situazioni ritenute problematiche (come avvenuto recentemente a Sassari); questi sono alcuni degli elementi considerati dal Ministero utili e necessari, per normalizzare, restringendo sempre più le già esigue libertà dell’istituto carcerario, rendendolo sempre più estraneo alla società e alle uniche pratiche che ne svelerebbero l’insufficienza etica e sociale: le ampie relazioni tra soggetti liberi e non.
La società è sottoposta a un bombardamento di immagini e di informazioni che descrivono continue catastrofi, una valanga di dati in tempo reale che fa leva sull’emotività con una velocità disarmante. I giornalisti, in un recente dibattito a Roma, hanno discusso della dipendenza e della soggezione della loro categoria radicata cultura antigarantista.
Noi pensiamo che sia assolutamente prioritario riallacciare il legame tra le tensioni del nostro tempo, quello di noi uomini e donne prigionieri, e il mondo esterno in tutte la sua variegata complessità.
Le nostre parole restano normalmente nell’ombra, da lì vorremo uscissero perché anche noi possiamo essere elementi propositivi di una cultura delle contraddizioni, della complessità e differenza.
Sperando che questo sia lo spirito che ci accomuna...
Buon lavoro!

Fabio Canavesi
Marco Camenisch
(carcere di Novara)

Andrea Perrone
Carmelo Musumeci
(carcere di Voghera)

Con dolcezza incazzata

 

Volevo dedicare questa lettera a una persona in particolare, Horst Fantazzini, e a tutte le persone che in questi ultimi anni ho sentito veramente vicine...
...Ottavio Querci da lassù (o da laggiù ?) mi sorride, mitico partigiano Ottavio vecchia quercia sempre schietto e gentile, di figura alto, ossuto, capelli corti bianchi, con un paio di occhiali spessi come due fondi di bottiglia e dietro due occhietti vispi ma amorevoli, a 95 anni ancora forte (“una volta la mi telefonò una signora che cercava l’idraulico, io ero a farmi la minestrina, ma presi la cassetta degli attrezzi e andai”); “compagno di Gesù” come amava definirsi e compaesano di Gaetano Bresci, idraulico anarchico “ma da giovane durante la guerra facevo il pompiere” (come il draghetto Grisù dei cartoni animati ?); la sua moglie compagna Nella faceva la sarta era bravissima e Ottavio mi regalò un casino di vestiti, abiti da sera, cappotti, anche biancheria intima non si sa mai “tanto portate le stesse misure, no ?”. Ottavio che mi telefonava “Sono in fin di vita” e poi lo trovavo in pantaloncini canottiera e cappellino da marinaio che si faceva un piatto di spaghettini “Visto che tu sei costì, che ne vorresti un pochino anche tu ?”. Finià stato presentato una sera sotto il carcere minorile del Pratello a Bologna, con la polizia in assetto di guerra ma almeno una cinquantina di compagni e l’atmosfera era bella, viva...
...Vittoria Salvatore e Mikhail, se non ci fossero stati loro, nelle mie “trasferte” ad Alessandria per raggiungere il carcere dove stava il mio compagno per me sarebbe stata molto più dura. Alessandria è una città inospitale per il clima e per i leghisti, arrivare là dopo un viaggio notturno solitario fatto nelle carrozze quasi “bestiame” stipate di povera gente del sud era un tuffo al cuore e tutte le volte che arrivavo alla stazione mi chiedevo se non ci fossero stati loro, Vittoria ferroviera con la sua dolcezza incazzata (o incazzamento dolcissimo ?), Salvatore operaio e musicista con la sua flemma siciliana (mìnchia... adesso scriverà una lettera di smentita) e il loro piccolo Mikhail un topolino tuttomatto con la vocina topolina che vedrei bene con due baffetti di panna montata e una fragolina al posto del nasino, come sarebbe stato il mio impatto con il luogo, fino a quel maledetto cancello del carcere con gli sbirri che sembra che ti sparino addosso con lo sguardo ! E poi, i compagni di Forte Guercio e di Sciarpanera in contemporanea con la prima alessandrina di “Ormai è fatta!” organizzarono una bellissima serata in un cinema, e la storia non fu indolore perché i carabinieri per ritorsione fratturarono le costole di una compagna; Horst attaccò il loro volantino in cella e mi disse al telefono con voce commossa che era felice della loro-nostra solidarietà ! Tanto che poi i compagni fecero anche un presidio sotto la Prefettura di quella città, e scrissero un articolo per il “Seme anarchico” che procurò nuovi corrispondenti al rapinatore con la pistola giocattolo (a proposito, lo sapete di cosa era fatta quella pistola secondo Giorgio Bertani ? di pasta di sale !)...
...Giuliano Capecchi, pistoiese come Leda Bruna Rafanelli, insegnante in pensione come tanti, vero amico e volontario da anni in quella jungla di regolamenti e spesso di assurdità che è il mondo carcerario; Giuliano di Pantagruel che fa “Liberarsi dalla necessità del carcere” con Carmelo Musumeci, eppoi ci ha la macchina che funziona poco eppoi “è imbranato al computer” eppoi è un “vecchierello malandato” eppoi è anche un po’ “rimbischerito” ma fa più di un rompighiacci in Siberia! E allora, questa cosa come la si spiega?!
E visto che ci sono, mando un bacio anche a Beatrice Cioni la maga di “Informacarcere” della regione Toscana...
...Giorgio Bertani, editore veronese, passionale, allegro, incazzato con questa Verona “bene” fascista e consumista che dà la caccia agli extracomunitari e chiude i centri sociali; lui che a metà degli anni ‘70 pubblicò il libro di Horst: “Ormai è fatta!”. Un mito. Uno fuori come i balconi. Le sue segreterie telefoniche ? L.S.D. allo stato brado. Parole che filano e fondono meglio della mozzarella. Il vero impegno - non parolaio - per la pace, contro la guerra. Anche per l’amore, l’erotismo “quello bello, quello vero” come racconta la sua segreteria.
Giorgio a onor del vero è stato l’autentico motore del film, senza di lui il film non si sarebbe fatto e questo il produttore, Gianfranco Piccioli, almeno avrebbe potuto riconoscerglielo: infilando il suo nome nei lunghi titoli di coda...
...Rosalba, Dalida, Sabina, Stefy, Luisa, Eva, 2 Anna, amiche, non sempre compagne, ma sempre amiche che mi aiutano a sbrogliare i miei gomitoli, a rimettere le cose in ordine, ad affondare il coltello nella piaga, a capire quando una storia con un uomo diventa troppo importante, soprattutto a riderci sopra...
Le stupidine - Horst, ti prego, concedimi il termine: decerebrate - che vanno in televisione e sui rotocalchi usano spesso il termine “autoironia”. Noi l’autoironia la facciamo per davvero !
È bello parlare con le donne e fra donne, (e fra le amiche donne ci metto a anche Eugen Galasso che ha una sensibilità e una delicatezza straordinaria) nessuna invidiosa, nessuna competitiva, almeno quelle che frequento io... le altre, quelle invidiose leva il pranzo parlando della guerra, della miseria che c’era, del duro lavoro in fabbrica, delle puttane (“io a quelle povere ragazze non gli ho mai fatto del male, gli ho sempre fatto del bene”), di quei farabutti traditori che sono seduti al governo e che affamano il popolo ! Quando morì, io e Horst mandammo un cuscino di garofani rossi che amava tanto e la nostra bandiera...
...Armando, il mio squatter preferito, conosciuto per caso una sera in treno a Empoli; allora aveva solo 19 anni aveva indosso un pareo e capelli neri ondulati lunghissimi. Armando l’okkupatore appalla spagnolo e lucano con la sua Jènet la cagnolina nera strabella; Armandino coi piercing che è nato quando io facevo l’indiana metropolitana e mi fa sentire vecchissima, ma con addosso un sacco di storie da uomo vissuto, e la galera, questa cosa che a noi che non abbiamo soldi ci tocca sempre da vicino, per lui significa due giovani fratelli incarcerati; un diario fitto di annotazioni: si esce anche scrivendo, la scrittura a filo di penna è il nostro lenzuolo annodato verso la Libertà...
...Maria Rossini, compagna ceramista di Faenza, piccolina, una perfetta “tap model” come direbbe Syusy Blady, allegra, piena d’interessi, con quel furgoncino scassatissimo ma funzionante, più simile d’aspetto a una esistenzialista francese i capelli neri a caschetto vestita di nero ma con un tocco d’esotismo andino nel volto; segno dei pesci, la casa piena di libri e di ceramiche, disordinata, viva. Maria a parte tutte le cose che ha dato a me personalmente, ci “prestò” la sua strafiga casa di campagna per fare una serata di solidarietà con Horst. Organizzavano gli Anarchici Nomadi di Modigliana. Vennero quelli della Compagneria del Villaggio di Palazzuolo sul Senio, per tutta la sera e fino a notte fonda facemmo mostra di controinformazione, teatro, cantastorie, mangiafuoco, trampoli e infine canzoni sull’aia in mezzo ai pennuti. La notte era umida e anche un po’ fredda, ma c’era il vino, c’era della gente bellissima. Lo spettacolo di cantastorie (mio) era gi comari le politicanti le sapienti le tuttologhe le tutrici le suore le sbirre le giudicesse non appartengono al mio pianeta... Nelle donne ho sempre trovato la forza e la solidarietà personale che è indispensabile quando le situazioni sono veramente pesanti e difficili. Quando hai a che fare con una situazione pesa e triste come la malattia o il carcere, è importante la comprensione, la presenza, il rispetto. Nelle sale d’attesa del carcere si incontrano molte donne che vanno a trovare i loro compagni, sono donne semplici poco istruite che hanno sofferto moltissimo e che ancora portano il fardello di dover accudire i genitori anziani o crescere ed educare i figli da sole. Fanno viaggi anche lunghi e scomodi pur di raggiungere i luoghi di detenzione, lunghi anche centinaia di kilometri, perché lo Stato non si preoccupa minimamente dei familiari che anzi dovrebbero sparire dalla faccia della terra ! Se potessero, ci metterebbero in una camera a gas. Ma in tutte c’è una grande dignità. Sono bellissime. Non piangono. Anzi cercano di presentarsi al meglio.
Anch’io ho trovato tante volte la forza di sorridere, di fare la clownessa, la buffona, per non soccombere e per donare un attimo di gioia al mio compagno. E per restituirgli gli schiaffi che mi ha tirato.
“Sai, oggi la sbirra che mi ha perquisito tastandomi il reggiseno mi ha chiesto sospettosa che cos’erano queste due cose dure - forse scambiandole per tocchi di fumo - le ho detto vergognandomi un po’ per lei... che sono capezzoli !”..
...Horst, amore, ho tanta tantissima troppa voglia di vederti libero nella tua casa fra i tuoi cari anche se non so, se sarò ancora al tuo fianco. Mi rendo conto che sono di più le cose che ci separano di quelle che ci uniscono, compreso il sarcasmo di taluni o le maldicenze di altri che in questa situazione nostra particolare piombano come palle di cannone sul nostro rapporto. Anzi, sono quasi determinanti. Ho ancora nelle orecchie quella misteriosa telefonata di una “signora” dall’accento bolognese che mi diceva senza mezzi termini “sciei una puttaaana” e “hai capito bene, sciei una troooia”! La solerte tortellina lo sa che ho il telefono sotto controllo e che la sua telefonata è documentata? Boh! Come se non bastasse già la separazione fisica, i colloqui separati (lo sapete che alla Dozza i colloqui si fanno in salette piccole sovraffollate con la gente che urla per farsi sentire, e in mezzo c’è un bancone divisorio di marmo e un vetro che arriva fino al naso?), e poi i baci negati, i telegrammi ritardati, la postacelere che non viene consegnata perché “il destinatario non è in casa” (!), le cose che non entrano per ignoranza o per dispetto e questa roba qui...
Ad ogni modo, perché ci sono e perché sono viva, approfitto della gentilezza delle compagne-compagni di “Rivista anarchica” per mandarti i miei baci più appassionati e il mio augurio veramente speciale perché tu conosca presto il tuo vivacissimo nipotino!!
Che il grande spirito di Groucho Marx ti guidi verso l’uscita (forse l’avevi scambiata per l’entrata?).
SMACK! SMACK! AUGH!
E un fortissimo abbraccio a tutti voi che con la vostra presenza salvaguardate i nostri piccoli spazi di Libertà,

Harpa-Pralina
(Firenze)

Horst Fantazzini si trova dal luglio 1999 presso il carcere di Bologna, via del Gomito 2, 40127 Bologna. Appena trasferito, per una settimana lo misero in isolamento con il 41 bis, “per sbaglio”. Poi rimesso al penale, con la solita condanna fino al 2017 e ditorni. Per rendergli più facile la vita all’hotel della Dozza, hanno negato a noi familiari e amici alcuni colloqui, hanno boicottato la corrispondenza per postacelere, hanno dimezzato il numero delle telefonate consentite e inoltre i colloqui avvengono con i soliti banconi divisori di marmo + vetri ad altezza di naso... dulcis in fundo, gli avevano promesso un lavoro da dicembre, ma lo nuova direttrice scavalcando il parere favorevole di educatori e altri operatori, ha messo il suo veto (anche se il lavoro esterno é contemplato dalla legge Gozzini). Le cose si stavano muovendo, ora anche questo “piccolo” diritto é messo a repentaglio. E’ necessaria una presenza più forte.

Comitato per la Liberazione
di Horst Fantazzini
tel. 055 41 12 37

Carissimo Fabrizio

È stato meglio lasciarci
che non esserci mai incontrati.

Carissimo Fabrizio,
è stato davvero meglio lasciarci che non esserci mai incontrati... Prima che tu migrassi per un altrove di cui non ci è dato sapere, c’eri tu e non è stato necessario incontrarti ed incontrare la tua tangibilità perchè la tua presenza fosse viva. Adesso che sei partito, restano tracce indelebili a solcare una memoria che non ha che da scegliere di cosa nutrirsi per sentire ancora vicino, non il tuo mito, non il tuo ruolo, non le presunzioni più o meno innocenti su di te, ma la libertà inebriante, dolorosa e divertita, del tuo sussurrare poesia passeggiando tra le note.
Da quando te ne sei andato, anche se continuano ad accompagnare la mia esistenza come la più consona della colonne sonore i tuoi suoni e i tuoi significati, la mia curiosità si è affacciata o piuttosto, si sono offerti alla mia fame e alla mia sete, altri messaggi, echi frammenti che, per la prima volta ho avuto voglia di ascoltare.
Allora libri, interviste, immagini che si muovono, disegni, fotografie, cose tue, cose di altri... Mangio e mastico, assaporo e mi nutro di tutto quello che ti riguarda. Mi arriva tutto, prima o dopo, offrendomi un coro di voci e di suggestioni e di ricordi, così differenti, alcuni che sento più vicini, altri più lontani ma ognuno per quello che è... e va bene così.
In questo viaggio, in questo girovagare pacatamente affamato, scopro che davvero tante cose di te le ho percepite solo con i miei sensi interiori, allora tanto inconsapevoli quanto antichi, quando, bambina, fecondavo la mia solitudine e il mio già irrimediabile desiderio di libertà con quello che più mi piaceva delle mie sorelle più grandi: i libri e i dischi, oltre ai loro segreti che selvaggiamente e clandestinamente invadevo. Da quando ho iniziato a viaggiare con te, per scoprirti, nel tempo, prezioso compagno di viaggio ed amico, di quegli amici che non hai bisogno di vederli e frequentarli per sapere che ci sono, per la prima volta ha preso forma e senso la coincidenza tra quello che ho sentito, percepito, immaginato e quello che davvero sei stato, sei e sarai, comunque, ovunque tu sia, fosse anche solo e non è poco, il luogotempo della nostra memoria.
Per la prima volta ho letto di te qualcosa che non fossero le tue canzoni e mi sono stupita, perchè molte volte le parole “dopo”, possono essere offensive della memoria che compone in noi gesti, sguardi, parole, delle persone che ci portiamo dentro: non è stato così e persino quando ho incontrato parole ed immagini che, in me, hanno creato fastidioso attrito con la feroce innocenza, la lucida tenerezza e la calda intelligenza delle tue parole, delle tue note, del tuo sguardo, mi sono sentita indifferente ed impermeabile, desiderosa soltanto di succhiare ogni frammento utile ad un mio relativo e al tempo stesso assoluto riconoscimento. Riconoscimento così lontano dal mito o da una memoria ipocrita, così dentrovicino a quel tuo modo di stare nel mondo e nella vita... leggero discreto lacerante tenero implacabile accogliente ironico appassionato intelligente e sensibile regalando parole a chi, nascosto nel mondo, per obbligo o per scelta, non lascia scorrere le proprie.
Prima partenza: “Amico fragile”, non una biografia, piuttosto un puzzle di ricordi, nel quale la tua narrazione e quella del tuo interlocutore, trovano un’armonia plausibile, che regala il calore di quelle cose che, nell’atmosfera un po’ onirica del camino acceso e nella quotidianità dell’odore di cibi consueti, escono quasi prima che si possa esserne consapevoli.
Poi: “Un destino ridicolo”, una narrazione che ti prende per mano e ti cattura e ti rilancia... personaggi ricordi invenzioni narratori storie luoghi e tempi che si mescolano in questo raccontare a due voci, così diverse e così sorelle. Vorresti che continuasse a tenerti per mano, non dico sempre, ma ancora per molto altro tempo, quasi che questo ancora altro tempo narrativo potesse trasformare quella canzone ironica fattasi romanzo in un’amicizia, in una compagnia, messa lì, a scongiurare tristezze incapaci di fecondarsi nell’allegria.
“ Faber”: le immagini della tua voce... ah... la tua voce... da quale amplesso di profondità di abissi marini con chissà quale firmamento di stelle, è scaturita la tua voce? Se dovessi scegliere una voce da regalare alla mia amante sorella madre amica compagna di viaggio libertà, non avrei dubbi, sarebbe la tua, tagliente e seduttiva come il vento che viene dal mare. Questo video è un bel regalo, un messaggio nella bottiglia, raccolto e rigettato subito nel mare della memoria, perchè solo lì, ed è tanto, non esistono note stonate che possano ferirlo.
“Accordi eretici”: un viaggio di parole nelle parole e di sguardi negli sguardi che ricostruisce e ci restituisce, frammento dopo frammento, quella necessità inesorabile che ci coglie, di fronte ad ogni stupore, di ricostruire, di connettere, di ri-conoscere, per la paura feroce che tutto possa disperdersi nella dimenticanza, quasi che quello che abbiamo sfiorato, percepito, vissuto, potesse sparire, come un sogno dispettoso, lasciandoci inermi a chiederci come ha potuto succedere, come abbiamo potuto essere così distratti.
Carissimo Fabrizio, sei una buona stella per molti di noi nè più nè meno di come lo sei stato e lo sarai, noi che non abbiamo vissuto pelle a pelle giorno per giorno con te, ci possiamo permettere di continuare, sempre allo stesso modo, a vivere con te e non ci rimane che spingere sino a che l’energia incontenibile della tua lucida e libera passione sfondi gli illusori confini del tempo e dello spazio, restituendosi, forza e tenerezza insieme, a chi ti ha toccato e forse non sa più come continuare a toccarti.
Au revoir.

Giovanna Panigadi
(Reggio Emilia)

 

I nostri fondi neri

Sottoscrizioni.
Salvatore Pappalardo (Acireale), 20.000; Giorgia Navone (Vercelli), 50.000; Luigi Brunetti (Campobasso), 10.000; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Alfonso Failla e Maddalena Bogo, 1.000.000; Giuliano e suo figlio Valerio (Monteprandone), 9.200; Centro Studi Libertari (Napoli) “salutando Rino C.”, 100.000; Placido La Torre (Messina), 10.000; Salvatore Piroddi (Arbatax), 20.000; Rino Quartieri (Zorlesco), 50.000; Paolo Mauri (Milano), 50.000; Franco Leggio (Ragusa), 300.000; Federico Arcos (Windsor - Canada), 205.000; Roger de Garis (Brooklyn - USA), 44.000.
Totale lire 1.868.200.

Abbonamenti sostenitori.
Giancarlo Ceola (Malo), 150.000; Massimo Novelli (Torino), 150.000; Vittorio Golinelli (Bussero), 150.000;
Totale lire 450.000.