Gli
anarchici e la violenza
L'anarchismo, quando è autentico, si basa sul principio altruistico
di Kropotkin : "Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto
a te." Quindi è assurdo immaginare un anarchico che sia portato
ad uccidere un essere umano a meno che non si tratti di una
guerra che coinvolga tutti i cittadini di un paese. Dobbiamo
però riconoscere che da parte di molti anarchici, che non fanno
mai male a nessuno, c'è una tendenza a solidarizzare con individui
che si qualificano anarchici per dare una giustificazione morale
alle loro malefatte. Pur troppo nel movimento (come in tutti
i movimenti) vi sono persone per bene sulle quali è scattata
la trappola del prestigio di cui godono i violenti in questo
basso mondo, così come sui comunisti é scattata la trappola
dello stalinismo. Ve li immaginate dei Kropotkin, dei Bakunin,
dei Malatesta che si mettono a seminare dei cestini pieni di
esplosivo nei supermercati o perdono tempo e dignità nell'esaltare
gl'individui che costituiscono spesso la manovalanza di politici
corrotti o psichicamente anormali? Ed anche é bene guardarsi
da persone, comunque si qualifichino, che sono morbosamente
attratte da politici che esprimono qualche nostalgia per i responsabili
della atrocità commesse nel secolo scorso ma che, per fortuna,
non hanno la capacità organizzativa di saper trascinare torme
di esseri ridotti all'incoscienza. Nel suo Amleto, Shakespeare,
fa dire al non del tutto equilibrato protagonista della famosa
tragedia che rimanere onesto, per il mondo come è fatto, è dato
ad un uomo sopra diecimila." Per certo non è tanto strano che
esistano tanti uomini di cultura che pubblicano libri e scrivono
sui giornali trovando il mondo di giustificare certi terroristi
e certi malfattori politici italiani e stranieri ricorrendo
agli argomenti usati dai retori e dagli psichiatri. Se anche
loro non difettassero di qualità positive farebbero in modo
che il terrorista politico o religioso non penserebbe più di
essere ammirato come un eroe; ma sarebbe vincolato dal pensiero
di poter essere considerato un infermo di mente. Tra l'altro,
da noi, il criminale sa di poter contare sulla benevolenza di
un popolo che non ritiene giusto che la legge sia eguale per
tutti. Molti che si occupano di giustizia dedicano la parte
migliore del loro tempo, anziché alla ricerca di misure atte
a prevenire i reati, al benessere dei criminali. Ricorrono a
qualunque argomento. Ad esempio, non molto tempo fa nell'irrogare
una condanna ridicola, praticamente annullata delle attenuanti,
per un grave reato commesso da un politico, i giudici spiegarono
la loro particolare generosità con "l'irreprensibile condotta
processuale" dell'imputato. (Chissà? Forse non aveva preso i
giudici a pernacchie). Qualcuno si chiederà per quale motivo
ci si deve preoccupare delle azioni dei falsi anarchici e non
degli atti di violenza commessi da uomini che professano, o
fingono di professare, principi di altro genere; la ragione
è stata enunciata al principio di questo scritto. Inoltre chi
è anarchico, proprio perché è tale, non obbedisce alla volontà
di conventicole, di segretari e funzionari di partito e simili.
Dato che ha una vigile coscienza individuale non ha bisogno
che gli venga insegnato come debba comportarsi nei riguardi
dei propri simili. Il principio che lo guida non ammette deviazioni,
come avviene per i cristiani che beneficiano di note voli deviazioni
come accade in Irlanda, come accade negli USA dove parecchi
medici abortisti sono stati assassinati dai cattolici ai quali
la casta malefica che ne condiziona il comportamento non contorcesse
il suo principio secondo il quale non si deve fare ad altri
ciò che non vorrebbe fosse fatto a se stesso. Senza condizionamenti
esterni non solo certi religiosi sarebbero incapaci di uccidere,
ma neppure di odiare. Non solo, ma la coscienza impedirebbe
loro di usare le proprie idee come mezzo per ottenere privilegi
e migliorare il proprio benessere a spese altrui. Gli uomini
che non appartengono alla maggioranza indicata dal principe
Amleto, ma alla minoranza alla quale appartiene il principe
Kropotkin, si rendono conto che, dato che ogni uomo ha la sua
visione del mondo, può esternare le proprie per presentare se
stesso, mai per propagarle e comunque per usarle allo scopo
di affermare i propri interessi particolari o di gruppo.
Alessandro Brenda
(Genova)
Il
Carcere RIMOSSO
È come tornare da capo! I discorsi paiono sempre gli stessi,
da anni si ripetono e, forse, analizzando bene le cose, si potrebbe
scoprire che i periodi di discussione corrispondono, in tempi
diversi, alle stesse stagioni! La società non ha ancora assunto
appieno una responsabilità fondamentale per la sua crescita,
per la sua stessa valorizzazione: non ha rivendicato il carcere!
Lo costruisce, prima ancora ne crea le condizioni di necessità,
lo modella in modo grezzo, perché grezza, violenta, è la considerazione
che ha degli uomini e delle donne che vi sono rinchiusi. Dovrebbe
impegnarsi in una appassionata ricerca con il massimo sforzo,
senza cercare applausi, ed invece rincorre le voci urlate delle
varie emergenze, delle varie corporazioni di addetti ai lavori
che, immancabilmente, hanno qualcosa da dire lasciando vivi
i dubbi sulla reale consistenza delle novità. Non accusateci
di voler essere i primi della classe se parliamo: desideriamo
solo esserci! Vogliamo agire nell'assenza, vogliamo tenerci
stretti i nostri legami, non pesare su di loro, dimostrare che
siamo ancora in grado di rilanciare la speranza, anche in azzardo.
È un peccato provarci? O più laicamente: è sbagliato? Per riuscire
a far ciò dobbiamo continuare a credere che non esiste un destino
inesorabile, dobbiamo porre sul tappeto i temi che per noi sono
belli, fondamentali, necessari. Sentiamo parlare di nuovo regolamento
penitenziario, di aumento delle ore di colloquio mensile e aumento
dei minuti delle telefonate, di legge 419, di trasferimento
della competenza sanitaria nelle carceri dal MINISTERO Dl GRAZIA
E GIUSTIZIA a quello della SANITA. Sentiamo parlare della necessità
di aumentare notevolmente il numero del personale civile, degli
educatori degli assistenti. Siamo in attesa di vedere, di verificare.
Per adesso guardiamo ciò che c'è... Un giorno - 24 ore, una
settimana - 168 ore: in 7 giorni- una sola ora di colloquio!
Crediamo che nessuno possa negare l'impressione che crea il
confronto tra questi numeri. Racchiudiamo tutto in quei 6a minuti:
entri in quelle sale ed è già tempo di salutare con un "A presto".
Torni e ti senti esausto, felice e stanco, insomma un misto
di emozioni. Le mogli, i genitori, ti mandano il loro amore
in un pacco, il cui per massimo è di 5 kg e ci chiediamo spesso
con quale logica vengono limitati a 4 i pacchi, anche quando
il mese è composto da 5 settimane. È un problema di sicurezza
o è un infierire su! desiderio dei familiari di regalare una
sensazione di intimità con un semplice piatto cucinato a Gasa
o una camicia stirata? Una telefonata avviene solo ogni 15 giorni
e solo se nella settimana precedente non hai avuto colloqui;
dura 6 minuti, 6 miseri minuti (pagati da noi, non si tema),
in cui la voce delle figlie, delle mogli, dei genitori crea
felicità, ma toglie il fiato per la tensione. "Stai bene, papà?"
è la frase che apre nel cervello tante caselle che si intrecciano,
si scontrano, si confondono. È già una voce estranea ti avvisa
che devi salutare. I parenti tendono a nascondere eventuali
malanni, hanno paura di creare preoccupazioni, ansie, tensioni.
Quando ci si incontra ci si guarda cercando di capire se chi
si ha di fronte è dimagrito, se gli occhi sono stanchi. Loro
ti chiedono come si mangia, se puoi farlo con qualcuno, come
è l'assistenza medica, se ci sono gli specialisti. La sanità
in carcere è un optional: tanti medicinali spesso mancano, ma
in compenso se ne prescrivono molti, con conseguente uso. Le
visite avvengono di fronte al personale militare, senza alcuna
discrezione, e gli specialisti si vedono dopo giorni e giorni.
Una volta trasferiti, la cartella personale vi segue priva di
radiografie e degli esiti delle analisi. È naturalmente nulla
si fa per proporre o accettare terapie con medicine alternative,
omeopatiche. Vi riempiono di antinfiammatori, antistaminici,
sedativi, tranquillanti. Molti medici ancora si chiedono se
sia giusto trasferire le competenze alle ASL: spaventa così
tanto "provare"? Far conoscere il carcere, trattarlo finalmente
come luogo interno alla società, aprirlo, renderlo trasparente
anche attraverso la medicina, l'analisi delle patologie caratteristiche
di questi luoghi, rendere uguali le garanzie, i diritti alla
salute e alla cura, riconoscendo la nostra cittadinanza. Tutto
ciò deve avvenire contemporaneamente all'aumento della presenza
e dell'operato del personale civile, a cui non si dovrebbe solo
chiedere di dare un voto, di giudicare le personalità degli
individui, ma anche di comprenderle tenendo conto che esse si
sviluppano, si migliorano, se hanno la possibilità di mantenere
vivi e costanti i legami con la famiglia, con la terra, se hanno
la possibilità di far vivere la speranza con lo studio, il lavoro,
una vita, interna al carcere, rispettosa della dignità. Attenzione
quindi alla divisione in circuiti differenziati! Attenzione
alla riproposta del cosiddetto "carcere duro", alla formazione
di nuove sezioni EIV (Elevato Indice di Vigilanza). Forse sarebbe
il caso di spiegare alla gente che cosa vogliono dire queste
cose. Il carcere duro, o regime governato dall'art.41 bis, nega
la possibilità di cucinare, limita gli acquisti alimentari,
limita drasticamente il numero di capi di abbigliamento, nega
ogni possibilità di lavoro, il diritto alla difesa ridotto a
causa dell'uso delle video-conferenze durante i processi concede
una sola ora di colloquio, con i vetri, al mese niente telefonate...
E se si telefona, la conversazione deve avvenire tra carcere
e carcere, vale a dire che i familiari sono costretti a recarsi
all'interno di un Istituto penitenziario vicino a casa ed utilizzare
il telefono lì presente. Molti si rifiutano di sottoporre i
propri cari a una simile vessazione e ci si spieghi come si
può non capirli. Si chiarisca perché continuano i trasferimenti
dei detenuti, imputati o definitivi, anche a più di 1200 Km
di distanza dalla famiglia, contrariamente a quanto stabilito
dall'art. 28 e dall'art.42 dell'ordinamento penitenziario. Così
è offeso il diritto al mantenimento delle relazioni familiari,
il diritto di amare e di essere amati, è attaccato il lavoro
degli avvocati difensori. Ho cercato Palmi sulla cartina, ho
trovato il puntino, in fondo, ho osservato la distanza da Bergamo.
La città dei Mille! Mi sono guardato intorno, ho contato decine
di casi simili, durati ANNI. Non sempre le scuole sono presenti
nelle carceri, non vi sono corsi di formazione professionale,
l'uso dei computer ha avuto nuove limitazioni e l'impegno di
tanti professori è ridimensionato. Il lavoro, diritto e valore
sociale, non è certo offerto diffusamente ed è capitato che
un mese di attività come portavitto fosse pagato L 57.000 nette,
e che non si ottenesse nessun chiarimento alla richiesta di
verifica del contratto di lavoro. Il detenuto che chiede di
sospendere la sua opera per stanchezza, per una corretta rotazione
del posto di lavoro (tutti ne hanno bisogno) o perché valuta
ingiusta la mercede, può essere punito dalla Direzione: per
due mesi niente colloqui e telefonate supplementari ! Le informazioni
non escono dalle galere, il "pianeta" resta sconosciuto e per
continuare su questa strada dissestata si chiedono nuovi carceri,
sempre più esclusi, lontani dalla città, privati del senso di
appartenenza alla società civile. La civiltà degli uomini non
deve negare la conoscenza, la comunicazione tra individui, non
deve intervenire solo quando le organizzazioni per i diritti
umani denunciano gravi e frequenti irregolarità, abusi. Io ritengo
che non debba spaventare, offendere, ne illudere, l'affermare
che è opportuno e legittimo sognare, agire per un tempo in cui
la caduta dei limiti sia reale, continuamente messa all'ordine
del giorno: PER UNA VERA E SINCERA CULTURA DELLE LIBERTA'.
Palmi, 19/6/2000
Fabio Canavesi
(carcere di Palermo)
Andrea Perrone
(carcere di Voghera)
Carmelo Musumeci
(carcere di Novara)
Sono
un militare di carriera
Ho letto l'articolo di Franco Pasello sulla vostra
rivista on-line "A" 259, dicembre 1999/gennaio 2000) dal titolo
"Una vittoria? Direi di si". Concordo pienamente su quanto riportato
nel testo e devo ringraziarvi per avermi fatto conoscere cose
di cui non ero a conoscenza. La politica, le varie ipocrisie
governative e partitiche, la lobby della chiesa e di tutte le
religioni di stato, la lobby economica, la lobby militare e
chi più ne ha ne metta. Fin qui niente di strano, anzi devo
dire che sogno spesso anch'io e i miei sogni sono più utopici
dei vostri. Io sono un militare di carriera, una scelta operata
in un momento della mia vita dove non mi ponevo tanti perché
e tanti per come, l'ho fatta e forse perché vivendoci non mi
pongo il problema politico della cosa. I miei problemi sono
diversi rispetto al problema. Io mi chiedo da un po' di tempo
a questa parte dove andranno a finire le forze armate quando
la componente di leva non ci sarà più. Dove andrà a finire l'impegno
di tanti di questi lunghi anni per la sua abolizione quando
il risultato sarà raggiunto. Un problema si presenta sempre
sotto vari aspetti e risolverne una parte non è risolvere il
problema. Senza controllo democratico le forze armate sono un
pericolo per la democrazia. Un assenza di bilanciamento dei
poteri, metterà le forze armate nelle mani di pochi elementi,
voi cosa pensate di fare? Il vostro impegno finisce qui o continua?
Giuseppe Pescaioli
doipe@tin.it
I
comunisti mangiano i bambini... e le su' mamme
La scioccante lettura di Dal totalitarismo al cannibalismo
di Jean-Jaques Gandini (A, n. 265 estate 2000) ha suscitato
in me notevoli perplessità, inducendomi a una serie di considerazioni
che vorrei sottoporre all'attenzione dei lettori. Premetto che
utilizzo il termine "perplessità" per rispetto dell'estensore
dell'articolo e soprattutto della redazione di "A", ma sinceramente,
se dovessi esprimermi con maggiore rudezza, qualificherei le
conclusioni contenute nell'articolo con termini sicuramente
meno neutri. Indubbiamente l'argomento e le informazioni dell'articolo
in questione paiono sconvolgenti per una qualsiasi coscienza
occidentale, e la perentorietà con la quale si danno per scontati
avvenimenti altrimenti incredibili, non sembra lasciare adito
ad alcun dubbio. Va inoltre riconosciuta al compagno Gandini,
noto ed esperto sinologo, quella serietà documentaria ed espositiva
senza la quale il brano in questione non andrebbe neanche preso
in considerazione ma liquidato come il vaneggiamento delirante
di un anacronistico "anticomunista viscerale". Eppure quanto
ci racconta Gandini, nonostante la sua sconvolgente drammaticità,
non riesce ad assumere quel grado di credibilità, o meglio ancora,
di plausibilità, che è indispensabile quando si lancia un attacco
frontale a un avvenimento così importante quale fu la rivoluzione
culturale cinese degli anni sessanta. Innanzitutto penso si
debba entrare nel merito del tono complessivo dell'articolo,
perché mi pare evidente che quando il furore ideologico prevale
sulla volontà di offrire una obiettiva ricostruzione dei fatti,
tale furore purtroppo non aggiunge nulla al valore della denuncia
ma addirittura le toglie consistenza. Per un qualsiasi libertario
la critica dell'autoritarismo marxista e di tutte le forme con
le quali questo si è storicamente espresso, è quasi un dovere
morale, a patto che le categorie del ragionamento non vengano
sopraffatte da quelle della visceralità. In secondo luogo, e
questa considerazione mi sembra più importante, nel pezzo in
questione si è volutamente inteso usare una dose eccessiva di
understatement nell'illustrare la pratica del cannibalismo
in alcune zone rurali della Cina. Appare evidente, e ce lo dice
lo stesso Gandini, che questa forma di cannibalismo non è assiomaticamente
ascrivibile a finalità di potere o agli strumenti canonici della
"lotta di classe". Del resto basta leggere il bellissimo romanzo
Sorgo Rosso sulla lotta civile e la rivoluzione comunista che
interessarono la Cina negli anni trenta per accorgersi come
il cannibalismo, reale e metaforico, era una costante nell'esperienza
quotidiana di un paese divorato dalla fame e dalle carestie.
Pertanto non sottolineare gli aspetti sociali, culturali e antropologici
di un fenomeno così distante e avulso dalla mentalità del lettore
occidentale, pone tale lettore nella sostanziale impossibilità
di usare un filtro critico rispetto a quanto sta leggendo. Di
più, lo si costringe a subire un atto decisamente autoritario
di cui è responsabile non solo l'estensore del pezzo ma, in
ultima analisi, anche la redazione. Voglio infine sottoporre
all'attenzione dei lettori un'ultima considerazione. Non ho
gli elementi per giudicare se il dissidente Zheng Yi sia una
persona attendibile e se davvero, come ci dice, ha percorso
in lungo e in largo la Cina interrogando i testimoni dei fatti
narrati. Comunque, così me lo descrive Gandini, e non ho nessun
motivo per non credere al compagno francese. Non posso fare
a meno però di interrogarmi sui motivi che avrebbero spinto
le attuali autorità comuniste cinesi a fornire a un dissidente
residente negli Stati Uniti tanti elementi sui misfatti agghiaccianti
compiuti dal loro partito in anni non troppo lontani. Dato che
non credo che gli attuali dirigenti cinesi siano diventati "buoni",
trovo solo due possibili risposte: o Zheng Yi ha consapevolmente
costruito una bufala su notizie inventate, oppure non è altro
che un inconsapevole strumento di una delle fazioni che da anni
si stanno contendendo l'egemonia del PCC e l'eredità di quello
che resta del mito di Mao.
Massimo Ortalli
(Imola)
Caro
Francesco Berti, sbagli...
Si intravede nel futuro per quanto si conosce
del passato. La tesi risale al salvatore della democrazia attica,
il veggente mistico cretese Epimenide.
Pur abbandonato il percorso della mistica, posta la riflessione
politicasotto il primato della ragione, l'intuizione di Epimenide
resta non menovera e valida per lo sviluppo della riflessione
sulla scienza politica. Ecco perché è importante capire come
mai Malatesta vedesse nel governo Mussolini una riedizione dei
governi autoritari di Crispi e di Pelloux; sbagliando, secondo
Francesco Berti ( "A" 265, estate 2000), e conseguentemente
sbagliato il giudizio di Malatesta sulla democrazia borghese,
ritenuta non migliore del totalitarismo fascista. Ma sbagliava
veramente Malatesta, o non piuttosto, per un processo involutivo,
i nostri modelli culturali agiscono come fattori di accecamento?
Quanta informazione contiene, per esempio, un concetto sul quale
F. Berti, fa molto affidamento esplicativo: stato totalitario?
Espressione in virtù della quale nazifascismi e bo scevismi
si agguagliano. Di più: i secondi diventano, nella favola di
una certa pubblicistica accademica eccessivamente accreditata,
gli antecedenti, le cause.
Per capirlo vediamo di partire dai due nomi pronunciati da Malatesta
a indicare i padri storici di Mussolini: Crispi e Pelloux. Due
nomi, ma che presi a sé contengono una quantità di informazione
in te mini di conoscenza delle dinamiche della lotta politica
decisamente parenti. I due nomi diventano significativi soltanto
se si comprende perché furono i capi di un tentativo di reazione
antiliberale che abortì. Cioè perché mancarono l'obbie tivo
che invece riuscì a Mussolin. E la cui riuscita invalida il
giudizio di un certo Malatesta in una certa congiuntura sor
ca, per il quale il disegno politico del nvo tiranno sarà sconfitto
come lo furono quelli di Pelloux e di Crispi.
Attraverso il passato egli deduce un futuro che non si realizzerà.
Dov'è l'errore rispetto alla conoscenza del passato che impedisce
a Malatesta di vedere nel futuro? Per capirlo, veniamo al nostro
presente politico. Alla personalità che più lo sta plasma do:
il cavaliere di Arcore.
Silvio Berlusconi per raggiungere il potere alla svolta degli
anni 90, dopo la liquidazione del socialismo craxiano, ha creato
una geniale e impossibile coalizione, a partire dalla complessa
e faticata coalizione polit co-economica che aveva costruito
intorno alle sue reti televisive, sì megafono del craxismo,
ma a un tempo spazio per l'affermazione di una imprenditoria
minore fin là tagliata fuori dai grandi media. Alla sconfitta
del craxismo, questo ceto di medio piccoli imprenditori diventa
la rete dalla quale sorge Forza Italia: un vero scattoà di immaginazione
politica, ma che non porterebbe Berlusconi molto lontano, se
non catturasse l'ex Movimento Sociale.
Un grosso pesce, ma che rischia di isolare Berlusconi, escluderlo
da ogni possibile strategia vincente. E qui l'uomo di Arcore,
con uno scatto di immaginazione politica straordinario, e misura
anche dell'insipienza dei suoi antagonisti, cattura la Lega
di Bossi, costruendo una coalizione che è maggioritaria nel
paese. Infatti arriva a sorpresa al potere, ma non ha il placet
e del grande capitale e del Vaticano. Di più: i suoi luogotenenti
sono affamati e non lo nascondono. Previti proclama: "Non faremo
prigionieri." La vittoria ha mandato fuori di testa i vincitori,
che bloccano i contributi patteggiati dallo stato con la FIAT,
comprano i deputati bossiani, non tengono conto del Vaticano.
La coalizione si frantuma e Berlusconi perde il potere, ma l'uomo
è tosto. Impara la lezione: che non conta niente vincere le
elezioni, se non si è riconosciuti come legittimati alla vittoria
da quelli che la politologia definisce: poteri forti, luogo
per nulla astratto, ragionando del quale il defunto banchiere
Cuccia affermava: i voti si pesano e non si contano.
E la cosa è non meno vera per i voti politici che per quelli
economici (azioni). E infatti, nella mecca della democrazia
liberale: gli USA, pur avendo il consenso della maggioranza,
l'antagonista repubblicano di Busch nella corsa alle presidenziali,
pur potendo vincere contro il concorre te democratico Gore a
mani basse, non è riuscito a passare, perché l'oligarchia repubblicana
non lo ha avallato.
I voti si pesano. Incominciamo a vedere che la democrazia ha
delle regole, ma non sono quelle che predicano i suoi corifei.
Fu in base a quelle regole altre che Mussolini vinse: quelle
regole altre dei voti pesati (truccati), ragionando sui quali
Malatesta la veceva un po' diversa da come oggi la si racconta
sul sistema elettorale. Che è cosa ottima, conquista da difendere,
ma mai ad occhi chiusi. Tornando al nostro cavaliere di Arcore,
anche lui come Francesco Beri un po' conf so circa il gioco
elettorale, quando ha scoperto come veramente funziona, uomo
non da poco, tenace nel suo disegno, ha ripreso a costruire
la sua coalizione vincente, ma questa volta mettendo la mordacchia
sui riti neopagani al socio Bossi: che ha incominciato a rilasciare
dichiarazioni adoranti il papa polacco: anch'egli vero nazionalista
e grande anticomunista.
Parallelamente ha mandato Fini a piangere nei lager e ha cercato
di legittimarlo spedendolo in Israele. Un lavorio complesso,
mirato al papa, alla forte minoranza ebraica, e a un tempo grandi
riverenze al capitalismo storico.
Berlusconi ha imparato dalla lezione che gli impartì il coriaceo
bolognese: che i diessini avrebbero dovuto tenere come una reliquia,
e invece hanno spedito fuori gioco a Bruxellese, facendo come
quel marito che per fare dispetto alla moglie che lo cornificava
si evirò. Berlusconi ha insomma ricostruito la sua coalizione
anche sugli errori degli avversari.
La conquista del potere politico passa sempre per la costruzione
di coalizioni che dervono spesso accorpare elementi di natura
eterog nei, come appunto Bossi e Fini. In politica la contraddizione
deve consentire. E infatti abbiamo visto in Italia l'impossibile
affermazione del cattocomunismo, la più grande operazione di
trasformismo, che ha stritolato Craxi, salvo poi crollare, ma
per fattori esterni: la fine del bolscevismo, che infatti ha
poi travolto anche Craxi, di fatto già impantanato, e che poi
è stato liquidato dalla coalizione cattocomunista, i cui relitti
tengono oggi lo stato, sul quale avanza Berlusconi.
Veniamo ora alla vittoria mussoliniana. Anch'essa fu il risultato
di una coalizio, e costruita con molta più abilità tattica,
intellige za politica, passione del potere di quelli dispeigati
da Berlusconi: che non sono stati poca cosa.
La colalizione che in due anni (1920-22) Mussolini costruì ha
del prodizioso, perché accorpò, assimilò sotto la sua egemonia
elementi fin là ritenuti inassimilabili: il Vaticano e la Massoneria,
il capitalismo e le organizzazioni cattoliche. La sua coalizione
conteneva elementi ben più contradditori di quella costruita
da Berlusconi e a differenza di Berlusconi non aveva capitali
propri, grandi mezzi di informazione e un nucleo di pesone fidate.
Infatti fu sempre battuto e messo in minoranza nei pochi conclavi
fascisti (si veda in proposito la ricostruzione dell'ascesa
del fascismo fatta da Angelo Tasca: un grande scritto storico).
A Malatesta la debolezza abissale di Mussolini era manifestamente
evidente. Come lo era a Giolitti, lo era al re, lo era a D'Annunzio,
lo era a Nitti. Tutti suoi antagonisti con un vantaggio apparentemente
in colmabile su lui. Ebbene, egli seppe usare magistralmente
la propria debolezza per giocare i suoi antagonisti, e soprattutto
accreditarsi presso il Vaticano, che accettò il fascismo, ne
determinò in modo decisivo l'ascesa, proprio perché la coalizione
politica che portò Mussolini al potere, attraverso la caricatura
della Marcia su Roma, era disperatamente subalterna alla decisioni
dell'elettorato cattolico.
E infatti il primo governo Mussolini: quello che va fino all'assassioni
Matteotti (termisus ad quem della nascita dell'antifascismo)
diede alla chiesa il salvataggio delle banche cattomliche: tutte
indebitate e prissime al colasso, e introdusse l'educazione
religiosa nelle scuole eleme tari. Passi che avrebbero portato
allo scontro nella sua coalizione, se Mussolini, con grande
senso tattico, non avesse premuto su due registri: la paura
del comunismo (che Berlusconi continua a gestire) e un clima
di violenza diffuso.(...)
Ma con il delitto Matteotti Mussolini si autocondannava inesorabilmente,
perché altro è ucciderte agitatori sindalacali (era fare un
favore ai capitalisti), preti evangelici (era fare un doppio
favore al Vaticano: lo liberava da presenze imbarazzanti e preparava
materiale per future santificazioni ), altro uccuidere un deputato.
Uccidendo Matteotti Mussolini violava il tabù che fonda tutta
la dottrina liberale: l'inviolabilità del parlamento: e come
luogo e come persone. E infatti i Croce i Giolitti passano all'antifascismo
aperto e dichiarato.
La parte liberale gli è contro, ma Mussolini non cade perché
i suoi oppositori di sinistra: i popolari di don Sturzo e i
socialisti, con la parte radicale del liberalismo si inventa
la farsa inutile e grottesca dell'Aventino.
Invece di sfiduciarlo e dare al Re l'intimazione di rinnovare
il governo, l'opposizione si fraziona, agita la piazza; cade
cioè in un gioco demagogico sterile, come da sùbito vide Giolitti.
Ma nella sua estrema debolezza Mussolini diventa il prigioniero
di quell'Italia tenacemente antiliberale e antiparlamentare
che non aveva mai accettato la fine del papare.
Il concordato del 29 è la conseguenza del sostegno decisivo
della passività clericale, che di fratto diventa il sostegno
decisivo senza il quale Mussolini non potrebbe pronunciare nel
gennaio del 25 la sua tetra arringa su Montercitorio un bivacco
di camice nere.(...)
La separazione dei poteri e la decisione di metterli in conflitto
tra di loro discende da questa visione pessimistica. Dividere
lo stato, ridurne l'ampiezza, renderlo inefficiente, perché
dallo stato è in agguato qualcosa che minaccia in permamenza
la società. Ecco che cosa sapeva anche Malatesta e l'anarchia,
che appunto per questo si propose la liquidazione definitiva
dello stato, passando dalla democrazia rappresentativa alla
democrazia diretta. Ma la città-stato greca era retta a democrazia
diretta e degenerò. Il problema stato non ha soluzioni assolute:
almeno, fino a oggi, non siamo riusciti a scorgerne, ma dire
che la soluzione di Malatesta sia ingenua, proprio non me la
sento.
Il passaggio rivoluzionario non ha dato esiti positivi, ma la
reazione era già in agguato: con Pelloux, con Crispi. Forze
criminali, bande di saccheggiatori: quelli che Mani Pulite ci
ha fatto intravvedere negli affari Rovelli-Sir e Gardini Enimont,
sono sempre in agguato. E spesso sono ex onesti, persone partite
in buona fede, a volte prede di loro fantasmi mentali, come
appunto i Crispi e i Pelloux,ma che aprono a saccheggiatori
e banditi.
Ma intanto la necessità di far dimenticare il lavoro immondo
del Vaticano nell'ascesa del fascismo e la sua estrema difesa:
fino alla fine il cardinale di Milano Schuster cercò di salvare
Mussolini, perché il potere, la persona che lo incarna, va tutelata.
Dio lo ha segnato. Questo c'è nella dottrina della Chiesa, come
nell'Islam. Il potere è uno strumento divino. Da questa convinzione
è disceso il livello estremamente basso dedl pensiero antagonista.
Il sostanziale blocco conoscitivo che la cultura della seconda
metà del XX secolo ha realizzato ad oscurare la natura intruinsecamente
criminale dell'esercizio del potere.
La stessa determinazione contro la pena di morte da parte della
chiesa cattolica fa parte di questo processo di oscuramento,
attraverso la dottrina del perdono.
Inevitabilmente il sapere politico è decaduta a mera conoscenza
accademica, riflessione su simboli vuoti, come appunto il miraggio
di Francesco Berti su ideali democratiche magnifiche sorti progressive,
che il più grande poeta dell'Italia Unita, Giacomo Leopardi
irride in più di un suo luogo.
E infatti Leopardi si studia poco: ha ancòra troppo da dirci.
Come troppo ha da dirci sul potere Gaetano Mosca, ma molto anche
ci ha detto quello che è di certo il solo grande pensatore anarchico
di questo secolo: Pierre Clastres, tutto il resto è robetta
per rassicurare in una realtà che di rassicurante ha niente;
come ben vedeva Malatesta: in lingua italiana la più alta espressione
della grande stagione anarchica ottocentesca. Egli per un lungo
tratto della sua vita felicemente si situò nella concreta speranza
che la stagione liberlaborghese degli stati potesse essere travolta,
poi vide il fascismo, che venne non per responsabilità sue.
Un po' di responsabilità al più le possiamo spalmare sui socialisti
e sui liberali, ma senza il nucleo forte del cattolicesimo clericale,
le squadracce fasciste e la zavorra nazionalista sarebbe durata
appunto secondo la profezia di Malatesta: ma che vissuto in
un mondo laico non poteva arrivare a scorgere il profondo cuore
di tenebra in paziente attesa dall'altra sponda del Tevere.
Ecco che cosa egli non vide, ergo sbagliò per eccesso di ottimismo.
A maggior gloria dell'anno Giubilare, scrissi.
Piero Flecchia
(Torino)
Imola
CLERICALE?
LETTERA APERTA ALL'AMMINISTRAZIONE COMUNALE
Fuori discussione che la Chiesa possa far beato
chi meglio ritenga. Non sta a noi giudicare se un reazionario
e antisemita quale fu Mastai Ferretti meriti o meno l innalzamento
agli altari.
Ci preme invece rimarcare quanto sia indecoroso che le autorit‡
laiche della nostra citt‡ si rendano partecipi, inviando una
delegazione ufficiale, di un atto profondamente offensivo nei
confronti di chi ha dovuto subire, nel passato e non solo, le
intimidazioni e le repressioni del peggiore clericalismo.
La beatificazione di Pio IX ripropone l anacronistica condanna,
gi‡ espressa nel Sillabo, della separazione fra societ‡ civile
e potere ecclesiastico. La presenza a Roma di autorevoli rappresentanti
del Comune viene ad appoggiare un progetto inaccetta=bile di
riscrittura della storia.
Chi fu nemico di ogni forma di libert‡ di pensiero non merita
l omggio dei rappresentanti della cittadinanza imolese.
Gruppi Anarchici Imolesi_
Imola, 31.8.2000
I
nostri fondi neri
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Sottoscrizioni.
N. Fava (Rovereto), 4.000; Santino (Milano), 10.000;
Alfredo Villani (Chieti), 20.000; Carmelo Fais (Ardauli),
30.000; Giancarlo Chinnici (Nova Milanese) per il
centenario di Gaetano Bresci, 10.000; Aurora e Paolo
(Milano) ricordando Goliardo Fiaschi e Luce Fabbri,
2.000.000; Paolo Sabatini (Firenze), 15.000; Marianna
Montaruli e Beniamino Vizzini, del Circolo d'Arte
"Félix Féneon" (Ruvo di Puglia), 30.000; Patrizio
Biagi (Milano), 100.000; Bruno Vannini (Surrey Hills
- Australia), 135.036; Isidro Da Rocha Pinto (Cereglio),
10.000; Vittoria Farinelli (Ancona) in memoria del
fratello Luciano, 50.000; Fernanda Bonivento (Ancona)
in memoria del suo compagno Luciano Farinelli, 50.000;
Italo Quattrocchi (Firenze), 50.000; Antonio Ciano
(Gaeta), 20.000; Gabriella Zigon (Sesto San Giovanni),
62.000; Lorenzo Cervetti (Genova), 20.000; Mariano
Brustio (Pernate), 50.000; Alessandro Becchis (La
Loggia), 50.000; a/m Mauro Decortes, Pasquale Messina
(Milano), 50.000; Giuseppe Lusciano (Castellammare
di Stabia), 29.000; Massimiliano Anzellotti (Chieti),
20.000; Stefano Quinto (Maserada sul Piave), 50.000;
Valentina Ronchi (Milano), 10.000; Piero Bertero (Cavallermaggiore),
50.000; Fantasio Piscopo (Milano), 20.000; Gianoberto
Gallieri (Ferrara), 50.000; a mezzo Mirko Rizzi (Lodi)
ricavato cena del 29 Luglio 2000 organizzata dal Club
dei figli di Mammone, 295.000; a/m Gino Agnese (Genova),
ricavato cena fra compagni in sede il 10 giugno, 200.000;
a/m Flavio Paltenghi, Milena e Paolo Soldati (Clermont
Ferrand - Francia), 120.000; a/m Flavio Paltenghi,
Lele Regusci (Pregassona - Svizzera), 120.000; Carolina
Tobia (Rensslaer - USA) ricordando il suo Galileo
nel 7° anniversario della sua scomparsa, 400.800;
a/m Dario Salvadori, Fabio (La Spezia) ricordando
Fabrizio De André, 15.000; a/m Dario Salvadori, Roberta
(La Spezia), 5.000; a/m Dario Salvadori, Miranda (La
Spezia), 5.000; Agostino Perrini (Brescia), 40.000;
Ugo Fortini (Signa) ricordando la mia compagna Milena
Maré, 100.000; M. Masina (Castelmaggiore) "sostenitore
orgoglioso", 40.000; Ein Walther (Muenster - Germania),
50.000; G. Balducc (Imola), 10.000; G.L. Santini (Sant'Angelo
Lodigiano) "Un pensiero per Gaetano Bresci", 50.000;
Gruppi Anarchici Imolesi ricordando Luce Fabbri, 100.000;
Massimo e Cristina (Imola) ricordando Luce Fabbri,
100.000.
Totale lire 4.645.836.
Abbonamenti sostenitori.
Alessandro Marutti (Cologno Monzese), 150.000; Alessandro
Milazzo (Linguaglossa), 150.000; Loriano Zorzella
(Verona), 150.000; Roberto Pietrella (Roma), 200.000.
Totale lire 650.000.
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