rivista anarchica
anno 31 n. 269
febbraio 2001


cinema

America Latina allo specchio
di Fernanda Hrelia

Si è tenuto a Trieste, lo scorso autunno, il 15° Festival del Cinema Latino Americano: decisamente interessante.

Occasione unica per conoscere la produzione cinematografica di un continente, il Festival del Cinema Latino Americano, giunto alla sua XV edizione, ha proposto come di consueto moltissime opere articolate in varie sezioni, documentando così la vitalità di questo cinema.
L'aggettivo "latino americano" comprende storie e tradizioni cinematografiche diverse e diversamente sviluppate; il cinema cubano, quello brasiliano e argentino, ad esempio, presentano caratteristiche proprie e sono realtà definite, che possono vantare una lunga esperienza di produzione e di ricerca. Il pubblico che segue negli anni questa manifestazione in programma a fine ottobre al Teatro Miela di Trieste, ha avuto modo di conoscere un cinema che nella maggior parte dei casi può essere accomunato dalla volontà di proporre un linguaggio proprio, orgogliosamente distante dai modelli nordamericani ed europei. In questi anni, grazie a questa iniziativa, sono stati presenti a Trieste i più grandi maestri e artisti, insieme ai giovani autori che hanno sempre trovato in questo festival lo spazio e l'interesse che si meritavano.
Quest'anno si è voluto render omaggio a una grande attrice cubana, Daisy Granados, proiettando tutti i film che la vedono straordinaria interprete di storie che diventano esilaranti, proprio grazie alla bravura degli attori, senz'altro il punto di forza del cinema cubano. Di questo cinema, pieno di energia e calore, Daisy Granados col suo temperamento è l'attrice più rappresentativa, protagonista a Trieste, insieme al regista Pastor Vega, della serata più emozionante con la proiezione del suo ultimo film, "Las profecías de Amanda".
Contributo importante per conoscere la storia di questa cinematografia, è stata la sezione dedicata al cinema muto prodotto tra gli anni '20 e '30 in Messico, Brasile e Argentina. Così come invece le due rassegne di cortometraggi messicani e brasiliani hanno dato l'idea dei più recenti percorsi creativi in paesi tradizionalmente molto attivi dal punto di vista cinematografico e audiovisivo.
I documentari, in pellicola e in video, programmati in varie sezioni tematiche, costituiscono una parte importante del festival, che ha sempre valorizzato questi materiali, spesso unici per la conoscenza di aspetti culturali e di vicende storiche. Da segnalare quest'anno, nella sezione "Videoamerica" almeno "Acratas" dell'uruguayana Virginia Martínez, il documentario dedicato al sindacalista argentino "Tosco" di Adrián Jaime e Daniel Ribetti e il video sullo scrittore argentino Rodolfo Walsh, assassinato durante l'ultima dittatura, di Gustavo Gordillo.


Il ruolo dell'emigrazione

Un altro momento importante è stata la presentazione del film d'animazione "La vera storia della prima fondazione di Buenos Aires" di Fernando Birri, fortunosamente salvato e poi restaurato dall'Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico di Roma. Si tratta di una delle prime opere del maestro argentino, un lavoro sperimentale che qui realizza un film d'animazione riprendendo zone di un quadro dove sono rappresentate le vicende della conquista e della fondazione di quella che sarà la capitale argentina.
Quest'anno il festival ha potuto contare sul sostegno degli enti pubblici locali, che sembrerebbero aver finalmente colto il valore e le opportunità che questa manifestazione offre alla città che la ospita.
Nel corso dell'intensa settimana di proiezioni, approfondimenti, presentazioni e altre manifestazioni collaterali, è stato dato anche gran rilievo alla questione dell'emigrazione italiana nel continente sudamericano. Il discorso, peraltro intrapreso già da tempo da parte degli organizzatori del festival, ha voluto dar conto della complessità del tema, evitando la superficialità e le inutili celebrazioni. È necessario invece ripercorrere il passato dell'Italia quale paese di emigranti, considerare lo sradicamento iniziale degli italiani e capire in che termini abbiano poi vissuto il rapporto con i loro luoghi di origine e quali nuove realtà abbiano costruito. Il dialogo tra questi due mondi è spesso faticoso perché falsato dalla retorica e dalla strumentalizzazione.
È chiaro che nel riconoscimento da parte delle istituzioni e delle autorità locali nei confronti delle attività legate al festival c'è un interesse concreto: il voto degli italiani all'estero è un motivo sufficientemente valido per sostenere iniziative e occuparsi di questi "Fratelli d'Italia" sentiti, ora, improvvisamente vicini. È proprio per non permettere operazioni demagogiche che il dibattito e il confronto promosso dal festival acquistano valore e meritano ulteriori sviluppi. Naturalmente i rappresentanti delle istituzioni non vi hanno partecipato e si sono visti solo per i discorsi al momento della consegna dei premi ad autori, di cui premeva mettere in evidenza soprattutto l'origine italiana dei loro cognomi (!).
Un vero interesse per capire la realtà del paese di friulani Colonia Caroya, nella provincia di Córdoba nell'Argentina centrale, emerge dal documentario "Diari di Viaç" di Carlo Dellevedove e Luca Peresson, una produzione indipendente che prende le mosse da un dialogo a distanza attraverso la posta elettronica fra gli animatori di una radio del paese argentino e gli autori del documentario. Il dialogo – in lingua friulana – diventa, ben presto, progetto per incontrarsi e volontà di conoscersi personalmente. I due registi arrivati in Argentina documentano la vita e le opere che questi friulani hanno realizzato nell'altra parte del mondo, senza aver rinunciato del tutto alla propria cultura e alla lingua d'origine.
Il rapporto conflittuale col passato e le sue suggestioni, sono temi che attraversano curiosamente diversi film proposti quest'anno. Nel brasiliano "Oriundi" di Ricardo Bravo, attraverso la figura del vecchio emigrante italiano, interpretato da Antony Quinn, si rappresenta una crisi d'identità che evade dal fallimento in una fuga nel passato, allo stesso tempo drammatica e consolatoria.


Gustavo Corrado


Momento di inquietudine

Già autore del bellissimo film "La luna en el espejo", il cileno Silvio Caiozzi nel suo ultimo lavoro "Incoronación" racconta le conseguenze devastanti della decadenza di una famiglia borghese nella vita di uno dei suoi membri: un uomo maturo, che non ha mai vissuto ed è incapace di instaurare rapporti equilibrati con gli altri. Al centro domina tirannica dal suo letto una vecchissima nonna, in preda ad astiosi deliri, egocentrica "vampira" alle cui cure si dedica il protagonista, spiritualmente e anche fisicamente costretto alla solitudine di una vita senza sbocchi.
Cruda, a tratti volutamente irritante e sgradevole, è la storia di "El armario", primo lungometraggio del trentenne argentino Gustavo Corrado, che in bianco e nero racconta la parabola di un anziano emarginato che cerca l'oblio e la morte nell'unico oggetto rimastogli, un armadio. Intorno a lui si muove un gruppo di disperati, ex operai di una fabbrica in disuso, che è lo spettrale scenario per queste figure bloccate in un presente di miseria e di degradazione, nel ricordo di un passato migliore in cui almeno le loro esistenze sembravano avere un senso. Una ragazza è l'unico personaggio giovane, che però non rappresenta alcuna possibilità di riscatto, anzi sottolinea la drammaticità della situazione morendo bruciata nell'armadio.
Il rapporto mancato tra le generazioni, e in particolar modo la mancanza di comunicazione tra madre e figlio, è la situazione di "A través de janela" della giovane brasiliana Tata Amaral, che qui sviluppa il drammatico esaurirsi delle speranze di una madre vedova nei riguardi dell'unico figlio. Nel giro di pochi giorni la vita della donna è sconvolta e si sente improvvisamente esclusa dalla vita del figlio di cui è innamorata, e, anche in questo caso, non le resta più niente.
Riflessioni amare sembrano, dunque, al centro delle più recenti produzioni, anche degli autori più giovani o esordienti. Pessimismo che riflette, forse, un momento di inquietudine verso un futuro di incertezze e di pericoli non più tanto facilmente riconoscibili.

Fernanda Hrelia

Jorge Perugorria
del film "Estorvo" di Ruy Guerra
(Brasile)

"MAUA3-0 IMPERATORE E O REI"
de Sergio Rezende (Brasile)

 

 

 

del film "EL ARMARIO"
di Gustavo Corrado (Argentina)