rivista anarchica
anno 31 n. 269
febbraio 2001


Messico

Tra punk e Lavallière
Intervista a un anarchico messicano
a cura di Boris Dinescu

 

Chiapas, San Cristóbal de Las Casas. In una casa amica incontro il compagno messicano Estrella (1) che da diversi anni vive e lavora nelle comunità zapatiste come insegnante. Nato e cresciuto in una città del Nord del Messico, diventato anarchico militante grazie al punk e all'università, rappresenta il prototipo della nuova generazione di anarchici messicani.
Le mille cautele per organizzare questo incontro mi danno l'idea che definirsi anarchici e per giunta appoggiare la lotta zapatista non deve essere una situazione comoda in un paese che aspira a diventare simile al suo vicino ricco ma che non disdegna di utilizzare i sistemi repressivi dei suoi vicini poveri.


Estrella, che tipo di lavoro svolgi qui?

Da diversi anni aiuto le comunità per quanto riguarda l'alfabetizzazione dei bambini e delle bambine. In questo momento sono stato chiamato a insegnare in una comunità zapatista nella regione degli Altos.
Inoltre faccio parte della redazione del giornale anarchico Letra Negra e con alcuni compagni sto cercando di creare un gruppo anarchico a San Cristóbal.
Quest'ultimo impegno si prospetta molto arduo perché oltre al clima d'intimidazione c'è anche un fenomeno particolare: se guardiamo al centinaio di copie del nostro giornale che vendiamo in città possiamo ragionevolmente pensare che ci sia un terreno fertile per la nascita di un gruppo specifico, in realtà gli anarchici presenti sono quasi tutti stranieri che per motivi diversi preferiscono non esporsi pubblicamente.

Eppure a San Cristóbal è esistita una presenza anarchica.

Si, c'era una tradizione anarchica che risaliva alle ribellioni contadine di fine ottocento. In particolare la grande sollevazione di San Juan Chamula ebbe come figura di spicco un anarchico che poi creò una scuola d'ispirazione libertaria: ma da allora gli anarchici in tutto lo stato del Chiapas sono diventati una rarità.

In compenso il Messico ha una grande storia di presenza anarchica, arrivata con gli emigranti europei, sviluppata nel magonismo e rinforzata con i reduci della rivoluzione spagnola. Malgrado questo c'è stato un lungo periodo di stasi e di assenza di ricambio generazionale, fino ad arrivare agli inizi degli anni novanta con un risveglio in grande stile.

È vero, in particolare negli ultimi anni c'è una nuova effervescenza che ha come epicentro Città del Messico. Del resto tu stesso hai potuto constatare che alle riunioni di preparazione della 'Giornata Magonista', poi svoltasi con grande partecipazione di pubblico alla facoltà di antropologia, c'erano compagni dell'università, di San Juan libertario, della rivista Autonomia, del gruppo d'appoggio libertario di Eloxochitlan...
Questa gente si è avvicinata da poco al movimento anarchico. Devi considerare che per tutti gli anni ottanta il terreno di coltura per le nuove generazioni anarchiche messicane è stato il punk e ancor oggi esistono molti gruppi politici anarco-punk.

È interessante come in Messico la cultura punk abbia dato dei frutti politici più duraturi che in Europa.

Beh, la compenetrazione tra anarchismo e punk in realtà è stata molto superficiale; comunque il fatto che i testi dei gruppi musicali punk parlino continuamente di anarchia e di guerra all'autorità ha avuto il suo peso nel risveglio della curiosità dei giovani verso l'anarchismo.
Un'altra fonte di avvicinamento al nostro movimento è stato l'ambito universitario: nel 1986 gli studenti scesero in sciopero occupando le facoltà ma i capi della contestazione usarono la loro notorietà per diventare i giovani quadri del PRD (Partido de la Revolucion Democratica, il partito della sinistra), svendendo la lotta studentesca per qualche incarico pubblico.
Questo voltafaccia gli studenti non lo hanno dimenticato e nelle nuove agitazioni molti hanno visto nella proposta anarchica l'antidoto contro la gabbia dell'istituzionalizzazione.
Così a Città del Messico ma anche a Queretaro e a Guadalajara la commistione tra studenti e punk ha creato nuovo ossigeno per l'anarchismo.

Questa nuova generazione di compagni che rapporti ha con i militanti di vecchia data?

Disgraziatamente non esiste un filo culturale che unisce queste due esperienze di lotta: la Federazione Anarchica Messicana segue un cammino suo ma ha poca influenza, anche la gloriosa casa editrice Antorcha è solo un ricordo, esistono tuttavia alcuni compagni come Carlos Gutierrez e Benjamin Salgado, che portano avanti un forte lavoro politico nelle organizzazioni contadine dello stato di Oaxaca. Altri hanno fondato a Città del Messico una libreria antiquaria dove si vendono anche testi anarchici, qualcuno è attivo nei sindacati.
Ma sono tutte iniziative individuali, non legate a gruppi o collettivi anarchici. Questo scollamento ha prodotto una grave perdita di cultura politica perché noi giovani formati alla fine degli anni ottanta, abbiamo dovuto ripartire da zero come autodidatti facendo un percorso insolito: dall'idea di ribellione alla musica punk, dall'anarchismo al lavoro politico. L'unica eccezione positiva è stata la Biblioteca Reconstruir di Città del Messico che ha svolto un lavoro di mediazione culturale tra storie così diverse.
Ora la situazione è molto migliorata e si può dire che esiste un nuovo tessuto collettivo, non più solo studenti universitari e punk ma anche lavoratori, gente delle periferie: questo a Città del Messico, ma anche in altre parti del Paese dove sono sempre esistiti gruppi come a Monterrey, Aguascalientes, Guanaiuto.
Non è stato facile ricostruire una storia libertaria data anche la difficoltà di aggiornare il bagaglio teorico: siamo ripartiti da Kropotkin e Malatesta con l'unica eccezione contemporanea di Chomsky, inoltre il legame storico con gli anarchici spagnoli ha favorito la diffusione dei giornali stampati nella penisola iberica.

Questi gruppi che tipo di lavoro svolgono, con quali rischi e con quali contatti?

Questi gruppi anarco-punk hanno subito un'evoluzione dovuta alla maturazione politica: sino alla fine degli anni '80 il lavoro si limitava a un confronto interno ai collettivi con poche uscite, spesso male organizzate, e comunque la finalità era quella di organizzare concerti, le partecipazioni alle manifestazioni e la stesura di qualche volantino; le cose sono iniziate a cambiare nei primi anni novanta quando la prospettiva d'intervento ha subito un'accelerazione e sono iniziate ad uscire – tra mille difficoltà – pubblicazioni di denuncia e di analisi della situazione messicana. Purtroppo il lavoro sul territorio non ha avuto lo stesso risultato: i tentativi di penetrazione nei quartieri, nei sindacati e nelle organizzazioni contadine non hanno dato risultati significativi, questo è accaduto sia per la debolezza del nostro movimento sia per l'assoluto ostracismo della gente alla parola anarchia. Nelle stesse università l'anarchismo è trattato come un fenomeno estinto buono solo per le ricerche degli storici.
Malgrado questo, dal 1994, la nostra presenza è diventata rilevante nelle organizzazioni che svolgono lavoro sociale nei barrios così come nei tentativi di occupazione delle case. Bisogna considerare che in Messico non esistono situazioni assimilabili ai centri sociali europei e se tenti di occupare una casa la polizia ti sbatte dentro senza tanti complimenti e butta la chiave.
Anche nel lavoro di educazione popolare abbiamo trovato delle difficoltà, perché le organizzazioni che operano in questo settore sono egemonizzate dai marxisti che alternativamente cercano di assorbirci o emarginarci. Inoltre scontiamo una carenza di coordinamento nazionale che ci indebolisce ulteriormente.
Per esempio, in Chiapas, dopo l'esperienza di educazione di Amor y Rabia, non esiste nessun progetto come anarchici, malgrado vi siano numerosi compagni che vorrebbero intervenire ma sono bloccati dal discorso economico che solo un progetto collettivo può risolvere in parte. Inoltre c'è tutto il mondo delle ONG che guarda con sospetto una nostra presenza organizzata. Certo, a nostro sfavore gioca la grande divisione che percorre il nostro movimento; divisione dovuta più alla non conoscenza reciproca che a questioni ideologiche. Debolezza che favorisce chi ci vuole dipingere come estremisti fanatici. Da queste parti dire che sei 'troppo anarchico' non è un complimento. Per cui si assiste al fenomeno di singoli compagni arrivati per lavorare in Chiapas, costretti a diluirsi nel Fronte Zapatista.

È stato anche il tuo percorso?

No, io appartenevo al gruppo anarchico della città di Queretaro ed arrivai in Chiapas per collaborare al progetto libertario Amor y Rabia: un tentativo di mettere in piedi una scuola ispirata alla pedagogia libertaria che comprendeva il coinvolgimento di tutta la comunità.
Nonostante la fine poco edificante di questa esperienza ne riconosco il ruolo formativo, dotandomi degli strumenti necessari per lavorare in un contesto molto difficile come questo. Ora sono maestro per una ONG in una comunità ma perseguo lo stesso metodo educativo. Nessuno in queste comunità ha sentito parlare di anarchia per cui l'assemblea comunitaria mi ha bollato subito come 'maestro loco' non comprendendo perché io non usassi la coercizione e l'autorità come strumento d'insegnamento, poi, guardando i risultati conseguiti hanno detto: "il maestro sarà anche pazzo ma i nostri figli stanno imparando".

Boris Dinescu

1. Naturalmente le necessità del caso ci impongono di falsificare in questa intervista tutti i nomi di persona, compreso il mio.

 

Progetto Libertario Flores Magón

Chi siamo
Il Progetto Libertario Flores Magón nasce circa un anno fa a Milano su proposta di alcuni compagni convinti della necessità d'intervenire in modo costruttivo nella complessa vicenda chiapaneca.
La prima vaga intenzione si è man mano modificata e strutturata grazie all'apporto di gruppi ed individualità di area anarchica e libertaria che hanno contribuito in modo determinante a focalizzare lo scopo dell'intervento ed il metodo da utilizzare, mettendo in circolazione il vasto patrimonio culturale e di lotta che contraddistingue il nostro movimento.
Naturalmente questa matrice dichiarata non esclude contributi e riflessioni provenienti da altri ambiti, anzi li valorizza in vista di una più proficua collaborazione alla lotta zapatista.
La decisione di chiamarci Progetto Libertario va inteso proprio in chiave dinamica, non un freddo intervento studiato a tavolino ma un'intenzione di apertura che lascia spazio a modifiche in corso d'opera, ad una visione dialettica della realtà.
È proprio partendo da questa tensione di scambio che preferiamo definirci un gruppo che appoggia la lotta zapatista piuttosto che un gruppo d'appoggio: proprio nello spirito di Flores Magón che quando gli chiesero se era magonista ebbe a rispondere: "No, sono Flores Magón".
Pensiamo forse che l'insurrezione zapatista sia una rivoluzione anarchica? O forse crediamo che bisogna andare in Chiapas a spiegare a quegli sprovveduti di indios che cos'è una rivoluzione? Naturalmente no. Noi crediamo che questa storia appartenga a loro e, attraverso loro a tutto il mondo. Non crediamo di dover insegnare agli altri cosa fare, così come non viviamo un errato senso di adulazione, al contrario pensiamo che la relazione deve essere tra pari, ognuno con la sua storia da trasmettere, con le proprie capacità, con la propria cultura. Solo da questo imparare-insegnando (e viceversa) possono nascere germogli realmente frutto di condivisione.
Noi non siamo zapatisti, siamo libertari che guardano a questo grandioso tentativo di trasformazione sociale con simpatia, apprezzando il ruolo centrale che hanno le comunità, condividendo l'aspirazione ad una vita dignitosa basata sull'autogestione, la democrazia diretta, l'assemblearismo. Elementi che ci avvicinano e ci spingono a lavorare proprio con le comunità: cuore pulsante dell'esperienza zapatista.

Come lavoriamo
Non vogliamo diventare una sorta di ONG farraginosa, cieca e burocratica. Al contrario puntiamo alla valorizzazione delle nostre forze, dotandoci di una struttura leggera e trasparente: tutte le decisioni passano per l'assemblea formata dalle persone direttamente coinvolte nel Progetto Libertario F. M., che nomina un comitato operativo (revocabile in parte o totalmente in qualsiasi momento) con funzioni tecnico/attuative. Essendo la partecipazione il nucleo fondante del gruppo, non facciamo affidamento su salvifici finanziamenti di enti dei quali diffidiamo molto, bensì sulla volontà dei partecipanti. Non riusciremo ad andare lontano? Dipende da noi ma siamo altrettanto coscienti del pericolo connesso ai faraonici progetti, sovente cresciuti più per mantenere la nuova classe dei cooperanti internazionali di professione che per essere di reale e durevole utilità. La nostra intenzione è semplice: piccoli interventi ma di sicuro buon fine, volti a sostenere la crescita dell'autonomia delle comunità. Poco, bene e sicuro.
Per questo il nostro lavoro in Italia è focalizzato sull'informazione, il reperimento di fondi (il cui uso sarà pubblicamente giustificato), l'invio di personale specializzato (previo un corso di preparazione), la preparazione logistica di eventuali campi di lavoro, la spedizione di materiali irreperibili in loco. Sino ad oggi il nostro lavoro è stato quello di costruire in Chiapas dei solidi rapporti di fiducia diretta con alcune comunità, un finanziamento alla clinica autogestita La Guadalupana ad Oventic, l'acquisto di materiali per la costruzione di una microclinica alla comunità Nueva Libertad nel Municipio autonomo di Tzimol, il trasporto di mais al Municipio autonomo di San Manuel.
Può sembrare una lista per bravi volontari votati all'assistenzialismo ma a ben vedere cosa c'è di più politico che appoggiare un tentativo di autogestione sanitario, che mira alla riappropriazione della propria salute? Una strada che dovrebbe far riflettere noi europei chiusi nella finta alternativa salute di stato-salute privatizzata.

Dove ci trovi
La nostra sede è presso la Cooperativa Alekos, Via Plana 49, Milano. Ci trovi tutti i mercoledì mattina dalle 10 alle 13, tel. 02 39200042, floresmagon@tiscalinet.it