rivista anarchica
anno 31 n. 269
febbraio 2001


ricordando Lamberto Borghi

La pedagogia come resistenza al Potere
di Goffredo Fofi

Ne ha curato un'antologia (La città e la scuola) appena uscita per i tipi di Elèuthera. In questo ricordo di Fofi l'alta lezione di storia e di metodo lasciataci da Lamberto Borghi.

In questo strano paese Italia si sono sprecati e si sprecano riconoscimenti premi articoli per "grandi vecchi" che, tutto sommato, lasciano e lasceranno un'opera discutibile e certo minore, in azioni o in scritti, e si dimenticano altri, di loro migliori, per il solo fatto che hanno vissuto le loro battaglie e le loro idee fuori dai grandi circuiti del potere politico e culturale, sempre bisognoso di darsi legittimazione idealizzando i pensatori più "utili", più transigenti consoni integrati e che meno hanno messo (mettono) in discussione le basi e la legittimità dei poteri consacrati. È il caso, oggi, anche di persone notevoli, anche se meno di quanto essi stessi non credano e i media vogliano farci credere, per esempio i Bobbio e i Foa, e di altre molto meno notevoli, come i Fo e gli Scalfari.
Il potere, politico e culturale, negli anni dal dopoguerra a oggi, è stato democristiano e comunista, cattolico e liberale, e di recente di nuovo anche fascista e post-fascista, e i suoi critici non potevano certo appartenere a queste formazioni; la vecchia schiatta dei liberal-socialisti (libertà in politica e socialismo in economia) è stata sconfitta, molto presto, anche attraverso il recupero di molti di loro, castrati e autocastratisi della loro diversità, nel fiume di un liberalismo di tradizione, sì che, risibilmente, molti sono passati dai Gobetti agli Agnelli eccetera eccetera. Hanno resistito, senza mai arrendersi, e senza le illusioni di rivoluzioni politiche che non fossero anche rivoluzioni culturali, pochi, condannati al minoritarismo, ma senza nessuna vergogna o paura di questo, attenti a fare bene il loro lavoro (e il "ben fare" è stata una loro bandiera) che era bensì un lavoro di apertura, di allargamento, di lotta, di formazione di nuove coscienze capaci di dimostrare la loro stessa tenacia e saldezza morale. I loro allievi, sottoposti alle pressioni del tempo, si sono perlopiù persi per strada, si sono istituzionalizzati e hanno fatto carriera e sono diventati nuovi campioni del filisteismo nazionale. Ma così va il mondo, e i maestri di cui parliamo l'avevano messo in conto, non se ne stupivano più che tanto anche se certamente se ne addoloravano. Non si trattava di "figli che tradiscono i padri" avendo ben assimilata la loro lezione ma bisognosi di una propria strada e pronti a nuove battaglie dentro i nuovi tempi, ma di traditori tout court di ideali e modelli, di principi e postazioni...


L'amico Capitini

Il quasi silenzio che ha circondato la morte di Lamberto Borghi anche da parte di tanti che egli aveva, magari, contribuito a mandare in cattedra, non ci scandalizza più che tanto, mentre dà conforto, così come l'ha dato a lui, che sia potuta uscire lui vivo una antologia dei suoi scritti che rivendica la sua appartenenza al pensiero libertario e ricorda al lettore interessato e all'educatore per vocazione e per collocazione professionale come la pedagogia sia stata e possa essere ancora un'arte e una missione, una scelta che probabilmente, nei tempi a venire, tornerà centrale nel panorama delle possibilità di resistenza al potere.
Il libro di cui parlo è La città e la scuola, l'editore, ovviamente, (pochi altri ne avrebbero accolto con altrettanta convinzione la proposta di pubblicazione) Elèuthera.
La mia tesi è semplice, ed è costruita in buona parte sulla lettura dei grandi educatori di ieri e in particolare degli scritti di Borghi, ripresi in mano in funzione di La città e la scuola, e di quelli di Capitini (in La città e la scuola è compreso non a caso, anche se accorciato, il bellissimo saggio di Borghi in morte dell'amico Capitini, in un anno non qualsiasi come il '68). È questa: prima c'erano gli educatori - i "maestri" e "mastri", che erano poi spesso la stessa persona: trasmettitori di conoscenze e di tecniche e al contempo di un sistema di modelli di comportamento e di valori in cui socialità ed etica erano tutt'uno. Poi vennero (alcuni di loro furono i primi a fare il salto) i "militanti", membri di organizzazioni sempre più vaste e con compiti già di "potenti", e la politica (in funzione della rivoluzione) sostituì l'educazione. Poi, giunta al potere, la militanza rivoluzionaria rovesciò le sue vesti, e portò al disastro ben noto della possibilità e della speranza di un diverso potere. E infine, oggi, all'inizio di un nuovo secolo che secondo alcuni è iniziato più di dieci anni fa con la caduta dell'impero sovietico e con la caduta di ogni pretesa a un potere politico accentratore (mentre si assiste, però, alla realtà mai prima realizzata di un unico potere economico mondiale più che accentratore) con il fallimento di ogni grande progetto politico che ha portato, corruzione dopo corruzione, perfino all'impraticabilità della politica almeno in paesi come l'Italia, ecco che i "militanti" della politica tornano a sostituirsi gli "educatori", i mastri e maestri, i trasmettitori di conoscenze e valori, generazione dopo generazione, nella coscienza di un'azione obbligatoriamente minoritaria. Da minoranza a minoranza, da pochi a pochi, in attesa di sviluppi futuri e, chi lo sa?, della sconfitta di ogni "realtà".
Questo non c'è, è ovvio, negli scritti di Borghi, ma è come se vi fosse iscritto dovunque ed è una conseguenza che è perfettamente legittimo trarne, così come è facile trarla dalla lettura di tanti altri pensatori e "maestri".


"Faccia a faccia"

Rileggiamo il suo saggio sull'autonomia, che è, per quanto riguarda l'educazione, autonomia della scuola dallo stato, dalla chiesa, dai partiti, dai sindacati, dall'industria e da ogni altro potere, ma anche qualcosa di più profondo e necessario: "Il problema dell'autonomia della scuola è parte integrante di quello più generale dell'autonomia. Esso investe tutti i campi della cultura, quelli dell'arte, della scienza, della filosofia e, più largamente, i problemi del funzionamento e dell'organizzazione della vita sociale, nonché quelli del lavoro che ne sono momenti integranti. (...) Chiama in causa tutte le dimensioni dell'esistenza individuale e collettiva, tutte le libertà formali e informali. (...) È rifiuto dell'esistente, dell'acquiescenza alla realtà sussistente considerata e vissuta come data, stabile, compiuta; mentre è intrinsecamente collegata all'innovazione, alla creatività, alla progettazione che unisce insieme passato, presente e futuro (...)". "La autonomia è una modalità della comunicazione" (e ciò "esclude l'esistenza tra individui e tra gruppi di rapporti di assoluta dipendenza al pari che di assoluta indipendenza, mentre postula legami fatti di interazione, di reciprocità, di partecipazione di finalità sotto il profilo intellettuale ed emotivo"). Passando da Cattaneo e Salvemini a Rogers e Dewey, l'autonomia è alla base di ogni ideale federalistico, di ogni educazione alla libertà.
Borghi insiste sul "faccia a faccia" del rapporto pedagogico, insiste in sostanza sul legame minoritario, di minoranza cosciente dei propri limiti e doveri e della propria forza, insiste sul reciproco riconoscimento dell'io e dell'altro che è fatto di autoconsapevolezza e di ricerca di un terreno comune, in funzione di un progetto comune.
Lamberto Borghi non ha teorizzato in proprio, se così si può dire, e ha preferito, dall'interno del suo lavoro di professore universitario e di maestro di maestri, un ruolo appartato e preciso, dentro una città e una comunità precise. Venuto dalla Livorno della minoranza ebrea e dalla Pisa di Capitini e dalla infima minoranza nonviolenta venuta dall'America di Dewey Rogers Cassirer Macdonald Arendt, dall'amicizia di Caffi e Chiaromonte, dal sodalizio con Codignola dentro "Scuola e città" di Firenze, egli si è voluto trasmettitore e comunicatore, tramite un incontro tra il pensiero di chi, prima di lui e dei citati, aveva già teorizzato e praticato autonomia e libertà, e i possibili allievi continuatori di una pratica di ricerca e confronto, tempo dopo tempo. I suoi saggi sono lezioni di storia e lezioni di metodo: aprono gli occhi, insegnano a vedere, invitano ad agire.

Goffredo Fofi