rivista anarchica
anno 31 n.269
febbraio 2001


 

 

Votare? No grazie.

Nell'intervista a Luce Fabbri (A "266") ho letto un'affermazione di Massimo A. Rossi che sento dire da molti compagni in quest'ultimo periodo. "Io voto per il male minore" ha affermato Massimo A. Rossi. Ma cosa vuol dire?
Partendo dal presupposto che un anarchico non dovrebbe votare; ma siamo uomini, quindi imperfetti, e a volte facciamo confusione anche tra pensiero e azione, poi per giunta votare per un qualcosa che già sappiamo sia un male (minore o maggiore non interessa) è aberrante.
Per questo esprimo la mia dissociazione netta da Massimo A. Rossi e da tutti i compagni (credetemi sono tanti) che votano per il "male minore".

Corrado Parisi
(Molfetta)
parigino@libero.it

 

Passano i giorni...

Cercavamo un foglio, qualcosa di adatto su cui scrivere, riflettere. A volte anche un foglio, il suo colore, la sua forma trasmettono qualcosa. Alla fine ci accontentiamo.
Ho appena ricoperto una scatola di rigatoni (evito la marca per la famosa par condicio!) con alcuni ritagli di rivista: immagini di fiori, fiori viola. Una banale confezione di pasta è diventata un portalettere appeso sopra il tavolo a ricordarmi un bel colore.
È da tempo che volevamo affrontare un problema che ci turba. È qualcosa che ci assale ogni volta che ci soffermiamo a guardare le foto delle nostre figlie, delle nostre famiglie e compagne.
Ogni giorno che passa cerchiamo di scoprire un elemento nuovo che ci aiuti a mettere in comunicazione i ricordi con le foto, e tutto ciò con l'ultima immagine che abbiamo di loro, da liberi. Riceviamo parole così cariche di emozioni che ogni volta riviviamo tutto.
"Sembra ieri..." è una frase tipica degli anziani... e dei prigionieri! Questo spesso ci ripetiamo per non staccarci dai sogni, per non stancarci di esistere. Osserviamo i loro volti non come un sogno da cui ci si risveglia ma come un recupero della nostra coscienza, della nostra intimità che non vogliamo violata.
Sappiamo cosa costa scriverci, vuotare i piccoli grandi cuori in un foglio perché le famiglie non ci sono solo vicine, sono con noi. Le cerchiamo in ogni cosa, in ogni gesto, le parliamo, ma ci sono momenti in cui guardare un loro ritratto, fissare il nostro sguardo ci riesce solo se avviene con velocità.
Perché avviene questo? Ci nascondiamo? Succede solo a noi? Sono dentro di noi, in ogni cosa, in ogni tempo ma... non li stiamo accompagnando, non possiamo osservare i cambiamenti, non siamo con loro, non possiamo dividere la responsabilità del vivere quotidiano.
Girano l'Italia per venirci a trovare, a volte sono sintetici nelle loro espressioni eppure basta osservarli un secondo per capire quante e quali cose trattengano dentro di sé. Come saranno ora, saranno cambiate? Sappiamo come ci guarderanno, come ci chiameranno quando entreremo nella sala colloqui. Imbarazzati, impauriti come davanti ad uno scrigno di gioielli in una fiaba: cosa ci troveremo, conosciamo tutto?
È la paura di guardare ciò che desideri più di ogni altra cosa, perché temi di restare ipnotizzato, di non riuscire a staccartene, perché loro ti entrano in circolo. Subito. Ci manca l'abbraccio, senza quello ci è difficile misurarne la crescita, sentire la loro forza, il profumo dei loro capelli, la loro morbidezza.
Passano i giorni, le settimane, cerchiamo di immaginare, poi, quando arriviamo nella sala, loro si allungano per metterci le braccia attorno al collo, ed allora il nostro cervello fotografa, immagazzina tutto, riempie ogni suo spazio. Nulla viene buttato, e in quel luogo non si può entrare senza una chiave di magia, posseduta certamente dalle nostre figlie, dalle nostre compagne, dalle nostre famiglie. Siamo rapiti da occhi belli, consapevoli di esserne felicemente prigionieri. È come se fossero la corda con cui noi, fachiri, vogliamo allungarci nel blu infinito.
Questa non è una questione personale, il carcere è strumento di violenza sulle relazioni sociali. Crediamo sia necessario il massimo impegno, prima ancora che il massimo interesse, di tutti gli uomini e le donne di buona volontà per "ridiscutere il carcere", per lottare contro le differenziazioni che continuamente vengono create al suo interno, per garantire a tutti gli stessi diritti di sopravvivenza. È necessario ritrovare le parole capaci di sfuggire alle reti della usura quotidiana, della retorica dell'emergenza e che, senza paura, dimostrino di poter essere incisive circolando e creando presenza. Apprendere dal passato insieme per costruire il futuro è necessario a tutti.
L'estate è finita, del resto poco importa, le stagioni possono essere egualmente belle oppure egualmente noiose e tristi. Il coraggio dimostrato dai ragazzi di Sassari, dalle migliaia di detenute/i che chiedevano, chiedono, azioni importanti, legittime e necessarie per il miglioramento delle condizioni di vita, per una giustizia più equa e giusta, è da ritenersi patrimonio dell'intera società civile, nuovo materiale di lettura delle enormi contraddizioni della società moderna, dei continui conflitti sociali, dei ritmi di vita così frenetici e aggressivi che vorrebbero imporre la fine della collettività e la beatificazione dell'uomo vincente, felice di essere controllato in ogni movimento.
Non si vuole qui incolpare per forza tutta la società, qui si chiede di leggere con attenzione, perché la conoscenza dovrebbe far agire. L'attesa è il nostro mestiere, ed in una società che vuole la tolleranza zero anche contro i fumatori, attendersi interventi logici, ragionevolmente tempestivi su un argomento come quello carcerario risulta purtroppo fuori luogo. Le lunghe discussioni su amnistia e indulto ne sono un valido esempio.
Abbiamo pensato per una vita che i cicchetti fossero bicchieri di vino, invece abbiamo scoperto che a Venezia sono gli spuntini veloci; abbiamo scoperto che quella città pur avendo fatto i soldi con il commercio delle spezie, non le usa nella sua cucina: spreco di conoscenza!
Migliaia di strutture, cooperative, mezzo milione di aziende artigiane ed imprese, strutture sindacali, si sono rese disponibili ad occuparsi della condizione carceraria e del reinserimento sociale. Si sta rifiutando quest'offerta pur essendo evidente a tutti che è un'iniziativa di enorme rilevanza, la prima di così ampia portata, a cui è necessario dare una risposta che ne evidenzi il valore sociale ed etico.
Solo che chi dovrebbe intervenire non lo fa: pretende il pudore del silenzio ma mai lo applica sul proprio agire, perché agitato dall'incubo moderno dei sondaggi o perché preso da una calcolata foga che converte la sicurezza in umori forcaioli.
La gente forse osserva in silenzio gli avvenimenti della storia, certamente c'è qualcuno che non vuole essere mischiato alle "cattiverie del mondo": sembra che i "commentatori del destino" si siano riuniti a convegno!
Non abbiamo a che fare con un politico sanamente pieno di dubbi, quindi disposto ad affrontarli, stiamo conoscendo di nuovo la politica che nega se stessa, che nega lo sviluppo delle relazioni sociali, che urla continuamente il proprio rancore, che difende con arroganza i suoi lati peggiori.
E gli strumenti non le mancano!
Ascoltando una trasmissione televisiva abbiamo sentito dire che la TV crea solo figli uguali: noi non lo crediamo proprio, noi siamo ancora i figli illegittimi, riconosciuti solo quando si distribuiscono le bandierine da sventolare ma... finita la parata, i rumori di chiavi e serrature tornano prepotentemente padroni.
Un'idea, leggendo un giornale locale, ci è venuta:
Il Ministero dei Beni Culturali ha inserito la Bessa (località di particolare interesse turistico vicino a Biella) nel progetto "Memorabilia, il futuro della memoria", che prevede la salvaguardia di aree storico-culturali.
Salvaguardare vuol dire difendere ma anche integrare nel presente ciò che il passato ha creato, dando piena cittadinanza a luoghi e persone altrimenti esclusi, abbandonati; vuol dire liberare dalla muffa, da un insopportabile odore di chiuso; vuol dire anche saper scegliere ciò che va salvato, ciò che va modificato, ciò che va superato.
In una vecchia lettera scrivemmo che era necessario costruire un ponte solido e trasparente necessario al passaggio dalla reclusione al rientro nella collettività, nello spazio e nel tempo degli uomini liberi.
Un ponte deve poter svolgere la sua funzione, deve unire con un vincolo ma può essere qualcosa di più: una nuova "piazza", luogo in cui la gente si muove, si conosce, si scambia opportunità, raccoglie e distribuisce energie.
Quello che rende il vuoto sopportabile siamo noi stessi.
Ma figlia immagina una vita lunghissima e se le si contesta la stanchezza che provocherebbe una simile avventura, lei risponde: "... ma avrei vissuto tutto direttamente, sai che ricchezza!". È l'allegria, la vitalità di chi desidera crescere senza smarrire per strada le cose belle, di chi ritiene che provare sia importante.
Eppure siamo nel tempo in cui anche la speranza viene offesa, e ad un provvedimento innovativo viene subito fatto seguire un disegno di legge di segno opposto, che aumenta le restrizioni, ne formalizza altre, con lo scopo di amplificare le differenziazioni nel circuito penitenziario, di impedire l'appellabilità dei provvedimenti, il diritto alla difesa e alla risocializzazione.
Se dicessimo "vorremmo ..." sminuiremmo il valore.
"Vogliamo" è la sincerità di un sogno semplice che continuiamo a credere non irrealizzabile.

Fabio Canavesi
Marco Camenisch
(Casa Circondariale di Biella)

 

Ormai è fatta

Carissime compagne e compagni,
finalmente dopo tante vicissitudini la lunga storia carceraria di Horst Fantazzini sembra volgere al termine. Sono passati tantissimi anni, Horst era rinchiuso dagli anni '60, per la precisione dal 1968 (anche se precedentemente, cioè dal 1960, si era fatto già alcuni anni di galera), ma con la prospettiva di rimanerci ancora fino al 2017 e dintorni. Secondo alcuni calcoli, fino al 2021 o anche 2024, dato che ancora le condanne si sommavano e in fila indiana davano un risultato fantascientifico. Le calcolatrici del potere si erano divertite a sommare, fino a raggiungere il primo posto nel "guinness dei primati" di ogni detenzione presente passata e futura. La durata massima di ogni detenzione qui in Europa e forse nell'intero pianeta. Ma anziché vergognarsene, lo tenevano in naftalina, trasferendolo di tanto in tanto da un carcere all'altro e nel frattempo Horst cercava sempre di scappare e qualche volta ci riusciva ma per poco; intanto le condanne crescevano e il "fine pena" lievitava...
Sono passati tantissimi anni e la pellaccia di Horst ha passato il confine tra la vita e la morte almeno due volte in carcere ed un'altra da latitante; ha conosciuto le catene delle prigioni francesi, l'isolamento, la tortura, i pestaggi delle carceri speciali in Sardegna, un quasi plotone d'esecuzione a Fossano; ed ancora il dolore per non poter essere presente nemmeno ai funerali dei suoi genitori, Bertha e Libero; e poi in tempi più "morbidi" (ma non più di tanto) la normalità di un carcere che vorrebbe apparire umano, ma che umano non è, è sempre un carcere di merda.
Ma qualcosa nell'animo di Horst – l'Abate Faria, come a volte si definiva scherzosamente – ha sempre resistito, lui ha sempre sperato che le cose cambiassero, che potesse riacquistare la tanto amata Libertà. E la speranza ha avuto il volto dei suoi familiari, di suo padre Libero, della compagna di Libero Maria Zazzi, dei suoi figli Loris e Luigino, della sua ex moglie Anna, delle sue compagne che l'hanno seguito e dei suoi amici dentro e soprattutto fuori dal carcere che in tutto questo tempo l'hanno sostenuto ed aiutato. Un mondo straordinario di gente emarginata, sfigata, ma bellissima.
Dal bellissimo libro Ormai è fatta! edito dal bravo Giorgio Bertani, che tutti stanno chiedendo ma che Horst per motivi personali non ha intenzione di ripubblicare, è stato tratto un film diretto da Enzo Monteleone del quale molto si è parlato e che recentemente è stato trasmesso su Tele+. Una cosa tira l'altra, sono venuti molti articoli su giornali, recensioni, interviste televisive. Il film, che ha avuto una pessima distribuzione, ha ricevuto comunque ottimi premi per le interpretazioni di Stefano Accorsi, di Emilio Solfrizzi e Giovanni Esposito. In realtà quella era solo una delle tante "finestre" sulla vita di Horst così sfortunata ma anche ricchissima a livello umano.
Ora Horst non vuole più tornare sul passato, tanto si è detto della "primula rossa" ricercata in mezza Europa o del "bandito gentile" che mandava le rose alle cassiere; e non vuole più parlare di carcere, in realtà ne ha parlato pochissimo anche prima, perché il suo mondo, la sua vita, sono sempre stati fuori, altrove. Ora che gli vengono concessi i primi permessi-premio e che gli verrà concessa la semilibertà, insieme con me che sono diventata sua moglie e che non ho mai smesso di sostenerlo in questi ultimi quattro anni, stiamo sistemando la casa bolognese che fu di Libero e di Maria che diventerà anche il nostro "Archivio Fantazzini", e stiamo progettando la nostra vita futura. E, alla faccia di chi ci vuole male, facciamo l'amore tutto il giorno! Sono tantissime le cose che ci uniscono, ora che finalmente possiamo assaporare la vita in comune; la nostra felicità sta proprio nella scoperta di quello che il carcere ci aveva tolto, separandoci l'uno dall'altra e rendendoci persino reciprocamente odiosi.
Sono strani e contorti i meccanismi che il carcere mette in moto, riuscendo a distruggere persino gli affetti più consolidati. Si affonda nella diffidenza e nell'incomprensione. L'amore può facilmente diventare odio. Bisogna avere una grande forza per resistere al logoramento prodotto da queste dinamiche infernali. Ogni volta che andavo a colloquio, mi sembrava l'ultima volta, ma quando vedevo il muso sorridente di Horst, magari nervoso, ma sempre contento di vedermi, non potevo dire "basta", mi si sarebbe spezzato il cuore.
Può sembrare strano, che un uomo a 61 anni abbia voglia di costruire la sua vita da zero con l'entusiasmo e la fantasia di un ragazzino, la maggior parte degli uomini a quest'età va a giocare a carte in qualche circolo o si "gratta la prostata" davanti al televisore come direbbe – per scherzo – mia madre, ma la storia di Horst è stata tutta incredibile, lui ha una forza e una dolcezza fuori dall'ordinario. La mia più grande gioia è di vederlo felice e sorridente, in mezzo alle persone che ama, accanto a suo figlio Loris che è come un grande orsetto pieno d'amore per suo padre.
E qui ringrazio tutti i compagni e le compagne che hanno organizzato iniziative – alcune delle quali riuscite oltre ogni aspettativa – da Bassano del Grappa a Lecce, ringrazio un po' meno quelli che si sono divertiti a mandargli lettere anonime con insulti e bugie offensive su di me, per tormentarlo e per rendergli ancora più penosa la detenzione in un momento particolarmente difficile. Ma sono solo una caccola in un mare di luce. In realtà il movimento anarchico ha dimostrato spontaneamente il suo affetto e la sua solidarietà in molti modi, con la proiezione del film e del video con l'intervista, l'incontro con i protagonisti del film, il presidio sotto la prefettura di Alessandria, le mostre delle sue opere grafiche al computer, le serate per Horst, il giornalino con la sua intervista, la rinnovata attenzione sulla nostra stampa, i concerti di sottoscrizione (1.500.000 per le spese del comitato), i "ponti radio", i telegrammi, i libri regalati con dedica, le numerose lettere con i saluti e le firme di tutti, ecc.
A tutte/i ... GRAZIE!
Ma la nostra gioia più grande sarà quando non resterà più neanche un compagno e una compagna in carcere. Fino ad allora non si potrà mai smettere di lottare. LIBERO FANTAZZINI! LIBERI TUTTI!

Patrizia "Pralina" Diamante
Horst Fantazzini
(Bologna)

 

Un altro signornò

All'attenzione:

- Ufficio Levadife
Piazza Adenauer 3
00186 Roma

- Distretto Militare Milano
Ufficio Leva
Via Mascheroni 26
20145 Milano

Io sottoscritto Matteo Chindemi nato a Milano il 31 Maggio 1981 dichiaro di obiettare totalmente, a causa delle mie motivazioni etiche, politiche, filosofiche e morali, al servizio di leva impostomi, ripudiando sia qualsiasi forma di autorità esercitata da qualunque stato, civiltà, nazione o individuo nei confronti di un altro/a essere vivente e sia qualsiasi armamento, guerra o truppa militare usata per risolvere conflitti, controversie o disaccordi.
Sono prova delle mie convinzioni gli innumerevoli esempi che posso portare: i milioni di uomini in divisa che nell'ultimo conflitto mondiale si sono resi complici di massacri, deportazioni, stragi, nei riguardi di persone colpevoli solo di aver avuto idee politiche o religiose differenti, i bombardamenti in Irak ed in Kosovo dove la soluzione militare ha portato solamente ad un ulteriore impoverimento delle già precarie condizioni di vita della popolazione, le cosiddette decantate e acclamate missioni di pace nelle quali i soldati italiani in Somalia hanno torturato con l'elettricità prigionieri, e "aiutato" donne impaurite legandole ad un carro armato, mentre "colleghi" belgi reggevano come uno spiedo sopra ad un fuoco un altro malcapitato, o ancora le lezioni effettuate nella scuola militare di Hammelburg in Germania dove viene insegnato tramite simulazioni a compiere stupri, omicidi ed esecuzioni sommarie.
Essendo tutto questo estraneo al mio concetto di dignità umana, e di essere uomo o donna che sia, sono fermamente convinto di questa mia scelta.
Per un futuro di libertà, giustizia e uguaglianza.

Matteo Chindemi
(Milano 1.11.2000)

Una mostra per i 30 anni di "A"

Dal 10 al 24 marzo presso la Galleria "Tina Modotti" di Acerra (NA) saranno esposte una trentina di copertine di "A" - un viaggio visivo attraverso la storia della rivista.
Galleria Modotti, p.zza Montessori 25, Acerra (NA) visite su appuntamento
(ore 10 -12 e 17-20)
Piero Borgo tel/fax 081-8850793

Dopo questa prima esposizione la mostra è disponibile per altri luoghi (contattate la redazione):
Editrice "A"- c.p. 17120 - 20170 Milano - tel. 02 2896627 - fax 02 28001271 - arivista@tin.it

 

I nostri fondi neri

Sottoscrizioni.
Matilde Finzi (Milano) salutando Amelia Failla, 50.000; Giuseppe Galzerano (Casalvelino Scalo) un fiore per Luce Fabbri e Goliardo Fiaschi, 30.000; Cesare Fuochi (Imola), 50.000; Claudio Topputi (Milano), 94.000; Enore Fiorentini Raffuzzi (Imola), 65.000; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Alfonso Failla nel 15° anniversario della morte (26.1.1986), 1.000.000; Nicola Piemontese (Monte Sant'Angelo), 50.000; Mariacristina Gribaudi e Massimo Bianchi (Codogné) "il nostro fondo nero di Natale", 1.000.000; Patrizio Biagi (Milano), 100.000; Simone Contin (Pionca di Vigonza), 10.000; Enzo Francia (Imola), 30.000; Piero Flecchia (Torino), 90.000; Gruppi Anarchici Imolesi, 450.000 (Cfr. comunicato qui sotto); I. (Milano), 5.000; Reinhold Kohl (Carrara), 260.000; Rolando Paolicchi (Pisa), 20.000; Roberto Pietrella (Roma-Vitinia), 50.000; Fabio (La Spezia), 10.000; Umberto Attaianese (Latina Scalo), 10.000; Spartaco (Torino), 10.000; Carlo Bellisai (Capoterra), 20.000; Giordana Garavini (Castelbolognese) ricordando il professor Lamberto Borghi, 100.000.
Totale lire 3.489.000.

Sabato 2 dicembre presso la sede dei Gruppi Anarchici Imolesi si è tenuta una grande cena di sottoscrizione. Grazie anche alla presenza di una ventina di compagni di Correggio e di uno di Stia, ci siamo trovati in più di un centinaio a passare una serata piena di spirito libertario. Come al solito la qualità del menù è stata altissima (secondo la consolidata tradizione imolese) e ne va dato merito alle compagne ed ai compagni cuochi e cantinieri. Anche la quantità dei contributi volontari è stata più che adeguata. Infatti, in base al principio "a ciascuno secondo i propri bisogni, da ciascuno secondo le proprie possibilità" si sono raccolte 1.838.000 lire che, detratte le spese di 308.000 lire, vengono così suddivise: ai gruppi anarchici imolesi 630.000 lire, ad Umanità Nova 450.000, ad A-rivista 450.000.

Abbonamenti sostenitori.
Federico Moro (Venezia), 150.000; Antonio Ruju (Torino), 300.000; Livio Ballestra (Nizza - Francia), 300.000; Fernando Ferretti (San Giovanni Val d'Arno), 200.000; Fabio Palombo (Chieti), 150.000; Vittorio Golinelli (Bussero), 150.000; Arturo Schwartz (Milano), 200.000; Giordana Garavini (Castelbolognese), 150.000.
Totale lire 1.600.000.