rivista anarchica
anno 31 n. 269
febbraio 2001


militarismo

Caserma Europa
di Maria Matteo

Da una parte, le "belle parole" delle dichiarazioni ufficiali. Dall'altra 120.000 soldati schierati alle frontiere, botte a chi dissente, sempre più fondi per la guerra.

 

Dopo i trattati di Maastricht e Schengen che di fatto sancivano la volontà politica di dar vita ad un'Europa aperta alla libera circolazione dei capitali e blindata per le persone, specie se immigrate e povere, venne coniata l'efficace metafora della "Fortezza Europa". In seguito ai recenti vertici UE di Bruxelles e Nizza quest'Europa dei capitali e delle polizie ha fatto un ulteriore balzo in avanti nell'edificazione di un polo di potenza che tenta, sia pure timidamente, di mettersi a fianco del colosso americano. A Bruxelles a dicembre è stata sancita la costituzione formale di un esercito europeo. Sta nascendo la "Caserma Europa". Quella che solo un anno orsono, in occasione del vertice UE di Tampere in Finlandia, appariva come una prospettiva remota, fumosa e difficilmente realizzabile, diverrà nel volgere di pochi anni una realtà.
Nonostante i noti contrasti interni alla compagine europea da sempre spaccata tra il filoatlantismo inglese ed i nazionalismi francese e tedesco, è da tempo chiaro che l'Europa politica e monetaria è ormai pronta a dotarsi di un proprio strumento bellico, che, sia pure non del tutto indipendente dalla NATO, cui resta vincolato per la difesa dagli attacchi esterni, si propone come protagonista autonomo nella gestione delle crisi a carattere regionale. Una guerra come quella condotta in Kosovo potrebbe domani essere gestita come guerra (scusate, "intervento umanitario") europea. L'euro, in caduta libera nei confronti del dollaro dopo la guerra in Kosovo fortemente voluta dagli americani, da dicembre, dopo la decisione di costituire l'esercito europeo, è in netta ripresa.
Intanto, sul piano interno, l'Unione sta sperimentando con un certo successo le "frontiere elastiche", frontiere formalmente cancellate che di fronte alla contestazione si chiudono per impedire ai manifestanti di circolare liberamente. È accaduto in occasione del vertice di Nizza e non dubitiamo che questo modello verrà presto esteso all'intero continente. Con buona pace delle anime pie convinte che i processi di globalizzazione abbiano ormai reso obsoleti gli stati nazionali, depotenziandone il ruolo e riducendoli alla mera funzione di amministratori decentrati. I robusti manganelli esibiti (ed usati) in occasione del summit nizzardo alla frontiera italo-francese di Ventimiglia e le violente cariche contro i manifestanti nella città rivierasca smentiscono chi si illude di poter contrapporre alla globalizzazione economica una riproposizione, sia pure riveduta e corretta in salsa Tobin, dello stato sociale. L'Europa "Fortezza" integrata dall'Europa "Caserma" è la realtà con la quale dobbiamo fare i conti in questo primo scorcio di secolo. Altro che tassa sui redditi per il salario sociale!


Sempre più soldi per il militare

I soldi pubblici vengono destinati al rafforzamento dell'apparato repressivo sul piano interno ed esterno. Italia, Francia, Germania e Inghilterra (paesi retti da governi di "sinistra") spendono intorno ai 200.000 miliardi di lire per armamenti ed esercito; il totale dei 15 paesi dell'UE dovrebbe toccare i 400.000 miliardi secondo le previsioni di spesa delle leggi finanziarie del 2001. Lo scorso anno in Italia il governo di sinistra ha stornato fondi dal budget dell'edilizia ospedaliera per finanziare l'Eurofighter Typhoon, il supercaccia europeo. Nel solo settore dei caccia militari le valutazioni più caute ritengono che entro il 2010 tra i 136 e i 200 miliardi di dollari verranno destinati a livello mondiale ad aggiornare gli stormi da intercettazione. La finanziaria italiana del 2000 contemplava già un significativo aumento delle spese militari allo scopo dichiarato di "produrre sicurezza" e, dei 32.839 miliardi del bilancio per lo scorso anno, ben 5.338 erano dedicati all'acquisto di nuove armi. Tale spesa era considerata comunque ancora insufficiente rispetto ad un "fabbisogno" dichiarato di 9.000 miliardi annui per cui la finanziaria del 2001 ha incrementato ulteriormente il bilancio di previsione per la difesa attestandosi a quota 34.235 miliardi, una quota che quasi sicuramente verrà sforata per far fronte ai numerosi impegni assunti dal governo per l'ammodernamento del proprio arsenale bellico. Un solo esempio: la gigantesca portaerei commissionata alla Fincantieri che dovrebbe divenire la nuova ammiraglia della Marina militare italiana il cui costo, secondo quanto riportato in autunno da "Il Sole 24 ore", dovrebbe aggirarsi intorno ai 2.300 miliardi entro il 2006, liretta più, liretta meno.
L'esame dei bilanci di guerra degli ultimi anni mostra chiaramente una tendenza netta all'aumento generalizzato degli investimenti nel settore degli armamenti. In questo quadro la costituzione dell'esercito europeo costituisce un tassello in più di uno scenario che, banditi i fantasmi della guerra totale che avevano caratterizzato l'epoca del bipolarismo, contempla l'accendersi di focolai di guerra regionali come elemento non occasionale delle relazioni internazionali negli anni a venire. Naturalmente, secondo un copione ormai collaudato, le guerre moderne assumono la veste dell'intervento "umanitario", un intervento in cui le popolazioni civili sono le pedine di un gioco feroce in cui di volta in volta svolgono il ruolo di alibi etico, ostaggio ed occasione di lucrosi affari negli interventi di ricostruzione che seguono le esplosioni belliche. Poco importa se, oltre ai lutti ed alle distruzioni della guerra guerreggiata, delle bombe "intelligenti" che colpiscono ospedali, strade, autobus e case, alle popolazioni viene lasciato un territorio inquinato da armi chimiche, batteriologiche e da uranio impoverito che condannano alla malattia ed alla morte anche le generazioni future. Non è certo un caso che nel recente scandalo delle morti di soldati italiani impegnati nelle missioni "umanitarie" in Bosnia non una parola sia stata spesa per le innumeri vittime civili dei peacekeepers, i "portatori di pace".


Ma la Carta è solo carta

La nascita della "Caserma Europa" afferma la volontà dell'Unione di gestire in proprio gli affari regionali e, nel contempo, afferma una attitudine disciplinare sempre più marcata sia verso le frontiere esterne che nei confronti di quelle interne. Notevoli sono le risorse messe a disposizione dell'esercito UE dai diversi paesi. La nuova forza, che sarà operativa dal 2003, potrà contare su quasi 120.000 uomini dai quali dovranno essere selezionati, secondo le necessità operative, i 60.000 che saranno chiamati in teatro operativo. Francia, Gran Bretagna e Germania hanno impegnato rispettivamente 20.000, 19.000 e 17.000 uomini più 80-100 aerei ed una trentina di navi. L'Italia ha dato il proprio contributo sia in uomini, dove è seconda solo alla Francia con 19.800 effettivi, sia in mezzi con 47 velivoli dell'Aeronautica e 19 navi (inclusa la portaerei Garibaldi), un reggimento di Fanti di Marina e 22 aerei ed elicotteri.
Una carta di identità di tutto rispetto per un'Europa che a Nizza ha proclamato la propria "Carta dei diritti" tra il fumo dei lacrimogeni ed il fragore delle cariche di polizia. Nella Carta si sancisce che "l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà" e che "Essa pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia." Belle parole... mentre le frontiere interne vengono bloccate da poliziotti europei e su quelle esterne si affacciano 120.000 soldati.

Maria Matteo