rivista anarchica
anno 31 n. 273
giugno 2001


lettere

 

Ricordiamoli!

La sera del 26 settembre del 1970, cinque giovani anarchici (Gianni Aricò, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso, Annalise Borth) si dirigevano a Roma con la loro Mini Minor carica di documenti comprovanti che il deragliamento del treno di Gioia Tauro (22 luglio 1970) era stato causato da una bomba messa ad arte dai neofascisti in accordo con la 'ndrangheta. Questi documenti mostravano un evidente collegamento tra la rivolta di Reggio Calabria scoppiata al grido "boia chi molla ", lanciato dal missino Ciccio Franco il giorno 14 luglio 1970 e l'attentato di Gioia Tauro, ed inoltre mettevano in luce la catena di comando che da Reggio Calabria conduceva fino alla Roma del disegno golpista del principe Junio Valerio Borghese che sarebbe scattato 8 dicembre 1970.
Ad aspettare i cinque giovani a Roma quella notte c'erano i compagni anarchici della capitale, con i cinque giovani viaggiavano i sogni, le utopie, la speranza di cambiare l'Italia, gli ideali rivoluzionari, tutto questo però fu inutile perché a 58 Km da Roma, nel tratto che attraversa la provincia di Frosinone, la piccola macchina tampona misteriosamente un camion spezzando le vite dei cinque eroi. Il caso viene archiviato come una disgrazia dovuta all'alta velocità e all'età (media 22 anni), trenta anni dopo (lo si sapeva già allora) si è scoperto che l'incidente in cui persero la vita i cinque anarchici fu una strage neofascista-servizi segreti.
Prima di partire Gianni Aricò dirà alla madre: "Abbiamo scoperto cose che faranno tremare l'Italia", non ci riuscirono ma il loro coraggio rimarrà sempre in chi vuole provare ancora a cambiare il mondo. Non dimentichiamoli, la loro giovinezza è volata dietro l'onestà, l'utopia, il coraggio, la rivoluzione, l'anarchia e per questo saranno per noi sempre degli eroi.
Grazie Gianni, Angelo, Franco, Luigi, Annalise. Saremo sempre con voi.
Continuate a lottare. Un bacio a tutti, vostro Luigi

Luigi Del Prete
(ludopeca@libero.it)

Ancora su Leda

Gentile Signora Chessa
Apprendo dalla sua lettera che lei ha letto "attentamente" il mio articolo su Leda Rafanelli (in A 269, febbraio 2001) e che non condivide "la maggior parte" delle mie argomentazioni.
Dal momento che, dal prosieguo della lettera, non mi è stato dato di capire quali argomentazioni di preciso da lei non siano state condivise, mi sono permesso di elencargliele qui di seguito, una per una. A fianco ho poi messo un "sì" ed un "no" che lei potrà barrare per ulteriore chiarezza.

1. Sulla base della documentazione presente nel libro di Leda Rafanelli, Una donna e Mussolini, la medesima non può essere legittimamente definita "una delle amanti" di Mussolini – come invece fa Petacco in L'archivio segreto di Mussolini.
SI    NO
2. Il libro in questione è "ben costruito".
SI    NO
3. Nel primo approccio, Mussolini non vuole compromettersi, sia sul versante dei rapporti personali che sul versante dei rapporti politici.
SI    NO
4. Nelle sue lettere, Mussolini batte sentieri tortuosi al limite della patologia.
SI    NO
5. Dalle lettere emergono elementi incongrui tra quanto affermato da Mussolini e quanto affermato dalla Rafanelli nel suo commento.
SI    NO
6. La Rafanelli non fu un modello di pensiero anarchico (ad esempio, per la sua fiduciosa pratica di "leggere" la mano; ad esempio, per la sua fede nella religione islamica).
SI    NO
7. La Rafanelli, tuttavia, può essere considerata ugualmente "pura d'animo" e "votata alla causa degli oppressi".
SI    NO
8. La Rafanelli non ha nulla da rimproverarsi per la diffidenza che Mussolini le induceva (mi si passi il bisticcio).
SI    NO
9. La Rafanelli - a quanto mi constava nel momento in cui scrivevo - non aveva alcun motivo per raccontare bugie.
SI    NO
10. Mussolini, invece, era palesemente "cialtrone e bugiardo" – prima e dopo i fatti in questione.
SI    NO
11. Le patologie comportamentali di un dittatore si manifestano anche prima del potere raggiunto.
SI    NO

Delle affermazioni altrui riportate nel resto dell'articolo, ovviamente, non rispondo.
Dal quadro complessivo delle mie affermazioni potrà, forse, trarre lo spunto per nuove ipotesi circa le motivazioni che mi hanno spinto a scrivere l'articolo. Potrebbe essersi trattato, per esempio, né di "voyeurismo ormai sorpassato" né di "voyeurismo in attesa di farsi sorpassare", ma di scrupoli umani e, pertanto, metodologici e ideologici.
Per quanto concerne l'opinione di Cerrito, poi, mi sembra doveroso ribadirle che io la condivido. Nonostante avessi espresso nell'articolo un "giustamente" chiarissimo, infatti, lei mi attribuisce una mancata condivisione del suo giudizio che, pur comprendendone la volontà benevola nei miei confronti, non posso accettare.
Infine, mi tocca farle notare che il secondo capoverso della seconda pagina della sua lettera si conclude riferendo delle "complesse contraddizioni" che, a suo parere, avrebbero caratterizzato Leda Rafanelli. Tutto bene se, cinque righe più sotto, lei non volesse caratterizzare la medesima persona tramite la sua "lucidità" e la sua "coerenza". Forse qui si giunge alle motivazioni che mi hanno spinto, in questo ed in tanti altri casi, a scrivere - contro questo modo di raccontare intorno a persone e cose (un modo di raccontare che non viene dal nulla, ma discende da precise assunzioni ideologiche e, in definitiva, da uno stato di soggezione nei confronti del potere).
Rimanendo in attesa di un suo cortese riscontro, la ringrazio per l'invito ad accedere all'archivio di Reggio Emilia e per l'attenzione che mi ha voluto dedicare.
Cordiali saluti

Felice Accame
(Milano)

Spettabile redazione
Non voglio, poi, perdere l'occasione di ringraziare Cesare Bermani per l'inedito contributo testimoniale (pubblicato, ancora, in A 271, aprile 2001). Gli sono grato per aver voluto così confermare quanto avevo riferito della mia lettura del libro della Rafanelli.
Bermani ha anche voluto arricchire la sua documentazione con alcune sue opinioni in merito al rapporto fra anarchismo, islamismo e pratiche divinatorie - opinioni sulle quali varrà la pena di esplicitare un paio di considerazioni.
Bermani dice che è "tutt'altro che contraddittorio" il rapporto fra "occultismo" e "anarchismo". A sostegno chiama la "cultura d'avanguardia europea dell'epoca", Anatole France – che, a dire il vero, nella frase riportata non giustifica alcunché, ma dice semplicemente che per comprendere le "opere letterarie" del periodo è necessaria anche "una certa conoscenza delle scienze occulte", un'opinione condivisibile anche da chi non si fa leggere la mano – e due "anime" del socialismo inglese, Annie Besant ed Helena Petrovna Blavatsky.
Della Bisant (1847-1933) so poco. So che è passata attraverso varie convinzioni. È stata prima protestante, poi socialista fabiana e atea (tanto è vero che l'amico Shaw la ricorda nei suoi Schizzi autobiografici perché la "giustizia" inglese imputandole l'ateismo, per l'appunto, le "strappò i figli"), poi teosofa e poi forse ancora qualcos'altro.
Sulla Blavatsky (1831-1891) so qualcosina di più. Con il colonnello Olcott fondò la Società Teosofica, nel 1857 a New York. Il prefisso "Teo-" non dovrebbe lasciar adito a dubbi: si tratta di sapienza del divino – un antidoto classico contro il "materialismo dilagante" –, del riconoscimento della "costituzione settenaria" della Terra, di reincarnazioni plurime nel passare uno per uno i sette regni della natura e di altre amenità del genere più e meno attinenti al mistico numero sette. Girando il mondo e fondando le sue "logge", la Blavatsky non poteva esimersi dall'esibire i suoi "poteri" (di chiaroveggenza peraltro limitata nonostante il "terzo occhio" nel mezzo della fronte, perché rimane agli atti la richiesta di sapere il nome del giornalista che aveva scritto un articolo contro di lei…) fino al punto di subìre un "verdetto di impostura" da parte della Società di Ricerche Psichiche di Londra. Se il personaggio, per natura e cultura, implica molto fumo intorno a sé, ciò non toglie che, almeno nei lunghi soggiorni in India, una funzione precisa l'ha sicuramente svolta, ed è stata quella, dichiarata da lei stessa, di far accettare agli indù agiati il colonialismo inglese (cfr. A. P. Sinnett, La vita straordinaria di Helena Petrovna Blavatsky, Roma 1980, pag. 157 e, per ribadire, pp. 135 e 165). Il suo incontro con la Besant avvenne a Londra nel 1887. Le si installò in casa e non ne uscì che morta, dopo averla convinta del prossimo Avvento di un giovane indù che avrebbe dovuto essere il "nuovo Istruttore del mondo". Da qui l'ulteriore scissione della Società Teosofica operata da Krishnamurti nel 1929.
Ce n'è quanto basta per decidere se tramite l'iniezione di queste teorie l'anarchismo ha da guadagnare o da perdere? Quando Bakunin inneggiava ai contadini italiani che avevano cominciato la "vera rivoluzione", perché "bruciano tutte le carte, se si impadroniscono di una città", e denunciava esplicitamente tutto "l'insieme di sistemi filosofici dell'uomo superstizioso", sistemi "di cui l'uno generava e divorava l'altro" (cfr. M. A. Bakunin, I principi della rivoluzione, in A. I. Herzen, A un vecchio compagno, Torino 1977, pag. 42), non avrebbe mai potuto immaginare i futuri "sdoganamenti". Ora Bermani – in nome della duplicazione corporea, delle borse del tabacco che volano e dei pianoforti chiusi a chiave che suonano – rimanda al mittente chi accusa deviazioni dal buon modello anarchista. Dentro la Rafanelli, la Blavatsky e la Besant, fuori Bakunin e tanti altri – fra cui, manco a dirlo, Accame.
Al quale, per quanto possa indurre a sospetti ingenerosamente razzistici, è sorto un dubbio. Se la Leda Rafanelli, anziché musulmana e lettrice di mani, fosse stata cattolica e affezionata alla nota teoria agostiniana della predestinazione delle anime (cfr. De dono perseverantiae, 7, 15) – quella teoria così ben approfondita da s. Fulgenzio nel De veritate praedestinationis et gratiae Dei –, avrebbe trovato ancora così tanti e accorati difensori?
Grazie dell'ospitalità.

Felice Accame

(Milano)

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I nostri fondi neri

Sottoscrizioni.
Stefano Giaccone (Cardiff - Galles), 28.000; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Alfonso Failla, 1.000.000. Franco Santilli (Perugia), 20.000; Giancarlo Tecchio (Vicenza), 50.000; Nunzio Cunico (Sovizzo), 25.000; a/m Joe Cono, Audrey Goodfriend (Berkeley - USA), 205.000; Rino Quartieri (Zorlesco di Casalpusterlengo), 50.000; Paolo Mauri (Milano), 50.000; Valerio (La Spezia), 5.000; Fabio (La Spezia), 5.000; Leonardo Muggeo (Canosa di Puglia), 50.000; Aldo De Martino (Castellammare di Stabia), 3.000; Cristina Valenti (Imola), 500.000.
Totale lire 1.991.000
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Totale lire 750.000.

 

 

30 Anni di A

E' sempre disponibile la mostra delle copertine dei primi 30 anni di A.
Può essere richiesta alla redazione.
(Nella foto, l'esposizione avvenuta presso la Galleria Modotti di Acerra (Na) lo scorso mese di aprile, a cura di Piero Borgo).